Il disamore
istituzionale è forse il fenomeno che gli italiani
più avvertono e ammettono, senza sentirsi colpevoli di alcunché.
|
|
Non le abbiamo mai molto amate, noi italiani, le nostre istituzioni.
Ma si converrà che assistere impotenti al loro suicidio è
situazione sgradevole e inquietante. Non le abbiamo molto amate
perché le abbiamo sentite lontane, autoreferenziali, burocratiche,
poco attente alla realtà, senza ruolo, quindi estranee. Nel
bene come nel male, nella nostra buona fortuna e nelle nostre sciagure.
Non le abbiamo molto amate perché non le abbiamo neppure
capite: le abbiamo considerate cioè come componenti di unarchitettura
del potere disegnata da pochi per molti, in base a scelte e valutazioni
di alto livello (i dibattiti costituzionali sono riservati a pochi
padri nobili), ma che non avevano chiare connessioni con i problemi
e i comportamenti quotidiani di tutti noi.
Infine, non le abbiamo molto amate perché le abbiamo sempre
viste come cose della politica, occupate e dominate
cioè da soggetti e dinamiche che pur quando pensiamo di conoscere
e capire (oggi addirittura nei dettagli offerti dal gossip giornalistico
o dai talk show televisivi) restano comunque un campo magnetico
in cui paradossalmente si scaricano attrazione curiosa, sospettosa
repulsione, antico scetticismo, tutto tranne la convinzione che
in quei soggetti e in quella dinamica si realizzino gli interessi
della collettività.
Si potrebbe continuare per pagine ad approfondire i vari aspetti
del disamore italiano per le istituzioni, argomento che ha dato
luogo a migliaia di riflessioni culturali. Ma non servirebbe: il
disamore istituzionale è forse il fenomeno che in assoluto
gli italiani più avvertono e ammettono, in totale libertà
psichica, senza sentirsi in materia colpevoli di alcunché.
E forse non è azzardato dire che dellistinto suicida
che sta percorrendo le istituzioni, litaliano medio sostanzialmente
si disinteressa, molto probabilmente in cuor suo pensando che una
progressiva de-istituzionalizzazione non gli porterebbe
danno ma più libertà di movimento, e più facile
perseguimento dei propri interessi e obiettivi.
Del resto, egli vive quotidianamente in una cultura collettiva che
gli racconta con ampiezza di particolari che la de-istituzionalizzazione
è un processo tranquillamente in corso, quasi fisiologico:
la gestione della moneta si trasferisce in Europa, il diritto alla
difesa militare si trasferisce alla Nato, il potere di amministrazione
pubblica si trasferisce alle autonomie locali, la privatizzazione
e la liberalizzazione del sistema economico riducono il ruolo dellazione
pubblica.

Di fronte a questa dispersione e dislocazione dei poteri, non può
essere sorprendente la sensazione che lidea stessa di Stato
nazionale si sgretoli e con essa il tradizionale modo di intendere
tutti i comparti dellapparato istituzionale. Questo finisce
per vivere in un mondo che non ne vede più quella forte funzione
di traino economico, sociale e civile sulla quale lo Stato nazionale
era stato creato e via via calibrato. E gli stessi fallimenti in
sequenza dei tentativi di riforma costituzionale sono verosimilmente
da attribuire a questa caduta di ruolo complessivo, con una conseguente
tendenza delle istituzioni ad appiattirsi sulla propria progressiva
insignificanza, quasi in un inconscio suicidio.
Qualcuno si troverà a reagire polemicamente allinsistito
termine di suicidio delle istituzioni. Si negherà che la
regressione sia reale; si daranno colpe sostanziali alla politica
e ai suoi errori di questi ultimi anni; si rilancerà volontaristicamente
quel clericalismo legalitario che spesso nasconde il disprezzo per
la realtà; magari addirittura si sospetterà che con
un indebito catastrofismo istituzionale si vogliano contrastare
le magnifiche intenzioni di riforma perseguite dai possessori pro
tempore del potere.
A chi avanza queste riserve si può solo rispondere con una
breve presentazione di ciò che è avvenuto e sta avvenendo
nel panorama istituzionale italiano.
È anzitutto in corso uno svuotamento delle sedi classiche
di partecipazione istituzionale ai vari livelli: in pratica, non
esiste più la vita dei consigli comunali, provinciali e regionali,
ridotti a mere comparse dellattività e dellattivismo
personale del sindaco, del presidente della provincia, del presidente-governatore
della regione; e anche il Parlamento nazionale sacrifica la propria
dialettica interna alla spietata blindatura dei provvedimenti
di un governo teso a dimostrare la sua incisività programmatica
e decisionale.
Questo restringimento del respiro interno delle istituzioni rappresentative
porta effetti pericolosi nei processi, necessari e da tutti voluti,
di redistribuzione dei poteri pubblici verso la periferia del sistema.
Le spinte al decentramento amministrativo e le riforme del Titolo
V della Costituzione sembrano tutte impoverirsi in una sorta di
sindacalismo istituzionale, dove ogni governatore, presidente,
o sindaco contratta con gli altri omologhi o con i vertici nazionali
la possibile ripartizione delle competenze, senza alcuna attenzione
alla vitalità interna delle istituzioni che dovrebbero poi
gestirle.
La concentrazione sulla devolution e il disinteresse verso il ben
più importante e strutturale processo della cosiddetta devolution
della devolution (per arrivare ad una reale architettura distribuita
delle responsabilità pubbliche) sono il segnale di un pericoloso
scivolamento nello slabbramento del tessuto istituzionale ai vari
livelli.
|