Settembre 2005

Dopo la Costituzione, in crisi il bilancio

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Waterloo a Bruxelles
D. M. B.  
 
 

 

 

 

Nessuno sembra
disposto ad
affidare il compito di trovare una via d’uscita a Blair, che sarebbe invece ansioso di
assumersi il ruolo di salvatore
dell’Europa.

 

Tutte le frustrazioni del mondo: tristezza, rammarico, vergogna, prostrazione pro-fonda... Il fallimento del vertice europeo per il rifinanziamento del bilancio comunitario negli anni dal 2007 al 2013, dopo che la Costituzione era stata “congelata” a seguito del voto negativo francese e olandese, è accreditato al premier britannico Blair, che dal primo luglio avrebbe preso il timone della presidenza Ue. E le accuse fioccano da molte parti, soprattutto dai nuovi Paesi membri, tanto che qualcuno suggerisce l’immagine di una nuova Cortina di ferro, o di un nuovo Muro tra Ovest ed Est europei, alle prese con scetticismo, ma anche con odii, diffidenze e sospetti. Polacchi, cechi, ungheresi, sloveni, i nuovi membri che si erano detti pronti a rinunciare a finanziamenti comunitari pur di salvare l’Europa con un compromesso, non hanno nascosto il loro triste senso d’offesa. L’Ovest europeo è stanco – hanno detto – e questo suo stato d’animo è e continuerà ad essere pericoloso, tanto più quanto più durerà.
La vecchia Europa ha paura del nuovo mondo della concorrenza, non vuole pagare il prezzo del successo, sostiene la Gazeta Wyborcza, principale medium polacco, fondato negli anni eroici (1980-1990) della lotta non violenta per la democrazia, che si chiede se nel “no” dell’Europa dell’Ovest a un accordo ci sia qualcosa di più dell’egoismo finanziario, una paura del futuro. Ed è, questo, un sospetto che unisce Praga e Budapest, Bratislava e Lubiana, deluse dopo l’enorme energia spesa in decenni per approdare all’Europa e all’Occidente, e convinte che, dopo il “tradimento” dell’alleato Blair, abbia prevalso la spinta veteroegemonista di Berlino e di Parigi.
La determinazione dei nuovi entrati era incentrata su un certo pragmatismo. Se si dovesse andare all’esercizio provvisorio – avevano sostenuto concordemente – a rimetterci sarebbero stati i Paesi beneficiari di fondi regionali, che necessitano di una programmazione di spesa pluriennale: quindi, i Paesi dell’Est, ma anche l’Italia.

Di tempo, ora, in realtà ce n’è pochissimo. Visto che il 2005 è irrimediabilmente perso, perché nessuno crede ad un accordo durante i sei mesi della presidenza britannica, e visto che la procedura richiede mesi di lavoro e negoziati dalla decisione dei governi all’attuazione pratica, gli esperti giudicano che restino a disposizione per trovare un’intesa i primi tre mesi del 2006. Si potrebbe forse arrivare a giugno, con la fine della presidenza austriaca. Più in là, scatta l’emergenza e i fondi per il Sud italiano saranno a rischio.
Sotto la presidenza austriaca si dovrebbe tenere anche il vertice straordinario limitato ai soli capi di governo, chiesto dalla Francia, per discutere la crisi aperta dalla bocciatura franco-olandese della Carta costituzionale. E anche in questo caso nessuno sembra disposto ad affidare il compito di trovare una via d’uscita a Blair, che sarebbe invece ansioso di assumersi il ruolo di salvatore dell’Europa.
Allo stato delle cose, l’unica cosa certa è che la Costituzione resterà congelata almeno fino a dopo le elezioni presidenziali francesi del 2007, nella speranza, inespressa e probabilmente vana, che il prossimo inquilino dell’Eliseo trovi il modo per indire un nuovo referendum. Ma più la crisi ristagna, più la polemica anglo-francese sulle due visioni d’Europa cresce di livello (e siamo solo all’inizio), più il tentativo di far coesistere le due anime dell’Unione in un unico testo diventa obsoleto. È stato scritto che come quei ricchi americani che si fanno ibernare in attesa che si trovi una cura per guarire le loro malattie, la Carta europea entra in un freezer dal quale difficilmente qualcuno si ricorderà di toglierla.
I punti - Le posizioni
Il rimborso - Nel 1984 il premier Margaret Thatcher ottenne un rimborso dei due terzi del contributo annuale al bilancio dell’Ue della Gran Bretagna, allora in grave crisi economica. Nel 2005 la cifra del rimborso (“rebate”) è stato di 5,3 miliardi di euro. Senza interventi correttivi, dovrebbe raggiungere la media di 7,1 miliardi annui tra il 2007 e il 2013.
La Francia e la maggior parte degli Stati membri hanno chiesto di ridurlo o di eliminarlo. La Gran Bretagna non ha ceduto. Il Lussemburgo ha proposto di congelarlo a 4,6 miliardi l’anno per il 2007 e di farlo scendere gradualmente fino al 2013.
I contributi - Gli Stati membri contribuiscono al budget comunitario, pari a circa 100 miliardi di euro annui, con una cifra proporzionale al Pil.
Germania, Gran Bretagna, Austria, Olanda, Francia e Svezia, i sei maggiori contribuenti, hanno chiesto di ridurre il loro contributo all’1 per cento del Pil.
L’Olanda, irremovibile, chiedeva di pagare 1,5 miliardi in meno. La Svezia era sulle posizioni olandesi, anche se con toni più sfumati. Il Lussemburgo ha proposto di fissare il tetto massimo all’1,06 per cento del Pil, contro l’1,24 suggerito dalla Commissione europea. L’Italia considera accettabile il progetto lussemburghese.
La Pac - La “Politica agricola comune” assorbe il 40 per cento del budget europeo e la Francia ne è il principale beneficiario. Nel 2002 Parigi ha ottenuto di congelare il Fondo della Pac a 43 miliardi di euro fino al 2013, per evitare che con l’allargamento l’Unione potesse tagliare i fondi per l’agricoltura.
La Gran Bretagna ha chiesto di ridurre i sussidi all’agricoltura a favore di ricerca e tecnologia. L’Italia si è allineata al Regno Unito, sebbene sia tra i Paesi che ricevono le maggiori sovvenzioni agricole. La Francia si è rifiutata di mettere in discussione l’accordo. Anche la Spagna ha chiesto che la Pac venga rispettata.

 

   
   
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