Settembre 2005

Il libro e la scimitarra

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L’epopea macabra
che sfida l’Occidente
Aldo Bello  
 
 

Insomma: quale futuro ci aspetta? Ci sarà un Grande Agguato della Storia, e come si presenterà? E chi farà la prima mossa? E dopo Armageddon chi sopravviverà?

 

Nuda contabilità vuole che si ricordino le cifre. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York – 2.978 vittime, secondo i dati ufficiali – il terrorismo di matrice islamica è tornato a colpire più volte. Il 12 ottobre 2002, con 202 morti, in maggioranza turisti australiani, in due attentati a Kuta Beach, la zona delle discoteche di Bali, in Indonesia. Il 23 ottobre 2002 terroristi ceceni assaltano il teatro Dubrovka di Mosca e prendono in ostaggio un migliaio di persone: tre giorni dopo, nell’assalto degli “spetsnaz”, le forze speciali russe, muoiono 129 ostaggi e 41 terroristi. Il 15 dicembre 2003, alcune bombe in due sinagoghe e in un edificio che ospita uffici britannici ad Ankara (Turchia) causano 20 morti e 257 feriti. L’11 marzo 2004, esplosioni a catena nelle stazioni ferroviarie di Madrid provocano 191 morti e 2.062 feriti.

Il primo settembre 2004 terroristi ceceni sequestrano più di 400 persone nella scuola di Beslan (Ossezia del Nord, Russia): nel blitz delle forze di sicurezza russe, due giorni dopo, perdono la vita più di 330 ostaggi, molti dei quali bambini. Il 7 ottobre dello stesso anno, in un attentato all’hotel Hilton di Taba (Egitto) muoiono 34 persone, tra le quali due ragazze italiane. Infine si è fatta la conta dei morti londinesi, mentre civiltà della comunicazione britannica ha imposto che, in spregio agli attentatori, numeri e toni fossero asciutti (i primi) e non enfatizzati (i secondi). Nulla di tutto questo – dichiaravano concordi maggioranza e opposizione in Parlamento e la stessa regina Elisabetta a Westminster – farà cambiare i nostri modelli di vita. Dio ama la vita che ha creato, e non la morte, riecheggiava Papa Ratzinger dal Vaticano. Poco dopo, da Sharm el Sheikh, sopraggiungeva l’eco di una strage destinata a colpire «sionisti e nazareni».
L’ipocrisia farisaica che, di volta in volta, cioè attentato e strage dopo attentato e strage, ci aveva indotto a proclamarci tutti newyorchesi, poi madrileni, poi londinesi, poi cairoti, si era immediatamente trasformata, per partenogenesi del pensiero (?!) debole, in sottili analisi, in ambigui distinguo, infine in condanne unidirezionali che riguardavano l’America – innanzitutto – e un indefinito Occidente in battuta simultanea, poi gli anglosassoni, poi gli italiani con Berlusconi e i suoi accoliti, poi l’Impero e i suoi lacchè, poi le strategie anti-Kyoto, poi l’Africa derelitta e il Terzo e Quarto mondo malati di colera, di malaria e di Aids, e quant’altro rimastica da decenni gli stessi argomenti e ripropone con staliniana determinazione temi e problemi una componente ideologica tardo-imperiale francese, e insieme vetero-leninista italiana, neo-giacobina iberica, vacuo-agnostica fiamminga... Tutta roba che l’Occidente (americano ed europeo) semmai ha ereditato (dai democratici di Kennedy, ad esempio, quelli dell’escalation della guerra in Vietnam; dai governi che precedettero la Thatcher, nel Regno Unito; da quelli di centro-sinistra, dalle nostre parti) più che creato.

Ora, si può dire tutto il male che si vuole degli Stati Uniti, tranne che non ci abbiano dato e poi garantito la libertà, e che non siano intervenuti in aree di crisi anche al posto di un’Europa squallidamente pigra e piagnona; e di Blair, quello che ha fatto un discorso alla Churchill dopo le stragi londinesi, tranne che non abbia fatto scelte chiare, al punto d’aver coinvolto anche il consenso dell’opposizione; e dei nostri si può dire tutto il bene che si vuole, tranne che questo disgraziatissimo Paese disponga di una moderna classe dirigente, dotata di progettualità al passo con i tempi, di visione di sviluppo in tempi medi o medio-lunghi, del coraggio delle riforme, o infine di una capacità predittiva che non sia fondata – da una parte e dall’altra – su elucubrazioni cabalistiche o su espedienti politici economici sindacali sociali culturali di minimo cabotaggio.
Questi sono i tempi. E questi i personaggi alla ribalta. E non ci si venga a dire che dobbiamo rimpiangere quel che potevamo essere e non siamo stati, perché in fatto di mancati appuntamenti con la storia è stracolma la storia italiana. Siamo stati ammirati dal mondo soltanto in due circostanze: al tempo di Giolitti, quando fu impetuoso uno sviluppo industriale, malgrado le vessazioni cui fu sottoposto il Sud, e comunque prima che l’industria privata italiana privatizzasse – appunto – i profitti e socializzasse le perdite; e tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta del secolo scorso, quando miriametri di fasci muscolari meridionali utilizzati al Nord sottocosto determinarono il boom che poi non seppe trasformarsi in sviluppo di lungo periodo, grazie alla miopia politico-industriale e finanziario-sociale degli anni successivi.
C’entra, tutto questo, con gli attentati degli estremisti islamici? C’entra, eccome, per il tipo di reazione che da noi si innesca con costante pervicacia in ogni tragica circostanza. Gli estemporanei italo-newyorkesi, italo-madrileni, italo-londinesi, italo-cairoti, dopo il breve spazio d’un mattino, tornano ad essere solo e cinicamente italiani, intellighenzia onanisticamente impegnata nella violenza pacifista, nella violenza terzomondista, nella violenza e basta, con l’immancabile partecipazione di Signorini Grandi Firme, quelli che tirano molte paghe per il lesso dalle università, dai quotidiani, dalle televisioni, dai CdA di grandi banche e grandi imprese, dalle catene di montaggio di meeting e convegni e dibattiti e altri monodialoghi per la splendida sopravvivenza dei soliti tuttologhi...

Storcendo il naso, qualcuno si strappa le vesti perché i giovani si vanno sempre più allontanando dalla politica. Meglio farebbe a riconoscere che si vanno allontanando da “questa” politica. Dalla sua ambiguità gattopardesca. Dalla malafede dell’abbandono dell’impegno riformatore. Dalla debolezza della risposta, per spirito rinunciatario, alle strategie di logoramento dentro e oltre i confini della Penisola. Dallo spirito di resa che aleggia sinistramente sotto i cieli italiani, dove anime bieche e anime cieche come il vento si dilaniano in nome del nulla. Dalla incapacità di alzare il tono del confronto, per latitanza di idee, per sudditanza ad arcaiche satrapie ideologiche, per la sterilità di iniziative minate in partenza dalla nostra vocazione alla compromissione, al sotterfugio, al patto col diavolo.
È su questo vuoto che si edificano i colonialismi culturali e religiosi. È negli spazi progressivamente abbandonati che si possono realizzare sacche di predominio che un giorno perfezioneranno il progetto complessivo. Chiamano tutto questo democrazia, quelli che di Tocqueville e Pareto hanno sentito vagamente riecheggiare il nome, o li hanno scorsi di straforo leggendo i “bignamini” ad uso degli esami complementari nelle familistiche università italiane.
Da molti di costoro (politici, figli adottivi di politici; docenti, figli e nipoti di docenti; imprenditori politicizzati, figli protetti dello Stato assistenziale; baroni, eredi incontrastati di baronie varie; intoccabili speculatori e portaborse, procacciatori di ricchezze veloci in favore dei potenti di turno; e camurrie proseguendo) l’Occidente non è più amato: se mai lo è stato. Una volta, sia pure per ragioni di parte, per via del marxismo (sebbene Marx temesse più i marxisti che gli americani). Ma oggi, in nome di che cosa? Ed è solo disamore in nome di una o più ragioni, o non piuttosto odio (per chi? per che cosa?), soprattutto espresso da sedicenti “maîtres à penser” frustrati dalla propria inettitudine, e cultura approssimata, e disponibilità servile disattesa da chi bene o male conta, o infine presa di coscienza della propria nullità e inconsistenza di pensiero? È l’auspicio (conscio o inconscio) di un gigantesco autodafé, per un rimorso che annichilisce, per il negazionismo di un’identità non perseguita o non raggiunta, e dunque del rifiuto di una Storia e di una Cultura come preludio alla fine del Maledetto Occidente?
Se è vero che l’economia presiede alla politica, siamo già a buon punto. Lentamente, ma inesorabilmente, sembra tramontare il Continente Nuovo, mentre risorgono antiche (pur se non più nobili) civiltà: quella cinese, quella indiana. Esse riprenderanno, prima o poi, il cammino in sintonia con il corso del sole. Il Grande Vuoto lasciato dal Nord (America, Russia, superpotenze; Scandinavie isolazioniste; Arroganti-Francie, Neo-Prussie, Flemmatiche-Britannie, Turbolente-Iberie) sarà colmato da popoli che, da soli, rappresentano forse più della metà della demografia planetaria. Ma a Sud? Che cosa accadrà del Puzzle Musulmano-Arabo-Petrolifero?
Che sia in atto uno scontro di civiltà, e sia pure con violenza unilaterale fomentata dalla componente fondamentalista islamica, solo le anime belle possono negarlo. E non è, questo, un Islam tornato all’attacco. È un Islam che è sempre stato all’attacco. La violenza era nata già con Maometto, che assalì una carovana di mille cammelli: il bottino servì a finanziare la conquista di Medina. Proseguì con la decapitazione (nella stessa Medina) degli uomini della tribù ebrea dei Qurayza (da sei a novecento maschi: episodio narrato dal Corano), che dovettero preventivamente scavarsi la fossa, mentre le donne e i bambini furono venduti sul mercato degli schiavi. Poi furono i mercanti dioula che, armati, diffusero l’Islam nell’Africa occidentale, al grido di «convertirsi o morire». Da qui, il passaggio nell’Iberia fu un gioco da ragazzi. Mentre, traversato il Deserto Arabico, e prese Damasco, Gerusalemme e Tiro, i popoli furono convertiti con il Libro e con la scimitarra: si penetrò nel ventre turcofono dell’Asia, si assoggettarono i popoli del sub-continente, fino al Pakistan e alle estreme Filippine e Indonesia. Fatti fuori i cristiani, il sanguinoso scontro fu con i buddhisti e gli induisti: uno scontro che perdura.
Oggi i maomettani rimpiangono la perdita della Spagna e della Sicilia, ma sono convinti di poterle riconquistare grazie alla prolificità delle loro donne e alla debolezza spirituale e culturale dell’Europa. È la prospettiva dell’Eurabia, di cui ha scritto Oriana Fallaci, accusata dai nostri Eccelsi Pensatori di «scagliare corpi contundenti» con i suoi libri e i suoi saggi?
Cerchiamo di capire qualche cosa di più, leggendo il libro “Lumi dell’Islam”, nel quale nove intellettuali musulmani parlano di libertà. Contiene «molte idee difficili da mettere in pratica», come sostiene Paolo Mieli, ma vi è anche più di uno spunto di grande interesse.
Dice l’algerino (nato in Arabia Saudita) Soheib Bencheikh che è necessario liberare l’Islam dal predominio della politica da parte degli Stati e dei regimi che si legittimano grazie ad una particolare versione dell’Islam stesso, «spingendo così i partiti politici avversari a utilizzare lo stesso canale, mentre la posta in gioco è il potere temporale; e il popolo credente diventa ostaggio di questo rilancio sull’Islam tra partiti politici di opposizione e regimi al potere che intendono farsi valere attraverso la religione». Il sudanese Abdullhai An-Na’im porta ad esempio il caso del Senegal, la cui popolazione è costituita al 90 per cento da musulmani e tuttavia ha raggiunto elevati standard di democraticità nonché di tutela dei diritti umani, «almeno a confronto della media dell’Africa post-coloniale»: dimentica, questo autore, che primo e per lungo tempo Presidente senegalese fu Léopold Sedar Senghor, un cristiano; e poi lamenta che «oggi la democrazia, il secolarismo e i diritti umani dei senegalesi sono messi a repentaglio dalla progressiva affermazione di un Islam fondamentalista e conservatore».
E Navid Kermani, nato in Germania da una famiglia di origine iraniana, sostiene che se i musulmani avranno la sensazione di una loro appartenenza all’Europa si integreranno molto di più e si impegneranno per la collettività. Si riaffaccia il relativismo culturale? Proprio no, sostiene Kermani: «Al contrario, suggerisco che l’Occidente sia un po’ più occidentale e prenda un po’ più sul serio i propri valori, in modo che la convivenza con i musulmani possa procedere meglio». Capita l’antifona, Grandi Pensatori rinunciatari del Vecchio Continente?
E Tariq Ramadan contesta la tesi di Bassam Tibi che propone l’«Euro-Islam», mentre Khaled Fouad Allam, collaboratore prezioso di questa rivista, dice cose molto acute, come Tariq Ali, sulla democratizzazione del mondo islamico. Che evidentemente democratico non è stato, né è, fino a questo momento: nella speranza che nel suo Dna non abbia la vocazione anti-democratica tout court.
Un interrogativo atroce ci toglie il sonno: dovremo dirci anche noi, prima o poi, italo-torinesi o milanesi o veneziani o fiorentini o romani o napoletani o palermitani o altro ancora? Cioè: verrà, e quando, e dove, il giorno dell’ipocrisia nazionale, perché farisaici come siamo daremo la colpa al governo del momento, alla guerra esportata, all’imperialismo che è solo e sempre occidentale, alla povertà dei popoli oberati dalla fame e dai debiti contratti con l’estero, a queste e ad altre perpetue solfe di chi nutre e secerne soltanto sterili odii universalmente unilaterali? Continueremo a non aver (a non voler avere) memoria non dico della storia, ma almeno della cronaca che ha sporcato di sangue innocente il nostro mondo, assai prima della presenza di truppe occidentali in Afghanistan e in Iraq? Ammetteremo mai che la “guerra asimmetrica” non è nata con le Torri Gemelle, ma quasi vent’anni prima, dopo l’eccidio di 300 soldati americani a Beirut, nel 1983, dopo il primo attacco al World Trade Center, dopo l’attacco a una nave americana in acque emirali, dopo gli attacchi alle ambasciate statunitensi in Africa, dopo l’attacco con gli esplosivi nei sotterranei delle Twin Towers, che precedettero quello con gli aerei passeggeri penetrati come aculei sterminatori nei piani sensibili delle Torri Gemelle?
Riconosceremo mai che la fame è oggettivamente inestinguibile, e che semmai è aggravata dal fatto che i quattrini sborsati dai cosiddetti Paesi ricchi in favore di quelli poveri vanno ad impinguare in buona parte i conti correnti esteri dei dittatori locali, e per un’altra parte sono spesi nell’acquisto di armi, con le quali questi arcinoti figuri continuano a sgovernare i propri Paesi?
Rifletteremo sul fatto che i moderati, islamici o meno, non possono aspettarsi tutto dall’esterno, ma devono essi stessi per primi cominciare ad isolare e poi espellere dal contesto civile i fondamentalisti che producono le tossine più micidiali innanzitutto per il mondo musulmano, e provocano oltreconfine reazioni più penalizzanti quando esportano la violenza bruta e seminano la morte per le strade, nelle piazze, nei luoghi nei quali transita, lavora, studia, insomma vive il common people? La gente innocente? Le donne, i vecchi, i bambini? Gli “uomini stradali” che vengono cancellati dalla viltà e dall’anti-pensiero del fondamentalismo islamico?
Altra domanda: che cosa accadrà il giorno in cui dovesse finire, o non essere più conveniente estrarre il petrolio? Si crede davvero che l’Occidente non avrà preso per tempo misure vitali per la propria sopravvivenza, con fonti energetiche alternative? E che fine faranno i Paesi produttori di greggio, molti dei quali (Pakistan, Siria, Iran, la stessa Arabia Saudita) finanziano o appoggiano il terrore? Che ne sarà di centinaia di milioni di persone, le cui classi dirigenti sono abituate a comprare tutto e a non produrre nulla? Emigreranno in massa verso le aree ricche del Nord e dell’Ovest, che dovranno difendersi con le unghie e con i denti, pena l’estinzione? Insomma: quale futuro ci aspetta? Ci sarà un Grande Agguato della Storia, e come si presenterà? E chi farà la prima mossa? E dopo Armageddon chi sopravviverà?
Se Toghe e Accademie e Fabbriche di Consenso e il Superfluo Mediatico la smettessero di prendersela con le altrui isterie, si interrogassero più attentamente e mutassero la loro condizione di talpe cieche, in questo nostro Paese unico al mondo per presenza (e ascolto) di ciompi e di lazzaroni, di sanfedisti e di palleschi, di piagnoni e di finti giacobini, di logorroici Masanielli e di improbabili Cola di Rienzo, di zeloti e di briganti fuori tempo massimo...
Mentre giriamo gli occhi da un’altra parte, fingendo di non vedere la nostra tragica fragilità civile e culturale, nel mondo carsicamente si va affermando un progetto terrificante: distruggere le religioni, prime fra tutte quelle monoteiste, perché sarebbero la causa di fondo dei conflitti, delle disuguaglianze, dell’infelicità planetaria. Niente di tutto questo echeggia nelle chiese, nelle sinagoghe, nelle moschee. Ciò non esclude che in segretissimi recessi non se ne parli e discuta, senza però canali comunicanti fra le tre religioni del Libro. Da qui il sostegno miliardario alle sètte, intese come multireligioni alternative? Da qui tutta la letteratura ad uso del popolo bue sul matrimonio di Cristo con Maria di Magdala e sui loro figli che avrebbero dato origine alla stirpe dei Merovingi? Da qui gli attacchi contro i cattolici, ad opera dei musulmani e dei protestanti, oltre che degli ebrei? Da qui altri colpi d’ariete che riguardano i cristiani?
C’è un libro (“Contro il Cristianesimo. L’Onu e l’Unione Europea come nuova ideologia”, autrici due donne, Lucetta Scaraffia ed Eugenia Roccella), molto documentato, al punto da risultare sconvolgente. Vi si parla preliminarmente della stagione commissariale europea del sedicente “cattolico adulto” Romano Prodi, che colmò con i soldi di noi contribuenti il buco di 34 milioni di dollari lasciato dagli Stati Uniti nel finanziamento dell’Unfpa, il fondo Onu per la Popolazione. Al quale da un triennio il presidente americano non destina un cent per protesta contro l’Onu, appunto, che finanzia in Cina la sterilizzazione femminile e maschile e l’aborto forzato dei figli handicappati o in soprannumero.
Siamo di fronte al trionfo della “religione dei diritti umani” che predica la separazione fra sessualità e procreazione: – Più che di un modello di comportamento sessuale diverso, si tratta di una vera e propria utopia, perché si fonda sull’idea che gli esseri umani possano trovare la felicità nella realizzazione dei propri desideri sessuali, senza limiti morali, biologici, sociali e relazionali legati alla procreazione [...]. L’imposizione di questa utopia ai Paesi del Terzo Mondo sembra costituire lo scopo principale dell’attività di molte organizzazioni internazionali [...]. A questa si affianca, anzi, ne è il logico complemento, l’utopia irenica di chi crede che solo l’abolizione delle religioni – soprattutto quelle monoteiste – possa realizzare la fine dei conflitti per l’umanità –.
Le autrici segnalano che nei centri iperattivi di questa ideologia umanitarista, l’Onu e l’Ue, sono scomparsi vocaboli come madre e padre, sostituiti da “progetto parentale” o “genitorialità”, così come uomo e donna sono sostituiti da “genere”, in modo da annullare la differenza sessuale e la peculiarità dei ruoli paterno e materno. La pianificazione familiare è diventata il “diritto riproduttivo”; per evitare il termine “aborto” si usa la sigla “Igv” (Interruzione volontaria di gravidanza); il necessario per abortire diventa “kit per la salute riproduttiva”; la pillola del giorno dopo è ribattezzata “contraccezione d’emergenza”. E con ampi dibattiti sugli alibi lessicali i frequentatori del Palazzo di Vetro a New York e del Palazzo Braydel a Bruxelles perseguono fermamente due scopi: sostenere l’ideologia anticristiana, chiudere gli occhi al cospetto dei problemi che angustiano il mondo. In che mani siamo finiti, noi e più ancora i nostri figli!
C’è l’odio del kamikaze e c’è il disagio del moderato. L’odio è per il sistema democratico, liberale, permissivo, corruttore, che anima il terrorista. Ma è anche odio di sé, è il sentimento di essere (e forse rimanere) solo parzialmente integrato nella “società peccatrice” in cui è stato fatto nascere che spinge il giovane musulmano a “salvarsi”, ricostruendosi nel martirio. In questa forma di nichilismo assoluto, il Nord e l’Ovest sono nemici simbolici perfetti. A ventiquattr’ore dall’attacco a Londra del 7 luglio, la televisione dell’Autorità Palestinese (largamente foraggiata dall’Unione europea) ha trasmesso al suo pubblico la predica integrale dell’imam Suleiman al-Satari, che lanciava questo messaggio di odio: «Annientate gli infedeli e i politeisti. America, Britannia, Spagna e gli ebrei si stanno unendo nel colpire il popolo della verità. Che Allah li conti e li uccida sino all’ultimo uomo, senza lasciarne in vita uno solo».
Scrive R.A. Segre: «In tutti i fondamentalismi c’è l’esplosiva combinazione dell’odio e dell’amore. La volontà di salvare se stessi nel sacrificio, ma anche l’avversario a cui, sia pure con la morte, si porta il messaggio di verità. Credere di poter ammansire questi “crociati islamici” attraverso un liberalismo cieco significa suicidarsi». Il disagio è espresso da Khaled Fouad Allam: «L’opinione pubblica non ci giudica sui nostri poeti e sui nostri filosofi, ma ci giudica su coloro che [...], più crudeli della crudeltà stessa, fomentano l’odio, di fronte ai quali, come recita un proverbio arabo, “anche il pane ha fame”. Con il loro aggiungere odio a odio, la nostra stessa esistenza di musulmani in Occidente diventa problematica: entriamo nel ciclo perverso dell’emarginazione e del rifiuto. Ed è così che, non essendo amati, non possiamo amare, mentre la società multiculturale esige una dose non indifferente di amore. E questi crimini ogni volta le danno un colpo di grazia. Fino a quando non si giungerà al vero disastro: perché bisogna sapere che ogni qualvolta in Europa si è posto un problema con l’Islam, le cose sono finite male. Certo, i contesti storici del passato erano diversi. Ma dalla Spagna del ‘500 i musulmani sono stati cacciati; e nell’Italia del ‘300 i musulmani furono decimati [...]. In questa drammatica situazione, il rapporto Europa-Islam sembra strutturalmente insolubile. E malgrado l’europeizzazione dei musulmani, malgrado i loro legami con l’Europa, spesso essi persistono nel non vedere la loro europeità, in un accecamento che li mantiene in un mondo irreale, in cui non sono né musulmani né europei, né tradizionali né moderni: un mondo della non-vita. Compete a noi musulmani rovesciare la situazione, e farci protagonisti di quella democrazia che oggi è in pericolo».
La citazione è lunga e condivisibile. Soprattutto, non ha bisogno di alcun commento.

 

   
   
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