Settembre 2005

Per l’euro

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Benessere e rigore
Joaquín Almunia Commissario Ue agli Affari economici e monetari
 
 

 

 

Con tutte le
stravaganze che sono state dette negli ultimi tempi, si rischia
di dimenticare
i benefici
dell’Unione
economica
e monetaria.

 

Negli ultimi tempi sono state dette, e scritte, molte cose sull’euro. Che, a seguito del “no” nei referendum francese e olandese sulla Costituzione europea, l’euro sarebbe imploso. O che, con la lira, la situazione dell’Italia sarebbe stata migliore. Sono assurdità. Con l’euro, fare affari in Europa è più semplice e meno caro che in passato; la moneta unica favorisce la crescita degli scambi commerciali e degli investimenti nei Paesi dell’area euro, contribuisce ad ampliare la scelta dei consumatori, ha consentito di tenere bassa l’inflazione e i tassi di interesse ai minimi storici, fattori essenziali del nostro benessere a lungo termine.

Nessuno, sicuramente, potrebbe proporre di disfare quanto è stato realizzato negli ultimi sei anni dall’avvio dell’Unione economica e monetaria europea (Uem).
L’euro non deve diventare il capro espiatorio. Alcuni commentatori attribuiscono all’euro la colpa della deludente performance economica dell’Europa negli ultimi tempi. È un’affermazione che non sta in piedi. La crescita del Pil reale nei 12 Paesi dell’euro è stata superiore al 3 per cento nei primi due anni di vita della moneta unica. L’evoluzione è stata più deludente a partire dal 2001, ma essa è in parte il riflesso di shock esterni, tra cui lo scoppio della bolla azionaria nel 2000 e l’attuale shock petrolifero, che non ha ancora esaurito i suoi effetti. Più in generale, la bassa crescita europea riflette un progresso insufficiente nella riforma economica. Non soltanto l’euro non ha nessuna colpa, ma ha funzionato da ammortizzatore. Soffermiamoci un attimo a immaginare quanto sarebbe costata la benzina ai distributori in Italia se l’euro non fosse esistito e non fosse una moneta forte e solida...
I benefici della Uem. Con tutte le stravaganze che sono state dette negli ultimi tempi, si rischia di dimenticare i benefici dell’Unione economica e monetaria.
1) La stabilità dei prezzi. Per molti consumatori l’introduzione dell’euro è stata accompagnata dalla percezione di un aumento dei prezzi. Ma se si confronta la situazione economica dei primi anni Novanta con l’attuale, non vi sono dubbi che l’euro ha segnato una netta rottura con il passato. Al momento della ratifica del Trattato di Maastricht, nel 1991, alcuni Paesi dell’area euro erano alle prese con un’inflazione a due cifre. Oggi è a circa il 2 per cento. Pensiamo a quanto pagheremmo di più per il nostro mutuo con un’inflazione e con tassi di interesse più elevati, se non avessimo l’euro.
2) Per quanto riguarda le finanze pubbliche, il disavanzo di bilancio medio nell’area euro era di circa il 6 per cento del Pil nel 1991, e alcuni Paesi registravano un disavanzo vicino al 10 per cento. Oggi il disavanzo medio è inferiore al 3 per cento. Il tasso di disoccupazione nel ‘91 era anch’esso più elevato, attestandosi sopra il 10 per cento. L’attuale tasso nell’area euro, pari a circa l’8,5 per cento, è senz’altro ancora inammissibilmente elevato, ma è importante ricordare che negli ultimi quindici anni alcuni Paesi hanno registrato grandi successi nella riduzione della disoccupazione. L’Irlanda ne è un esempio sorprendente: il tasso di disoccupazione è passato dal 15 per cento del ‘91 al 4,5 per cento attuale.
3) Il terzo maggior beneficio della Uem è rappresentato dal suo contributo all’integrazione economica dell’Europa. L’euro consente di sfruttare le potenzialità del mercato unico, eliminando i costi di transazione e i rischi di cambio. Col tempo ciò consentirà di rafforzare i guadagni derivanti dalla più efficiente allocazione delle risorse e dalle economie di scala associate alla maggiore integrazione economica, un’evoluzione che non può che essere positiva per la crescita.
4) Il quarto beneficio è l’eliminazione delle turbolenze valutarie. Con l’euro sono state eliminate le fluttuazioni dei tassi di cambio che spesso accompagnavano gli shock economici mondiali, quali per esempio gli aumenti del prezzo del petrolio, con la conseguente diminuzione degli scambi commerciali e degli investimenti a causa dell’incertezza sui cambi. Basta ricordare il dramma associato al susseguirsi delle svalutazioni monetarie nella prima metà degli anni Novanta.

Riformare ora. La verità è che senza i benefici dell’euro la crescita sarebbe stata più deludente. Inoltre, va osservato che la performance economica nella Uem presenta forti differenze. In altre parole, non è un quadro di sole ombre. La Germania ha registrato dal 2001 una crescita media annua del Pil reale pari solo allo 0,6 per cento, ma la Spagna, la Finlandia e il Lussemburgo sono cresciuti a un ritmo del 2,5 per cento e l’Irlanda è riuscita a raggiungere una crescita superiore al 5 per cento. Naturalmente, l’Europa deve migliorare la performance complessiva e la resistenza agli shock economici. Ma che la colpa dell’attuale performance sia dell’euro è un pregiudizio che va sfatato.
Consideriamo due grandi Paesi dell’area dell’euro in cui la crescita è stata particolarmente deludente negli ultimi anni. Il tasso medio di crescita dell’Italia nei sei anni trascorsi dall’introduzione della moneta unica è stato grosso modo uguale a quello registrato nei sei anni che hanno preceduto il lancio dell’euro. Quindi la moneta unica non c’entra. L’Italia risente di una struttura produttiva e di una struttura delle esportazioni ancora troppo specializzate in beni a basso valore aggiunto e di anni di eccessivo aumento dei costi nei settori manifatturieri. Ciò ha ridotto la sua capacità di trarre vantaggio dall’espansione del commercio mondiale, un’espansione che ha favorito gli scambi di beni ad alto valore aggiunto. Nel passato l’Italia ha dimostrato di essere in grado di superare le difficoltà, e i suoi cittadini sono dotati dello spirito imprenditoriale e dell’inventiva necessari per riuscirci ancora una volta. E l’euro li aiuterà.
La Germania, da parte sua, è riuscita a riguadagnare la competitività perduta e ad accrescere le esportazioni grazie principalmente alla moderazione salariale e alle riforme. I problemi della Germania sono dovuti alla debolezza della domanda interna, causata in parte dalle difficoltà di aggiustamento post-unificazione e dalla minore fiducia dei consumatori.
Il modello sociale europeo non è condannato, ma dobbiamo adattarlo alla duplice sfida posta dall’economia mondiale, in particolare il risveglio economico della Cina e dell’India, e dall’invecchiamento della popolazione nei nostri Paesi. Oggi ci sono cinque persone attive per ogni pensionato. Nel 2050 saranno solo in 2 a sostenere l’onere!
La sostenibilità del modello europeo potrà essere garantita solo se i governi nazionali attueranno seriamente il programma di riforme deciso cinque anni fa a Lisbona e se terranno fede al loro impegno a favore di finanze pubbliche solide, impegno rinnovato col Patto di Stabilità e Crescita. L’effettiva attuazione delle riforme è necessaria per invertire il recente calo della crescita della produttività. Ciò consentirà di stimolare gli investimenti e incoraggerà l’afflusso di capitali, consentendo così di creare più posti di lavoro. Questa analisi evidenzia che combinando riforme dei mercati e dei mercati del lavoro e incrementando gli investimenti si potrebbe accrescere il Pil potenziale dell’Europa del 7-8 per cento in un decennio.

L’euro è un elemento essenziale del futuro benessere dell’Europa e ha enormemente semplificato la vita degli europei che lo usano dal 2002. Ha dato al mondo una seconda valuta di riserva accanto al dollaro, contribuendo a creare un contesto più stabile. Si tratta di una delle grandi realizzazioni dell’Europa, una realizzazione di cui siamo orgogliosi.
È ora si smetterla di cercare capri espiatori. È ora che i governi attuino politiche economiche che favoriscano la crescita e creino occupazione, per dar vita a un’Europa migliore per tutti.

 

   
   
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