La ribellione,
la rabbiosa voglia
di vincere sul destino, costante assoluta
e vitale nei cavalli di Théodore Géricault, eroi
tragici e
romantici della vita
moderna. In pietra nera, inchiostro
acquerellato
e acquerello, Cavaliere turco in battaglia.
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Si è dovuto istituire una giornata della memoria
perché emergesse dal pozzo scuro della storia negletta la
vicenda delle foibe e delle tragedie vissute dalle popolazioni istriane
nei giorni della liberazione ad opera delle truppe titine:
che è come dire che quella liberazione dalla dittatura fascista
avvenne grazie allazione violenta di unaltra dittatura,
quella comunista degli jugoslavi. Erano state pagine di storia poco
lette e pochissimo esplorate per decenni, sia perché avrebbero
messo a nudo i comportamenti sanguinari di certe formazioni militari
e paramilitari operative nel nostro confine orientale, sia perché
avrebbero coinvolto la strategia politica antitaliana dello stato
maggiore dellallora Pci, che auspicava (e in questa direzione
lavorava) la cessione di territori più ampi a Belgrado, compresa
lintera provincia di Udine. Del resto, cè voluto
mezzo secolo per farci conoscere la vera storia delloccupazione
di Berlino ad opera dellArmata Rossa; e sei decenni non sono
stati sufficienti a farci appurare tutto quel che è realmente
accaduto nel cosiddetto Triangolo della morte, in quella
micidiale zona dellItalia del Nord in cui una Resistenza tralignata
prolungò le operazioni di guerriglia, ma trasformate in una
catena di delitti per vendette, per ritorsioni, per unilaterali
atti criminosi.

E ci son volute ricerche difficili e tanta pazienza, in attesa
di tempi meno ostili, per render note revisioni storiche che facessero
giustizia di pregiudizi, di verità strumentali,
di amnesie condivise. Lo si è visto con chi è stato
definito dissacratore della storia o distruttore di valori: da Furet
a Del Noce, da Nolte a De Felice. Proprio grazie a costoro abbiamo
potuto vedere in una luce nuova molti luoghi della memoria, abbiamo
acquisito più attenti strumenti critici, abbiamo potuto stringere
legami vitali con la storia. Dopo tutto quel che ci ha messo, e
continuerà a metterci a disposizione la riesplorazione delle
vicende del Secolo breve, per noi sarà difficile
non indignarsi se complici la scuola e i maestri del politicamente
scorretto quasi nessuno sa o ricorda, ad esempio, che il
17 marzo è il giorno in cui venne proclamata lUnità
dItalia; se quasi tutti usiamo le grandi tragedie come clave
per abbattere gli avversari politici; se saranno ancora alimentati
i pregiudizi contro le democrazie, per tenere in ombra gli orrori
delle dittature, come accade là dove la politica cede il
passo allideologia e il servilismo degli estremisti si fa
strumento di conservazione reazionaria, oscillando fra rancore e
oblio, e tra la criminalizzazione dellAltro e la sua identificazione,
sempre e comunque, con il Male.
È quanto si verifica nei confronti dellAmerica, dalla
Guerra Fredda in poi. Se esaminiamo attentamente la situazione planetaria,
tocchiamo con mano che dopo la caduta dellUrss la leadership
statunitense è stata lunico coagulante della legittimità
internazionale. Gli Usa sono da un secolo la sola potenza che concepisca
il potere come teso a preservare lequilibrio mondiale: è
un principio imperiale legato non ad unegemonia americana,
ma alla costruzione di un mondo in cui sia possibile lAmerica.
Dunque, si tratta di un impero senza territorio e senza colonie,
che vuole fondarsi sulladesione democratica della maggioranza
dei Paesi del globo, (va ricordato che la stessa Onu fu voluta dagli
americani). Ed è singolare che questa America ottenga il
consenso dei governi e sia simultaneamente odiata dalle masse. Che
sembrano essere cieche di fronte a certe realtà illiberali
ancora attive in vari continenti, e soprattutto immemori delle vicende
storiche che invece dovrebbero insegnare qualcosa a chi (singoli
e masse) col silenzio o con atteggiamenti manichei, comunque con
evidenti complicità, quelle realtà accetta e alloccasione
esalta. E dal momento che la vicenda dellIraq attualizza questo
discorso, procediamo per esempi, rileggendo alcune pagine di storia,
e di storie, che ci sembrano emblematiche.

Nelle foto dei palazzi di Saddam Hussein pubblicate dai giornali
di tutto il mondo appaiono mobili stravaganti, sedie dorate, sontuosi
divani, corridoi foderati di marmi pregiati, lussuose sale da bagno.
Ma non vi sono biblioteche. Cioè: conosciamo (forse) i gusti
del rais, ma ignoriamo le sue letture. Costui ha scritto un romanzo
fantapolitico, con fortissimi toni eroici e patriottici. Ma non
sappiamo che cosa leggesse e se si fosse mai documentato sulla sorte
dei Grandi Uomini che avevano drammaticamente perduto
il regno e lo Stato. Aveva un modello da imitare? Ha immaginato
le sequenze della propria fine e il dramma di cui è non più
protagonista, ma imputato eccellente? Sapeva che Hitler, nel bunker
della Cancelleria, aveva inserito nel suo testamento politico un
amaro confronto tra il suo acerrimo nemico Churchill
e Charles Fox, fautore di un accordo con Napoleone? Sapeva che Mussolini,
partendo per il suo ultimo viaggio dalla prefettura di Milano, nellaprile
45, aveva scartato le letture storiche e aveva portato con
sé, insieme a una borsa piena di documenti, solo una deliziosa
operetta romantica di Eduard Morike, dal titolo Mozart in
viaggio per Praga? Sapeva che Fulgencio Batista, dittatore
di Cuba, era fuggito su una barca alla volta di Miami, e che Nicolae
Ceausescu, dittatore della Romania, era partito in elicottero dal
tetto del Palazzo del Comitato Centrale? Sapeva della morte di Hitler
(un colpo di pistola alla tempia), o di quella di Salvador Allende
(una raffica di mitra dopo un ultimo tentativo di difesa nel palazzo
presidenziale), o della fuga di Guglielmo II, Kaiser di Germania,
(un piccolo corteo di macchine attraverso la frontiera olandese),
o di quella del mullah Omar (una corsa in motocicletta attraverso
le montagne dellAfghanistan)? Ripassiamo anche noi la lezione,
ricordando brevemente quale fu la fine di altri Stati e imperi,
dagli inizi del Novecento ai nostri giorni.
La serie storica ha inizio a Pietrogrado, nel marzo 1917, secondo
il vecchio calendario ortodosso, dopo il fallimento della grande
offensiva del generale Brusilov. I presagi del collasso erano nel
cielo della città, come altrettante comete, da alcune settimane.
Il 30 dicembre il monaco Rasputin, avido e intrigante consigliere
di corte, era stato massacrato da un gruppo di nobili e gettato
in un canale della Neva. Nel palazzo imperiale uno Zar e una Zarina
devota avevano progressivamente perduto qualsiasi contatto con la
realtà. Nella periferia, gli operai delle fabbriche e gli
scaricatori del porto davano segni di ribellione.
Quando la gente cominciò a tumultuare sulla Prospettiva Nevskij
e la Duma rifiutò di piegarsi a un decreto imperiale che
ordinava la sua dissoluzione, Nicola II abdicò per sé
e per i suoi discendenti in favore di un fratello, Michele, che
rinunciò al trono appena due ore dopo. Dopo avere regnato
per tre secoli e celebrato il loro trecentesimo compleanno nel 1913,
i Romanov uscirono di scena e abbandonarono il potere nelle mani
di un gruppo di liberali e di democratici. La Russia divenne repubblica
e il suo Primo ministro fu per qualche mese un socialista democratico,
Kerenskij, deciso a continuare la guerra nel campo delle grandi
democrazie. Non durò molto. In novembre lincrociatore
Aurora, attraccato a una banchina della Neva, sparò
a salve qualche colpo di cannone e un drappello di guardie rosse
entrò nel Palazzo dInverno. Poche ore dopo, Kerenskij
fuggiva a bordo di unautomobile dellambasciata americana
e Vladimir Lenin annunciava al mondo, dalla sala da ballo di un
collegio femminile, che «si era compiuta la prima grande rivoluzione
socialista».

Un anno dopo toccò allAustria-Ungheria e alla Germania.
Il segnale giunse da Kiel, dove i marinai della flotta tedesca rifiutarono
di scendere in mare per battersi contro le navi inglesi. Nelle ore
seguenti lesempio di Kiel si propagò attraverso il
Paese e costrinse Guglielmo II ad abbandonare la capitale. A Monaco
venne costituita la Repubblica bavarese. A Budapest il Parlamento
proclamò la separazione da Vienna. Nei reggimenti e nelle
fabbriche vennero creati i primi soviet degli operai e dei
soldati.
Dominato dallossessivo ricordo dellabdicazione del cugino
Nicola, il Kaiser cercò di resistere, ma alla fine fu costretto
a cedere. Rinunciò al trono e fuggì nei Paesi Bassi,
dove poté, grazie alle autorità olandesi, sfuggire
agli Alleati che volevano processarlo come criminale di guerra.
A Vienna, nel frattempo, limperatore Carlo dAbsburgo,
salito al trono dopo la morte di Francesco Giuseppe, chiudeva con
labdicazione la lunga storia di una piccola famiglia svizzera
che, al vertice della sua fortuna, aveva dominato lEuropa
e le Americhe.
Un salto cronologico, sempre allinterno del Secolo breve.
Lultimo atto della Repubblica spagnola si consumò fra
la conquista franchista di Barcellona nel gennaio 1939 e la resa
di Madrid e Valencia alla fine del mese di marzo. La flotta fuggì
a Biserta, in Tunisia, dove si arrese ai francesi. I consiglieri
sovietici tornarono a Mosca, dove precipitarono nel vortice delle
purghe staliniane. I ministri e i dirigenti dei partiti trovarono
asilo a Parigi, a Buenos Aires, a Città del Messico. Una
lunga fila di miliziani, spesso accompagnati dalle loro famiglie,
si arrampicò sui Pirenei, attraversò la frontiera
e finì nei campi di raccolta allestiti dalla Repubblica francese.
Nella storia delle grandi cadute del Novecento il nostro Paese ha
diritto a tre capitoli. Nel primo, Mussolini venne arrestato da
un colonnello dei carabinieri, dopo unudienza con Vittorio
Emanuele III, e lItalia passò dolcemente, con qualche
esplosione di gioia e di rabbia, dal regime fascista a un regime
paternalistico e autoritario che piacque al generale Francisco Franco
e al bonario dittatore portoghese Salazar. Nel secondo, Vittorio
Emanuele e il suo governo abbandonarono Roma frettolosamente per
imbarcarsi a Pescara (sulla nave da guerra Baionetta)
e per trasferire al Sud, nelle aree già occupate dagli alleati,
un simulacro di Stato italiano. Nel terzo, Mussolini, con il vertice
della Repubblica Sociale, fuggì da Milano e, incappato in
brevissimo tempo nelle maglie delle formazioni partigiane, finì
nella macelleria di Piazzale Loreto.
Il maresciallo Pétain, capo dello Stato francese, aveva avuto
maggior fortuna. Andò in Germania al seguito dei tedeschi,
trovò rifugio con altri uomini politici nel castello dei
Siegmaringen, venne arrestato dagli alleati, processato e condannato
a morte. Ma fu graziato e finì i suoi giorni nella fortezza
di unisola della Baia di Biscaglia. Ancora più fortunato
di lui fu limperatore del Giappone. Gli americani impiccarono
alcuni responsabili del regime e rinnovarono lintero Stato
nipponico, ma ebbero laccortezza di capire che la presenza
di Hirohito avrebbe reso le loro riforme più tollerabili.
Dopo la fine del Secondo conflitto mondiale e dopo linstaurazione
di regimi comunisti nei Paesi conquistati dallArmata Rossa,
lEuropa divenne unarea di notevole stabilità
politica. Con due eccezioni: la Grecia, dove in conflitto con le
forze marxiste i colonnelli si impadronirono del potere nel 1967
e lo tennero fino allagosto del 1974; e il Portogallo, dove
il successore di Salazar, Marcelo Caetano, venne travolto in un
tripudio di garofani dal logorio delle ultime guerre coloniali,
in Angola e in Mozambico. Il caso della Spagna fu assai diverso.
Il franchismo morì per eutanasia, e la sua lunga agonia permise
che sotto la dura scorza del regime autoritario si formasse, con
qualche saggio compromesso, la pelle di una nuova democrazia.
La morte dei regimi, in quegli anni, fu un fenomeno che interessava
soprattutto i nuovi Stati, emersi dalle fine dei grandi Imperi in
Africa e in Asia. Fra parecchie dozzine di rivoluzioni, di putsch
e di stragi di palazzo, scegliamo la fine di tre regni. Faruk, re
dEgitto, fu detronizzato nel luglio del 1952 da una sollevazione
di militari, e finì la sua vita nei casinò italiani
e francesi, dove aveva labitudine di dire, con disincantata
ironia, che ben presto i sovrani, oltre alla regina dInghilterra,
sarebbero stati soltanto quattro: i re di fiori, picche, quadri
e cuori. Feisal, re dellIraq, fu massacrato con la sua famiglia
a Baghdad durante una rivolta di ufficiali nazionalisti, nel luglio
del 1958. E lo Scià dellIran, Reza Pahlavi, abbandonò
Teheran in aereo il 16 gennaio del 1979, per far posto allAyatollah
Khomeini, che venne entusiasticamente accolto allo stesso aeroporto,
sedici giorni dopo, da tre milioni di persone.
Comincia infine, nel 1989, la crisi dei regimi dittatoriali comunisti.
Quasi sempre senza spargimento di sangue (leccezione fu la
Romania, dove Ceausescu e sua moglie furono trucidati da un gruppo
di congiurati opportunisti), rientrarono nellombra i leader
tedesco-orientali, polacchi, cecoslovacchi, ungheresi, bulgari,
albanesi e, ovviamente, sovietici. Molti di costoro andarono a riposo,
ma alcuni fra i più giovani uscirono da una porta per rientrare
da una finestra. Ultimo ad abbandonare la scena fu Milosevic, oggi
allAja per un processo in cui si difende è onesto
dirlo con uno stile aggressivo e persino brillante.
Quanto sta accadendo nello scacchiere del Vicino Oriente è
istruttivo: mentre Israele e Palestina lavorano per una pace duratura,
e mentre dopo la minaccia americana di tagliare gli aiuti
annui per due miliardi di dollari lEgitto è
costretto a indire elezioni democratiche e a rimettere in libertà
gli oppositori, in Libano i siriani non intendono abbandonare il
campo, come imposto dalle Nazioni Unite, e continuano ad esercitare
un ferreo protettorato: chi conosce certi palazzi del lungomare
di Beirut sa bene che sono ancora oggi tremendi luoghi di tortura;
e chi conosce il dittatore di Damasco sa bene che si tratta di un
satrapo che continua a seminare lutti nella sua terra, oltre che
nel Paese dei Cedri. Eppure, di fronte a tutto questo, come al cospetto
di altre situazioni analoghe, il pacifismo planetario non batte
ciglio, alimentando il legittimo sospetto che si mobiliti solo ed
esclusivamente in funzione antiamericana e antioccidentale.
Che cosa ha saputo dire, che cosa sta facendo, questo pacifismo
a senso unico, in favore della libertà e della democrazia
cancellate in quarantacinque Paesi da altrettanti dittatori? Dice
zero, fa zero. Eppure, la classificazione di queste dittature è
nota, e va ben oltre lAsse del Male che il Presidente americano
identificò in soli tre Stati-canaglia (lIraq, lIran,
la Corea del Nord). Lelenco comprende sei tipi di differenti
dispotismi: i dittatori-monarchi, le dittature personalizzate, quelle
militari, le comuniste, le teocratiche e quelle rette dai regimi-partito.
I dittatori-monarchi dominano in Arabia Saudita, Oman, Qatar, Emirati
Arabi, Brunei, Buthan e Swaziland. Le dittature personalizzate,
le più diffuse fra tutte, riguardano Eritrea, Guinea Equatoriale,
Ciad, Togo, Camerun, Liberia, Guinea, Zimbabwe, Libia, Repubblica
del Congo, Somalia, Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakhstan, Tajikistan,
Bielorussia, Cambogia e Maldive.
Le dittature militari sono in Sudan, Pakistan, Birmania, Burundi
e Algeria. Quelle comuniste sono in Cina, Corea del Nord, Vietnam,
Laos e Cuba. Le dittature di partito sono in Egitto, Siria, Tunisia,
Angola, Yemen, Haiti e Ruanda. Quella teocratica è in Iran.
Come abbattere questi dispotismi? Secondo Mark Palmer, ex ambasciatore
americano a Berlino e già collaboratore di Reagan e di Kissinger,
la strada da seguire è la creazione di una Comunità
di Democrazie, una nuova organizzazione internazionale che riunisca
i Paesi della Nato e le 110 Nazioni che si incontrarono a Varsavia
(nel 2000) e a Seul (nel 2002), dove sottoscrissero un programma
per «conservare la libertà politica sui propri territori
e diffonderla nel resto del mondo». Agendo come un unico blocco,
le nazioni filo-democratiche potrebbero condizionare lagenda
dellOnu (che si compone di 189 membri) e porsi alla guida
della comunità internazionale, non solo o non tanto perché
disporrebbe delle maggiori risorse militari, quanto perché
in possesso di quelle economiche. I modelli cui richiamarsi sono
quelli di Marcos nelle Filippine e di Milosevic in Serbia, Paesi
in cui le rivolte delle popolazioni furono decisive e costrinsero
i regimi a cedere il potere e i despoti a fuggire. Palmer è
convinto che nel XXI secolo le dittature non siano in grado di resistere
a prolungati assedi economici, politici, legali e mediatici da parte
della comunità internazionale: assedi che devono riguardare
i leader, non i popoli. Di fronte a prevedibili resistenze, la forza
deve restare lultima opzione: diritto di precedenza hanno
i conflitti non-violenti e il massiccio sostegno esterno al desiderio
di libertà e di riforme delle popolazioni locali oppresse.
Utopia? Forse. Ma da qualche parte, in qualche modo e momento deve
pure aver principio un sogno, cioè unutopia possibile,
da tradurre poi in progetto universale, non discriminatorio, non
penalizzato da strategie di parte o da sottoculture ideologiche.
Ecco: bisognerebbe istituire una ricorrenza specifica, una Giornata
della Democrazia come memoria rinnovata delle matrici che ci hanno
formato e che hanno informato di sé questo vituperato Occidente.
Probabilmente anche questo potrebbe indurre i farisei della violenza
pacifista unidirezionale ad avviare una salutare revisione delle
proprie acritiche convinzioni.
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