Il giallo della Cina ha la tonalità
del mistero, della paura per questo gigante che si è
levato dal sonno
e invade ogni
angolo del pianeta con i suoi beni
di consumo.
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Proviamo a rendere lidea con i personaggi di letteratura
fantastica. Come il protagonista del racconto di Robert L. Stevenson,
anche il Vecchio Continente ha una sua doppia personalità.
Il signor Hyde rappresenta lanima profonda, orgogliosa del
suo modello sociale, attaccata al sistema di garanzie, a costo di
continuare a vivere al di sopra delle possibilità effettivamente
offerte o consentite. Il dottor Jekyll, invece, ha degli sprazzi
di lucidità e tiene a portata di mano lantidoto che
gli permette di ritrovare la propria identità.
Anche il Vecchio Continente oppresso da apparati di welfare
pesanti, da una fiscalità esosa, da un eccessivo statalismo,
da una prassi di coesione sociale orientata a preservare lesistente;
condannato a stentate performance di sviluppo; invischiato in una
rete di regole del mercato del lavoro che minano la competitività
e frenano la crescita delloccupazione ha saputo, nei
passaggi critici della storia recente, iniettarsi quegli anticorpi
che ne hanno impedito linesorabile declino.
È la logica del vincolo esterno usato per obbligarsi
a politiche virtuose sul piano interno. Senza il percorso delineato
nel Trattato di Maastricht, lUnione sarebbe ancora a dibattersi
con deficit di bilancio devastanti, con degli stock di debito pubblico
gravidi di insostenibili interessi. Senza la moneta unica, (il corollario
di Maastricht), negli ultimi anni, la speculazione internazionale
avrebbe attaccato, a turno, le diverse divise europee, destabilizzandone
le economie.
Proprio quando, nelle opinioni pubbliche, perdeva di tono la spinta
propulsiva prodotta dalleuro e veniva meno limpegno
a proseguire nel risanamento (fino ad aprire la crisi del Patto
di Stabilità), i Paesi dellUe hanno fatto nuovamente
ricorso al vincolo esterno, alla pozione che ridona
ad Hyde le sembianze di Jekyll.
Nel nostro caso, si tratta dellallargamento a Est, già
avvenuto. Anche se è prevista una fase più o meno
palesemente transitoria, che può durare per un certo numero
di anni, è certo che sono venute a contatto realtà
tra loro molto diverse, che si influenzeranno sempre più
reciprocamente.

La creazione di un vasto mercato interno, del quale fanno parte
450 milioni di persone, è destinata a far camminare più
velocemente (anche con riguardo alle condizioni di lavoro e di vita)
le nuove nazioni (che pure dall89 in poi hanno compiuto passi
da gigante sul piano del risanamento).
Ma le opportunità che questi Paesi offrono al sistema produttivo
(in termini di attitudini della forza-lavoro e di convenienza agli
investimenti) promuoveranno una sfida continua alla parte ricca
(e pigra) del Continente, sul versante degli ordinamenti sociali
e dei sistemi di protezione. Le riforme del mercato del lavoro e
del welfare diventeranno indispensabili per non subire ogni possibile
forma di dumping sociale. Poi verrà anche il momento di una
più massiccia circolazione della manodopera. Non sarà
più necessario che le imprese italiane ed europee prendano
vie africane, ad esempio, alla ricerca di lavoratori con salari
orari pari a sottomultipli di quelli medi dellEuropa dei Venticinque.
Il pericolo, semmai, verrà dalle produzioni e dalle esportazioni
cinesi, anche se da qualche tempo a questa parte sono le imprese,
le case-madri europee (e italiane) a spostare i propri centri di
produzione in Cina, reimportando i prodotti, griffandoli e vendendoli
a prezzi che, rispetto ai costi complessivi, sono stratosferici.
Come reagire a questultimo dato di fatto? Cè
innanzitutto da attendersi una diversa divisione del lavoro, meglio
adeguata ai livelli di tecnologia, di know how, di produttività
e di servizi che le aree più sviluppate sono in grado di
offrire, a fronte di una più ampia dislocazione, soprattutto
nei nuovi Paesi, dei settori manifatturieri a minor valore aggiunto
e a maggiore intensità di occupazione. Già sappiamo,
però, che continueranno ad esserci, da noi, ulteriori cambiamenti
profondi anche per gli assetti contrattuali e retributivi, con riflessi
sul mercato del lavoro. È il caso dellagricoltura,
il settore assistito per eccellenza, (assorbe quasi la metà
delle risorse comunitarie; ed è sotto assedio da parte delle
esportazioni da Paesi con manodopera a basso costo), il quale già
divide con i nuovi Paesi le misure di protezione assicurate dalla
Pac.
Anche per quanto riguarda laccesso ai benefici dei fondi strutturali,
lItalia non è messa bene: nellEuropa a 25 cè
posto solo per la Calabria. È bene dunque aprire un dibattito
serio e articolato sui temi posti dai nuovi tempi, partendo dal
presupposto che Mister Hyde è sempre più uno spirito
condizionatore degli investimenti, dello sviluppo e della competitività,
in Italia e in Europa.

E apriamo laltro discorso delicato, al quale abbiamo accennato
poco più su. In Italia, in particolare, il giallo della Cina
sembra prendere tinte sempre più vive. Ha la tonalità
del mistero, della paura per questo gigante che si è levato
dal sonno e invade ogni angolo del pianeta con i suoi beni di consumo.
Guardando il fenomeno da Pechino, tra le poco più di mille
aziende italiane presenti sul territorio, la Cina sembra avere spesso
il dolce sapore del miele. Nessuno ha voglia di urlare, soprattutto
per non far vedere al fisco le storie dei suoi guadagni e le vicende
dei propri successi. Ma alla Camera di Commercio italiana in Cina
sembra un coro intonato: storcono la bocca, si aprono i sorrisetti,
allargano le braccia quando sentono le vicende della competizione
cinese che toglie quote di mercato, invadendo il Belpaese. Dicono:
il disavanzo commerciale della Cina con lItalia aumenta, ma
una parte di questo disavanzo è utilissima. Infatti sono
cresciute le importazioni italiane di prodotti semilavorati, dunque
prodotti che sono finiti in Italia e poi riesportati in Paesi terzi:
senza questi semilavorati cinesi, le esportazioni italiane sarebbero
più deboli. E lo stesso discorso vale per non pochi altri
Paesi dellUe. Inoltre, si dice ancora, le esportazioni cinesi,
che si concentrano in prodotti di consumo di fascia bassa, frenano
linflazione e accrescono il potere dacquisto dei salari.
Un televisore cinese costa la metà di uno giapponese, quindi
rende più accessibile un grande bene di consumo.
Sostengono a Pechino: Nei prossimi otto anni prevediamo che
in Cina si venderanno 25 milioni di nuove automobili. La vendita
di vetture, che ha un prezzo medio unitario di circa 11 mila euro,
e che coinvolge tantissime industrie, da quelle elettroniche alla
gomma, allacciaio, alla plastica, dovrebbe comunque garantire
una crescita del Paese in questo periodo intorno al 9 per cento
annuo.
È a una fetta di questa torta che mira, ad esempio, la Fiat,
che a Nanchino ha due joint venture: una sullauto e unaltra
con lIveco. In questo settore ormai la Volkswagen venderà
più auto in Cina che in Germania e la General Motors, che
alla fine degli anni Novanta piangeva le sue perdite nel mercato
cinese, oggi tace, e di certo lunica cosa che si sa è
che le attività del colosso di Detroit in Cina sono in forte
attivo.
Non si tratta solo di successi per le auto fabbricate in Cina. Per
la Mercedes classe SE, quella superlusso, che stava per essere cancellata,
la produzione è stata salvata dagli acquisti cinesi. La Bmw
ha avuto una crescita di acquisti tale che ha avviato una joint
venture, e la Maserati è entrata con la sua nuova quattro
porte in Cina, per fare concorrenza alle tedesche.

Al mutismo della grande GM fa eco quello dellitaliana De
Longhi, che in Cina produce condizionatori daria di alta qualità.
Lesposizione cinese è bassissima, neppure aderisce
alla Camera di Commercio italiana. Le leggende metropolitane comunque
riferiscono di oltre 100 mila pezzi esportati ogni anno da quelle
latitudini. La stessa storia di grande successo è dei gran
produttori di tappi piemontesi Guala. In un primo momento semplicemente
vendevano le loro macchine, poi, con una domanda che è cresciuta
in modo esponenziale, hanno costituito una joint venture. Altri
esempi: la Sipa, che produce ormai il 50 per cento del suo fatturato
complessivo proprio in Cina, o il Gruppo Cannon, che ha il 60 per
cento del mercato cinese delle macchine per assemblare frigoriferi.
Fra gli ultimi in ordine di tempo, Mario Moretti Polegato, giunto
in Cina per produrre le sue scarpe Geox, destinate al mercato americano.
Chiariscono diplomatici stranieri: Il problema in Italia
non è tra chi può e chi vuole venire in Cina, ma il
rubinetto di qualità medio-bassa che si vede messo in crisi
e marginalizzato dai rubinetti cinesi. Quel rubinettaio dovrebbe
cercare di muoversi in una fascia di qualità più alta
.
Il maggior paradosso è questo: il marchio Italia
in Cina è sinonimo di prodotto di consumo di alta qualità,
ma tali prodotti in realtà sono rarissimi, non si vedono,
o sono copiatissimi, ma gli originali non sono distribuiti, sono
quasi del tutto assenti. La maggior parte dei produttori sono troppo
piccoli per il mercato cinese; daltro canto, cè
una difficoltà italiana a creare dei consorzi, ad associarsi.
Forse anche per questo a Pechino ci sono almeno una dozzina di sale
di esposizioni che vendono mobili italiani, luna separata
dallaltra, ma i cinesi che vogliono comprare modernità
e bellezza si affollano ogni giorno al palazzone dellIkea!
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