La narrativa
del Novecento
salentino comincia con unapocalisse, la furia di un
castigo divino
silenzioso e totale, con un corpo a corpo stremato
e finale tra la vita e la morte.
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Cè unidea, una sintesi sostanziale, un punto
cardinale tematico e semantico intorno al quale ruota tutta la narrativa
del Novecento salentino. È unidea che oscilla tra suggestioni
del mito e interpretazioni della Storia, immaginario collettivo
ed esperienza personale, modelli culturali e percorsi di scrittura,
processi di costruzione di identità sociale e rispecchiamenti
generazionali nelle forme di quella identità, nelle proiezioni
di quelle forme, nella molteplicità di quelle fisionomie,
tra la coscienza di una condizione di vivere in quella terra e una
messa in scena di quella coscienza attraverso la narrazione letteraria.
Questa idea, questa sintesi, è una frase di Carmelo Bene,
lincipit del suo Sono apparso alla Madonna, che dice: «Vi
è una nostalgia delle cose che non ebbero mai un cominciamento.
Affondare la propria origine non necessariamente connessa
alla nascita in Terra dOtranto è destinarsi
un reale-immaginario».
Se è questa la frase che lega i fili narrativi del Novecento
salentino, il movente e lesito delle storie narrate in forma
scritta in questo tempo, è perché essa porta in superficie
e codifica in espressione il sentimento di nostalgia di qualcosa
che non è mai esistito: la nostalgia che viene da una memoria
fantastica, quasi da una leggenda, da una percezione della terra
che nel passaggio da un tempo a un altro tempo, da una voce a unaltra
voce, è diventata rarefatta e artefatta.

Negli esiti della narrativa salentina letterariamente più
maturi e significativi, il Salento non è altro che un luogo
elaborato attraverso una combinazione di elementi dellantropologia
culturale con la tensione alla mitologizzazione della terra.
La scrittura narrativa sposta continuamente il Salento verso una
sorta di zona franca, riparata dalle correnti degli eventi, non
coinvolta dai mutamenti del secolo, immune dal contagio delle sue
contraddizioni, estranea tanto allo sventolare delle bandiere delle
grandi ideologie quanto dal loro avvoltolamento. Anche le problematiche
della questione meridionale vengono osservate da una prospettiva
vicina alla dimensione poetica della realtà e distante da
quella politica, economica, sociale.
Il Novecento è passato senza esserci mai stato. Anche quando
la storia raccontata ha il suo fondo o il suo sfondo in un tempo
storico che corrisponde a quello della scrittura, anche quando il
gesto del narrare si rispecchia, o si confronta, nei fatti, o con
i fatti, che accadono tuttintorno, anche quando è una
situazione del presente a determinare il motivo o il movente della
scrittura, anche quando tutte queste condizioni si intrecciano o
si diramano nel tessuto della narrazione, lo scrittore è
sempre in una posizione di fuga.
La contemporaneità è un tizzone tra le mani. Nella
contemporaneità si sente a disagio, spaesato. È questa
condizione di spaesamento che muove listinto di fuga. La fuga
dello scrittore non è verso il passato, verso un luogo diverso
in un tempo diverso. La fuga è verso un luogo in un tempo
completamente fantasticato o reinventato sulla base di unipotesi
leggendaria del passato. La fuga è verso quel reale-immaginario:
unimmaginazione che utilizza la materia del reale e una realtà
che si trasforma attraverso limmaginazione.
La narrativa del Novecento salentino comincia nelle ultime pagine
di Finibusterre di Luigi Corvaglia. Con un delirio. Con lo sgretolamento
del mondo sotto gli occhi dei colerosi di un lazzaretto.
Comincia con unapocalisse, la furia di un castigo divino silenzioso
e totale, con un corpo a corpo stremato e finale tra la vita e la
morte, tra un passato concluso e un presente svuotato di ogni orizzonte
e possibilità.
La narrativa del Novecento salentino comincia con la fine di unidea
di Salento, unimmagine, una tradizione, un tessuto valoriale,
un sistema simbolico-culturale. Un mito. (Resta fondamentale per
la lettura di questo romanzo, lintroduzione di Donato Valli
alledizione Congedo del 1981).

Quando un servitore chiede a Pietro quale nome sha da mettere
sul tumulo delluomo trovato riverso sui gradini del sagrato,
Pietro risponde: Dòmine. E poi: il cantore che resuscitava
il canto. E poi: del Capo morto.
Il Capo di Leuca: morto, dunque. Ma il Capo di Leuca muore definitivamente,
essenzialmente, dopo poche righe, dentro gli occhi vorticanti di
delirio dello stesso Pietro aggredito dal morbo, nel suo vomito,
nella sua nausea, nei suoi dolori che espellono scene di passato
mischiandole con le visioni del delirio, nello spasimo e nelle ombre
di vivi e di morti che gli accerchiano la mente, nel torbido rimescolamento
di memorie e allucinazioni, nella concreta sensazione di morte che
lo attraversa e lo stravolge. Ma non lo vince. Perché la
sopravvivenza di Pietro è funzionale alla dimostrazione della
fine del Capo. Pietro sopravvive in un mondo ridotto a maceria,
irriconoscibile.
Di questo si fa metafora il paesaggio: luliveto come colonnato
di un tempio apocalittico.
Composto tra il 29 e il 31, e pubblicato nel 36,
romanzo salentino per definizione dellautore, enciclopedia
del Salento per definizione di Tommaso Fiore, Finibusterre cancella
definitivamente ogni immagine mitica del Salento e
vieta ogni possibilità di ricorrere a questa immagine. Dopo
Finibusterre, chiunque intenda narrare il Salento può farlo
solo partendo dal crollo di un immaginario culturale che avviene
in questo romanzo. Oppure può volgere lo sguardo verso un
passato lontano. Perché un passato lontano può essere
soltanto un reale immaginato.
È quello che accade ne Lora di tutti di Maria Corti.
Unaltra fuga. Un altro sentire il narrare come un transito
verso e dentro i territori dellimmaginazione, un distanziarsi
dalla realtà per avere ogni libertà dinvenzione
e di configurazione metaforica, di riscrittura della storia sulla
base delle necessità della narrazione.
(Se Maria Corti non affonda in Terra dOtranto la sua nascita,
indubbiamente a questa terra è annodata tutta la sua scrittura
creativa).
NellOra di tutti il luogo ha una funzione marginale rispetto
alle finalità del romanzo.
Se la scelta del luogo è determinata dalle suggestioni di
un epos elaborato attraverso lintegrazione di documenti e
tradizione popolare, la pregnanza semantica è data dallarticolazione
del logos dei personaggi, dal loro proporsi sulla scena come varianti
del rapporto delluomo con la Storia: delluomo di ogni
tempo in ogni luogo.
Per fare questo Maria Corti ha bisogno di una materia che può
sottrarsi a qualsiasi verifica e confronto con la realtà,
che può adottare ogni visione dei fatti e sottoporli ad ogni
revisione, ma, soprattutto, che offre ogni possibilità di
invenzione di una memoria collettiva. Non è la memoria storica
a dare origine al processo narrativo, ma è il processo narrativo
a creare la memoria attraverso le voci dei personaggi, così
come è il discorso dei personaggi a disegnare gli scenari
che servono alla rappresentazione della memoria.
NellOra di tutti, Otranto è soltanto un luogo mentale:
uno dei luoghi mentali studiati da Maria Corti nel suo Per una enciclopedia
della comunicazione letteraria (Bompiani, 1997).
Per analogia con le costruzioni della mente che nascono da idee
individuali o di gruppo, analizzate dalla Corti nel saggio sui luoghi
mentali, Otranto in quanto luogo narrato, è uno spazio geografico
chiuso, un microuniverso trasformato in costruzione spaziale della
coscienza, locus deputatus del conflitto tra Dio e demonio, tra
il bene e il male.
La fuga di questo romanzo, allora, è verso un luogo ideale
che, in quanto tale, non ha relazione né con la realtà
del presente né con la realtà della storia, ma solo
con le storie narrate che come tutte le narrazioni
trovano il principio e la fine nella sfere della finzione.
NellOra di tutti, Otranto è pura finzione. Le descrizioni
del paesaggio sono sospese a mezzaria. I fatti che accadono
hanno la leggerezza di una leggenda; di una leggenda contengono
gli elementi di invenzione e verosimiglianza. Tutto è collocato
in una dimensione lontana. Quando il racconto si chiude ogni cosa
è esattamente comera quando è cominciato.
Tra le macerie di Finibusterre, dopo quasi trentanni, non
si è ancora cominciato a scavare.
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