I casi Parmalat
e Cirio, se fossimo rimasti nel regno della lira,
avrebbero causato uno scenario
argentino.
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È stato scritto che abbandonare leuro e rimettersi
con la lira corrisponde al sogno di tornare giovani: uno non si
ricorda come si stava, ma ha memoria del fatto che aveva qualche
anno di meno e cera quella cosa imponderabile e decisiva che
è la speranza. Mettersi in tasca leuro fu interpretato
come il passaporto verso il Paese Opulento e Felice. La delusione
è commisurata alle aspettative.
Allora: andarsene? Lidea è venuta ad alcune forze politiche
minoritarie, che continuano ad insistere. E sarà certamente
una cosa molto stupida, sotto il profilo tecnico, o se si preferisce
una provocazione estiva, ma leconomia e soprattutto le monete
vivono anche del sentimento di fiducia oppure di scoramento che
si respira nelle strade. Dunque, la mossa pesca nella psicologia
profonda dei popoli. Ma piuttosto che buttar via leuro, sarà
meglio rendersi conto di ciò che è realmente successo,
per mettervi possibilmente rimedio. Allumor nero si risponde
con i ragionamenti, ai quali però devono seguire i fatti.
È stato David Hume, precursore dellempirismo, a mostrare
quanto luomo sia portato a una sequenza logica errata. Post
hoc si trasforma facilmente nel propter hoc: si scambia la successione
temporale per la causa. Siccome leconomia dellEuropa
continentale non è più competitiva, e questo lo si
ritiene coincidere con lintroduzione della divisa unica, ecco
che è facile lequivoco. Ma ci ricordiamo chi siamo?
Siamo quelli del terzo debito più alto del pianeta. Francia,
Italia e Germania sono appesantite da un welfare arretrato e ingiusto
rispetto ai nuovi bisogni sociali. Una volta rimediavano sul piano
della concorrenza internazionale con le svalutazioni competitive.
Questo permetteva lo sviluppo, ma determinava anche una crescita
esponenziale del deficit. Leuro ci ha costretto ad uscire
da questa spirale che ci regalava lebbrezza della crescita
economica, ma ci consumava le ossa. Leuro ha relegato linflazione
in una cifra modesta, contenuto i tassi di interesse e costretto
a una severa politica finanziaria. I casi Parmalat e Cirio, se fossimo
rimasti nel regno della lira, avrebbero causato uno scenario argentino.
Se ora tornassimo alla vecchia divisa (ancorata al dollaro? Fantasie
da aperitivo: alla Lega, che lo auspica, se proprio vogliamo giocare,
proporrei piuttosto di legarla allo yuan cinese, un
nome che possiamo pronunciare Giuàn di familiarità
padana), i tassi di interesse del debito pubblico, dei mutui fondiari
e il costo del denaro per le imprese sarebbero al 10 per cento,
se tutto andasse bene. Con inflazione e tasse alle stelle. Vogliamo
farci del male?

La credibilità delleuro è stata erosa tra la
gente per la caduta secca di prestigio delle istituzioni europee.
Cè stata una comprensibile identificazione tra leuro
e il modo con cui è stata governata lEuropa degli euroburocrati
che hanno dimenticato le linee dei padri fondatori. Fa innervosire
lalterigia con cui i suoi dirigenti guardano lagitarsi
dei popoli, come se fossero questioni di cortile, roba da servi,
mentre loro godono del successo di una moneta forte. La quale finora
è stata gestita in modo da favorire la finanza e danneggiare
leconomia delle famiglie e delle imprese. Si è voluto
sopravvalutarla rispetto ai fondamentali delleconomia. O la
politica della Banca centrale europea scende dallempireo,
e accetta di servire leconomia reale, o si va in malora. Leuro
sarà in salute, ma cadrà lEuropa.
In Italia si deve operare con riforme strutturali permanenti. Liberalizzare
leconomia e privatizzare i servizi pubblici e dellenergia
per rendere più competitivo il Sistema Paese. Una proposta
semplice e, ritengo, saggia: il nostro governo chieda con forza
lintroduzione della banconota da un euro e quella da due euro.
Questa carta (moneta) aiuterebbe a digerire meglio laltra
più solenne Carta costituzionale, la quale sarebbe comunque
da reimpiantare sulle radici cristiane. Che centra leuro?
Centra, eccome! Gli ideali (e i valori) danno fiducia, cambiano
leconomia. Possono rendere simpatico persino leuro.
Se vogliamo dirla tutta, nel nostro Paese si può rilevare
lesistenza di due correnti di pensiero. La prima è
tenacemente europeista. I suoi sostenitori vedono nellEuropa
un motore virtuoso, lapprodo sicuro che ha dato allItalia
un eccezionale ventaglio di opportunità e, nello stesso tempo,
ne ha impedito la deriva. Lontana da Bruxelles e dai suoi vincoli,
argomenta questo campo, lItalia di oggi assomiglierebbe allimmagine
di una repubblica delle banane.

Sul fronte degli euroscettici si obietta che la fisionomia delle
regole europee ha rappresentato un ostacolo allo sviluppo, perché
ha finito con lingabbiare leconomia italiana dentro
le maglie troppo rigide del Patto di Stabilità. E ciò
per un Paese gravato da un debito pubblico sproporzionato è
un freno costante a qualunque ipotesi di rilancio.
Entrambi i punti di vista sono in fondo plausibili. LItalia
è innegabilmente oberata da una pesantissima eredità
e le sue difficoltà, se da un lato hanno beneficiato dellinquadramento
europeo, dallaltro ne sono state accentuate. Proprio perché
strutturali, però, i problemi delleconomia nazionale
non possono essere risolti nel volgere di una notte o con misure
temporanee. Lunica via per porre rimedio al declino sembra
essere quella di ridiscutere i vincoli codificati nel Patto di Stabilità,
spostando il baricentro del problema dal campo meramente economico
a quello politico.
Nel caso delleconomia italiana, unazione riformatrice
che punti al rilancio del sistema produttivo dovrebbe intervenire
su alcuni aspetti fondamentali. In primo luogo, devono essere consentiti
massicci investimenti nella ricerca, perché, se lItalia
è indietro rispetto a molti dei maggiori partner europei,
anche lEuropa in complesso non regge il passo dei competitor
globali. Il nodo delle riduzioni fiscali, poi, è lambito
in cui si delinea con maggior chiarezza limportanza di un
approccio flessibile, dunque politico, alla revisione del Patto.
Le riduzioni del prelievo fiscale sono misure che producono effetti
benefici solo nel medio o nel lungo termine. Proprio per questo
nessun governo può assumersi lonere di intervenire
in maniera incisiva e duratura sul fisco, perché non possiede,
a causa dei vincoli posti dal Patto, lorizzonte temporale
indispensabile.
In altri termini, serve allEuropa una valutazione in due tempi
degli effetti di una riforma fiscale: un primo tempo in cui il bilancio
soffre laumento del deficit dovuto alle entrate ridotte, un
secondo in cui tale deficit viene coperto con il maggior gettito
derivante dallespansione indotta dagli sgravi. La soluzione
sarebbe quindi quella di una dilazione temporale della valutazione
della politica economica nazionale, che conceda al Paese il tempo
necessario perché le riforme avviino il loro ciclo virtuoso.
LEuropa non può configurarsi sempre più come
una mannaia sospesa sulla testa dei governi. Per evitare le ricadute
delle decisioni, facendosi guidare da un imperativo, non vi può
essere politica economica che non sia innanzitutto politica e poi
economia. LItalia costituisce un importante case study
per la discussione della riforma delle regole europee. La soluzione
sta in un approccio che suggerisca ciò che va chiesto allEuropa
al momento in cui è necessario chiedere, sollecitando una
risposta che si basi su valutazioni non burocratiche e, possibilmente,
lungimiranti.
E volete vedere che, alla fine, a chiedere di abbandonare leuro
potrebbero essere i Paesi che hanno un debito basso e che vogliono
una moneta forte, come la Germania, per la quale i costi del break-up
sarebbero economicamente più sopportabili, e non quelli che
hanno un debito alto e chiedono una moneta debole, appunto, come
lItalia?
Sostiene una tesi controcorrente Thomas Mayer, capo economista della
Deutsche Bank, già alla Bundesbank. Il quale peraltro ammonisce
che le sue osservazioni seguono un modello teorico, che tuttavia
«potrebbe diventare realtà, magari fra venti o trentanni».
Quel che è importante, però, secondo Mayer, è
rendersi conto che oggi siamo a un punto critico della vita dellUem,
in cui sono emersi inevitabili fattori di stress, e che le decisioni
prese in questi tempi potrebbero poi riflettersi in conseguenze
di lungo termine.
«Allinizio dellUem osserva leconomista
tedesco gli altri Paesi hanno beneficiato dellabbassamento
dei tassi di interesse a livello tedesco, mentre la Germania ha
sofferto di un cambio troppo alto e si è trasformata così
nel vagone di coda della crescita. Fra gli altri Paesi, però,
cè chi, come la Spagna, ha sfruttato il calo dei tassi
di interesse per il rilancio delleconomia, chi invece lo ha
sperperato, non curandosi di guadagnare competitività, come
lItalia e il Portogallo. Il differenziale cumulativo dei costi
nei confronti della Germania sta emergendo ora. Mentre la Germania
ha di fatto recuperato competitività tagliando i costi, e
ora si avvantaggia di una svalutazione del cambio reale. In Italia
cè leffetto opposto».
Secondo Mayer, luscita unilaterale dellItalia dalleuro
non è realistica per il costo che verrebbe imposto al servizio
del debito, denominato in euro, e probabilmente non fattibile dal
punto di vista legale. Leconomista ritiene che le pressioni
politiche possano tradursi in tentativi di indurre la Bce a lasciar
deprezzare la moneta, «come in passato faceva la Banca dItalia
con la lira». Si alternerebbero così periodi di stabilità
e periodi di svalutazione, come avveniva nel Sistema monetario europeo
(Sme).
Questo, però, sostiene Mayer, sarebbe incompatibile con il
mandato della Bce. «Il tentativo di rendere leuro come
la lira non avrà successo; ma, se lavesse, il rischio
delleuro come valuta debole sarebbe quello di provocare luscita
di chi invece vuole una valuta forte e non dovrebbe sopportare alti
costi per uscire».
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