Settembre 2005

 

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Le Giravolte
AA.VV.
 
 

 

 

 

 

 

La nazione mediterranea

’idea dell’unificazione europea risale a tutti gli sforzi compiuti nella storia da filosofi e da scrittori per identificare un nucleo di concetti e di sentimenti autenticamente europei. La definizione che si cercava era innanzi tutto culturale, costruita sulla base di un comune patrimonio di valori, un’eredità vissuta anche fuori dei confini del sistema politico dominante, e spesso nella solitudine, in silenzio, come uno stato d’animo.
La vita dello spirito, e particolarmente l’arte riflessiva, andava preparando gli animi all’arrivo del momento di maturazione europea: l’epoca romantica, quella che cominciò ad organizzare i sentimenti in veri e propri sistemi moderni di azione. La nascita dei nuovi Stati esigeva già un riconoscimento reciproco di tipo culturale. Le indipendenze significavano anche dignità e orgoglio. Alla base di questo itinerario c’è sempre l’ideale democratico, ereditato dai greci antichi e poi plasmato a secondo delle caratteristiche delle nuove nazioni.

Una premessa storico-culturale

Il conflitto tra identità personale e identità collettiva è al centro di tante opere d’arte dell’Europa contemporanea. Il concetto dell’eroe tradizionale, ad esempio, è costruito largamente sulla distanza che separa il vivere privato dal vivere comunitario. L’eroe si impone consapevolmente sulla inconsapevolezza dei molti, o meglio si traduce in portavoce di un gruppo e svolge il ruolo di coscienza collettiva. L’uno parla per molti. La differenza numerica tra l’eroe e i non-eroi è analoga a quella che separa la cultura di una nazione da quella di tutte le altre. In fondo, l’uno sta nei molti, e i molti sono formati da una molteplicità del numero uno.
La lotta contro il conformismo culturale è continua, ma la tendenza a conformarsi è continua anch’essa, perché è naturale. L’uomo si riconosce quando distingue così come si riconosce quando si immerge nel gruppo che gli rassomiglia. Sono questi alcuni dei temi che occupano le pagine più importanti di tanta poesia e narrativa europea del Novecento.
Le due tendenze opposte mettono in evidenza il fatto che la cultura è in sé una forza unificatrice, ma ha anche il potere di sottolineare le differenze. Umanesimo e nazionalismo sono i due poli estremi di una sola esperienza. Intrecciate insieme, queste due tendenze rappresentano la cultura sia come aspirazione universale sia come aspirazione individuale. Siccome il mondo continuerà ad essere diviso in tante nazioni, tutte ricche di valide tradizioni, è compito degli uomini di cultura d’oggi dare il maggiore rilievo all’aspetto unificatore dell’atto culturale.

L’epoca moderna ha fatto degli sforzi notevoli in questa direzione. Il concetto di cultura nazionale sta subendo radicali rivalutazioni e si sente spesso l’influsso di un altro “illuminismo”, cosmopolita, internazionale, ansioso di scoprire la natura umana nella sua identità come tale, al di sopra dei preconcetti legati a un territorio specifico. La psicologia moderna, accanto alla letteratura, ha dato un grande contributo all’affermazione della visione di un’umanità che forma un solo popolo. Le stesse recenti scoperte psicologiche hanno dato luogo a vasti movimenti culturali, specialmente letterari e pittorici. In vari casi la sensibilità artistica è riuscita a oltrepassare i limiti imposti dalla considerazione dell’uomo come cittadino.
Accanto al concetto della cultura come riflesso della società, come risultato complesso di un milieu, si deve anche ribadire il concetto della cultura come causa di una particolare realtà sociale. La cultura come riflesso è fedele ai dati di fatto osservati, mentre la cultura come causa è ispirata all’idea del cambiamento. La cultura dell’engagement metteva sott’occhio i valori per costuire una dialettica. Qui entra la polemica tra impostazioni diverse di una sola condizione sociale. Scelte politiche di ogni tipo danno luogo a movimenti che, sfruttando in tutti i modi le forze espressive delle forme culturali, si presentano come alternativi. Si tratta di espressione o di riforma, di arte o di politica? La sintesi è naturalmente auspicabile e del tutto possibile.
L’argomento sul rapporto tra cultura e politica, tra immaginazione e azione, è ugualmente antico e moderno, è ancora di più attuale oggi. La cultura crea una coscienza d’identità, ma siccome è anche un processo di maturazione, conduce verso la conoscenza dell’identità come problema, o meglio come sfida necessaria di rinnovamento. L’arte, tra l’altro, non risolve nessun problema, ma illumina e crea un ambiente di riflessione e d’intensità morale.
Da queste premesse elementari, basate su princìpi normalmente e universalmente accettati, si può partire verso un discorso preciso sul ruolo della cultura nella formazione di una nuova Europa.

Una base culturale per la politica

Accanto allo sviluppo politico ha avuto luogo anche uno sviluppo culturale. Già nel mondo della classicità antica la possibilità di un’unica terra estesa, di un territorio più ampio di quello del vivere immediato, faceva parte sia del pensiero sia della fantasia, almeno come progetto del desiderio, di un’idealità ispirata alla pace tra i popoli. Il pericolo del confronto, da una parte, e la cultura della comprensione, dall’altra: tra azione e pensiero esisteva necessariamente un rapporto ambivalente. Il rapporto tra storia culturale e storia politica è alla base di ogni passo fatto nella direzione dell’unità. Le conflittualità che spesso caratterizzano la storia europea, comunque, sono anche esempi di un rapporto fallito tra cultura e politica. è stata poi la cultura a instaurare quei valori che si erano persi a causa di una ottica esclusivamente politica, perdendo di vista l’uomo nella sua totalità di pensatore e di fattore.

Da secoli l’Europa si riconosce con facilità in questo binomio. Cultura significa politica e la politica si realizza pienamente attraverso le caratteristiche culturali. Medioevo, Rinascimento, Barocco, Illuminismo, Romanticismo, Verismo, Esistenzialismo: questi e vari altri movimenti sono ugualmente espressioni del mondo dell’attività pratica e risultati della creatività dello spirito. Ciò che è del tutto nuovo nella storia del continente è che ora, dalla seconda metà del Novecento in poi, questo progetto si sta trasformando consistentemente in una realtà istituzionale, ispirato a princìpi democratici, condiviso in teoria e in pratica da numerosi Paesi, tutti in cerca di un futuro diverso, del tutto nuovo: la collaborazione a tutti i livelli. Il consenso è in sé il risultato di un processo intellettuale. Un sogno poetico, chimerico, originariamente quasi fiabesco, si sta avverando, prendendo le forme di un continentalismo compatto e altrettanto aperto agli altri.

A sostenere questo esperimento c’è un’intera scuola di pensiero filosofico e letterario. Già nel 1882 Ernest Renan, chiedendosi cosa fosse una nazione, aveva parlato della possibilità di una «confederazione europea», invece di un’assemblea di nazioni. L’Unione europea è riuscita a scoprire la via di mezzo e a riconoscere la necessità della coesistenza di nazione e di continente, sempre aperto, quest’ultimo, al resto del mondo.

Siccome i vari Paesi europei hanno tutti un’identità particolare, una tradizione che li accomuna e li distingue, è ovvio che l’unità non si può raggiungere senza il riconoscimento delle diversità, tutte parti di un insieme multiforme, colorito. Così si è sviluppato il principio che l’Unione europea si deve basare sulle diversità, essendo queste a garantire la collaborazione, il mutuo rispetto, la molteplicità della stessa fusione. La negazione di questa sintesi significherebbe un ritorno al passato, alle epoche di individualismi nazionali, isolati.
Questa nuova esperienza di ravvicinamento sembra condurre verso una centralità collettiva, come se fosse possibile eliminare l’idea del centro che dominava tanto per tanti secoli. Si tratta, formalmente, di una scelta consapevole, fatta a livello giuridico, ma è anche un’inevitabile necessità, espressione della realtà popolare. Non è facile immaginare una diversa via da battere se si vuol costruire un’unità di entità diverse. Sono diversità formate lungo i secoli, per mezzo di incontri e di scontri, tra guerra e pace, nel nome della libertà ma anche della forza.
Così ho cercato di esprimere poeticamente, in lingua maltese, questa mia interpretazione:

Ewropa
Ewropa, din ukoll hi holma xiha,
holomha l-kbir biex jikber fuq il-bqija,
fassalha skond il-mapep tal-fortizza,
hadimha bit-taqbid fl-ghelieqi homor
u xtaqha meta tah il-guh u ttewweb.
Mill-herba mdemmla fl-ahhar nibtet fjura
li ma ntrifsitx fil-waqt u l-fwieha taghha
qanqlet il-kurzità w nisslet is-soghba.
Fil-waqgha tas-saltniet inhasset fehma
li qatt ma jerga’ jaqa’ d-dlam ta’ qabel.
L-Ewropa xwejha halltet dehen u bluha,
sikwit hallset tletin bicca tal-fidda
biex xtrat laham u demm, laghbet id-dadi
fuq libsa tà Mislub, garrfet lid-dinja
biex bnietha mbaghad mill-gdid. U forsi ghada
jitbexxaq bieb is-soghba ta’ l-imghoddi.
Fuq din il-qerda titla’ d-dar komuni
u jsehh il-kmandament il-gdid: ‘qatt izjed’.
Minn guf dix-xwejha hargu l-mewt u l-hajja.

Europa

Europa, anche questo sogno è antico,
l’ha fatto il grande per ingrandirsi sugli altri,
l’ha disegnato secondo la mappa di una fortezza,
l’ha costruito con battaglie nei campi rossi
e l’ha desiderato quando era preso dalla fame e [sbadigliò.

Dalle macerie concimate infine è spuntato un fiore
che non è stato calpestato in tempo, e il suo profumo
suscitò curiosità e generò rimpianto.
Mentre crollavano le dinastie si è sentita l’idea
che mai più dovrà cadere il buio di prima.
L’Europa vecchia ha mischiato senno e follia,
spesso pagando trenta pezzi d’argento
per comprarsi carne e sangue, ha giocato con i dadi
sul vestito del Crocefisso, ha demolito il mondo
per poi ricostruirlo. E forse domani
si socchiuderà la porta del rimpianto del passato.
Su questa distruzione si erga la casa comune
e si avveri il comandamento nuovo: “mai più”.
Dal grembo di questa vecchia sono uscite morte e vita.

(traduzione libera)

Entro questa cornice si inserisce l’ampio discorso sulla regionalità. Si è partiti dall’esistenza di numerose nazioni, che ora stanno cercando di rafforzare la convinzione di poter organizzare la loro collaborazione economica e finanziaria, partecipando ad una specie di unicità di interessi. È un progetto culturale e formativo, la cui sede sarebbe la scuola a tutti i suoi livelli. Nazioni diverse diventano così membri di una federazione, anche se finora non si chiama in questo modo. Non più Comunità economica europea, ma Unione europea, e presto probabilmente diventerà una specie di Europa unita, se il processo di allargamento continua a espandersi in tutte le direzioni. Dal concetto di insularità nazionale si è passati al concetto di unione continentale. Superando gli stretti confini di nazionalità, si deve comunque riconoscere la realtà regionale.
Probabilmente l’Europa unita sarà presto costretta dalla stessa realtà che si sta delinenando con ritmo regolare a riconoscere frontiere interne, quelle che allargano la definizione storica di nazionalità. La regionalità può essere l’aspetto geografico-culturale più importante che garantisca il consolidamento dell’unità. Regione significa partecipazione ad una comune realtà internazionale, che è quella che è proprio perché una posizione territoriale implica caratteristiche naturali e umane di tipo particolare. La specificità di una regione non è “stretta” come quella di una nazione, né è troppo astratta e generica come potrebbe sembrare quella di un continente. Forse entro questi confini si trova la via di mezzo tra il tutto e le parti.
La regione, ad esempio il Mediterraneo

Si è cominciato di recente a parlare con insistenza del Mediterraneo. Nei programmi di studio di varie università si includono oggi i cosiddetti “studi mediterranei”. Si organizzano congressi e festival di vario tipo, si pubblicano libri specializzati, sono varie anche le riviste di natura accademica. La bibliografia internazionale, europea ed extraeuropea, è veramente vasta. Spesso le iniziative sono anche merito di Paesi non mediterranei, e ciò indica il riconoscimento di una continentalità supernazionale.

Molte attività mirano a creare una consapevolezza particolare: esiste il Mediterraneo, entità storica, geografica e culturale. Questa nuova importanza che la regione sta assumendo in termini accademici e letterari è indicativa della dimensione culturale del progetto politico. Tutto ciò, naturalmente, può essere detto delle altre regioni, componenti di un tessuto multiforme e complesso. Cito il Mediterraneo come realt£ che conosco direttamente.
Malta mette in chiara evidenza tutto questo: la necessità di guardarsi in faccia, di prendere piena consapevolezza di se stessi, prima di guardare l’altro, il diverso, il lontano. La cultura ha il vantaggio di comunicare questo senso di immediatezza, di concretizzare un’astrazione come può sembrare sotto alcuni profili l’idea di un unico continente per tutti gli abitanti. Tale discorso prende in considerazione la condizione di chi è consapevole di che cosa significa far parte, ad esempio, di un piccolissimo Paese, anzi di un’isola, cioè di un’eccezione relativa, una rarità. Malta, ad esempio, è così.
Qui entra il discorso sulle radici, e di ciò parlo in questi versi: di una mediterraneità che accomuna tanti popoli:
Il riconoscimento dell’esistenza di radici diverse è già una profonda conquista culturale, e la politica crea le strutture adatte a rafforzare e a sviluppare tale condizione. La letteratura ha fatto molto, almeno dall’epoca romantica in poi, a definire le radici in termini che non sono soltanto scientifici. Tanta letteratura del Novecento ha esplorato nuovi modi di guardare questa dimensione della convivenza, e la nuova letteratura dell’epoca delll’unificazione europea sarà certamente in una posizione ancora più vantaggiosa per conquistare una visione intera, oggettiva e attuale.

La realtà diversa delle isole

Il mondo non è fatto di isole, ma le include come punti di riferimento, tappe misteriose per il viaggiatore, sicure fermate di riposo, riflessione e scoperta. Il navigatore è veramente l’abitante più autentico dell’isola, e ciò implica un’intera cultura siccome questi pezzi di terra sono diverse dal resto della terraferma, dove una terra si affianca ad un’altra. Il confronto dell’isolano si svolge con una realtà diversa da quella su cui lui posa e in cui trova la propria sicurezza. La terra significa continuità, mentre l’oceano evoca il flusso continuo. Tanta letteratura si ispira a questa tipologia metaforica, lessicale, psicologica.
Le isole sono, per così dire, interruzioni, soste temporanee. Tutte hanno una loro cultura, frutto di rapporti e di distacchi. Il loro punto di riferimento è inevitabilmente il grande centro, remoto ma forse anche interiore. Ulisse, modello e personaggio, diventa così una figura non soltanto poetica ma anche politica. Il mito spesso si incarna in una situazione politica. La letteratura del viaggio è probabilmente il documento più consistente e autentico dell’Europa della tradizione. Si anticipa così il bisogno di approdare a nuove terre, di riconoscere i vicini e i lontani.

Di questa vita isolana, dove passato e presente convivono con uguale ansia e tranquillità, mi sono occupato per numerosi anni nella mia narrativa, ad esempio nei romanzi La menzogna (De Ferrari Editore, Genova, 1997), Gizimin li Qatt ma Jiftah (“Gelsomino che non si apre mai”, Mireva, Malta, 1998) e It-Tfal Jigu bil-Vapuri (“I bambini arrivano con la nave”, Mireva, Malta, 2000). Il tema è allo stesso tempo un campo di ricerca specializzata e una fonte d’ispirazione letteraria. Se messe in atto da una sola persona, queste due esperienze devono condurre alle stesse conclusioni, cioè al riconoscimento del rapporto tra analisi e rappresentazione della vita.
La maturità nazionale – probabilmente l’aspetto più pratico di ogni progetto culturale nato all’interno di uno specifico contesto, di una particolare comunità – si raggiunge maggiormente attraverso la capacità di adattarsi, di inserirsi armonicamente nel grande quadro, di integrarsi, finalmente di potersi riconoscere nell’altro, cioè nel tutto che è diverso. D’altra parte, essere mediterraneo (ad esempio maltese, nel mio caso) significa anche essere cosmopolita, figlio/a del mondo, la risultante dell’incrocio di varie culture fuse in un unico “sistema” umano. A Malta si incontrano diverse civiltà (ad esempio, la lingua maltese è di origine araba) e la coscienza tipica vi si trova in mezzo a varie sfumature.

La cultura regionale come partecipazione

“Mediterraneo” significa una grande nazione, costituita da diversi microcosmi nazionali: diversità e unità, indipendenza e interdipendenza, distanze e vicinanza. La cultura, particolarmente la poesia, celebra questa sintesi in varie epoche diverse lungo la storia, sempre ribadendo l’essenziale tramite la celebrazione di qualche aspetto particolare. Ad esempio, l’Europa illuminista scoprì la necessità della diffusione dell’educazione e proclamò la supremazia della ragione. Spettava poi all’Europa romantica costruire una nuova cultura sulle basi della precedente: diffondere l’educazione significa affermare la propria identità, mentre la ragione doveva anche cercare l’appoggio del sentimento. Si tratta di una serie di opposti tutti fusi in una specie di unità.
È la cultura tradizionale a prevedere la necessità di tradurre le conquiste dello spirito in conquiste politiche, istituzionali. Così si poteva organizzare meglio le idee, e garantirle un futuro sicuro a tutti i livelli. La nascita della democrazia, un fenomeno politico, è frutto del pensiero letterario antico, e così è accaduto poi nella storia moderna. Anche il Realismo, l’Esistenzialismo e tante altre correnti recenti hanno influito in modi spesso contraddittori alla formazione della nuova Europa di cui facciamo parte noi oggi. Le radici sono molto antiche, e sono culturali, mentre le conquiste sono recenti, e di natura istituzionale. L’Unione europea stessa è documento della continuità tra pensare e agire, e si può considerare questa nuova realtà collettiva come il punto culminante di varie esperienze nazionali, ora messe insieme come organismo in cui le parti e l’insieme funzionano come tali.
Anche se ogni discorso generico su una “cultura europea” è destinato a rimanere troppo astratto, il fatto politico-economico dell’unificazione deve per forza implicare luoghi comuni, punti di contatto, continuità culturale internazionale. La storia dell’arte europea mette già in evidenza una consistente linea di sviluppo che passa da un Paese all’altro, anche se con ritmi che variano e con sfumature che distinguono. Sono proprio le diversità a necessitare l’unificazione.
Questo modo di pensare può aiutare molto ad avvicinare il mondo della politica al mondo della cultura, anche perché la storia passata spesso mescola i due senza fare distinzioni. Siamo partiti dal concetto del re filosofo e siamo arrivati al riconoscimento dell’unificazione dell’Europa attraverso lo sviluppo delle diverse culture, ora messe più di prima in un rapporto di reciproco apprezzamento.
Del resto, lo studio di natura comparata, come è, ad esempio, la critica letteraria di questo genere, ha da tempo messo in evidenza quanto vicine siano state intere tradizioni culturali che altrimenti sarebbero sembrate del tutto estranee tra di loro.
La mediterraneità, dunque, significa allo stesso tempo sentirsi parte di un fenomeno assai più vasto e al contempo essere un’entità a sé. In altri termini, essere parte di una regione in qualsiasi parte è già un fatto completo, ma è anche incompleto, nel senso che si può riscontrare subito la propria individuale identità nel mondo “esterno”, nell’insieme.

Le isole come tappe culturali

Ci sono anche isole che hanno assunto il carattere di nazioni. Sono microcosmi completi. L’Unione europea, come entità recente, esperienza nuova, può aiutarci ad arrivare ad un’interpretazione contemporanea, attuale, della nostra condizione geografica, e dunque politico-culturale.
Prendiamo il caso di Malta. Cosa significa essere maltesi? In qual modo può la cultura europea di oggi rafforzare ciò che la tradizione è riuscita a conservare e coltivare? Tradizione e modernismo: in qual modo possono coesistere? Sono temi di natura culturale, proposti a causa di una realtà fondamentalmente politica, economica.
Malta: cito questo caso non soltanto perché è per me il più riconoscibile, ma pure perché si può parlare di isole, di piccole terre, e di terre di frontiera, come realtà particolari. Partecipano ad una specie di identità comune a tutte loro, anche se storia e natura le hanno messe in posizioni diverse e lontane.
Dai tempi dei cartaginesi, degli arabi, dei normanni, dei Cavalieri di San Giovanni, dei francesi, degli inglesi, solo per citare le dinastie più importanti, Malta ha cercato di plasmare tutte queste influenze in un’identità propria. È stata occupata per moltissimo tempo da dominazioni straniere, e attraverso questo processo ha riformato la sua complessa, paradossale, identità. È l’identità creativa del dominato, una specie di alternativa alle proposte dei dominatori. Lingua, strutture politiche e sociali, tradizioni, pregiudizi sono tutte caratteristiche di una comunità sempre esposta all’idea del bene come diverso da se stessa, alla percezione del potente come quello che essa non può mai diventare. Prendendo le mosse dal caso specifico di un’isola particolare, si può subito arrivare a conclusioni analoghe nei confronti di altre simili realtà. L’Unione europea è fatta anche di realtà politiche che si rassomigliano a causa di processi culturali comuni. Il caso di Malta e di Sicilia, tra l’altro, è particolarmente interessante. Le due isole hanno avuto per lungo tempo una sola, identica storia. Appartengono al Sud. Il tema del Sud è anche importante per la formazione di un’interpretazione regionale della nuova realtà continentale.
L’Europa forse adotterà una politica specifica nei confronti delle isole, e in particolare di quelle veramente piccole. Parlo di isole-Stati, che spesso non hanno una dimensione superiore a quella di una città-Stato. Decenni fa s’imponeva questo quesito: potrà mai una specie di Atene antica far parte dell’Unione europea? Il tempo ha dato una risposta positiva. L’allargamento del 2004 è stato un avvenimento senza precedenti, unificando regioni diverse, riconoscendo i grandi e i piccoli come protagonisti di un progetto di comprensione e di collaborazione. Così è stato superato il duplice pericolo dell’isolamento e dell’assorbimento.
L’isola è per necessità un mondo interno aperto all’esterno. Tanta vita di un’isola dipende da ciò che arriva da lontano, da oltreoceano, la porta sempre aperta in attesa di visitatori. In questo senso la cultura che le isole possono offrire al resto dell’Unione europea è un documento di sopravvivenza, di attesa e di realizzazione del proprio senso di essere e di appartenere. Le lezioni “isolane”, chiamiamole così, sono sempre esempi di diversità, siccome i grandi centri sono anche punti di arrivo, mete raggiunte, sedi di potere e di rinnovamento. Le piccole isole normalmente seguono le novità arrivate dall’estero, hanno una speciale capacità di tollerare e di attendere.

Non si può dimenticare che nelle isole il tempo ha un suo particolare ritmo, più lento, tanto diverso da quello dei grandi centri. Questa idea del tempo “relativo”, di vario ritmo, può spiegare, forse anche giustificare, tante cose, tra l’altro la presenza attiva del passato, cioè del passato come presente. Questo fenomeno si suol chiamare, con una semplificazione, tradizionalismo, e delle volte è scambiato per arretratezza, ma non lo è. Le diversità coesistono nel presente perchè si tratta di una specie di immobilità. Nelle isole le tradizioni sono profondamente radicate, perché non sono esposte alle bufere delle grandi città. Il turismo moderno, particolarmente quello di stampo culturale, ha le sue radici in questo terreno della cultura popolare. Tanta pubblicità turistica si ispira inconsapevolmente ai modelli della fantasia tipicamente romantica dell’Ottocento e a tradizioni poetiche e narrative del Novecento. Frasi, metafore, simboli, immagini: vari modelli del turismo contemporaneo sono di origine poetica. Anche questa dimensione dell’immaginario collettivo oltrepassa i confini del territorio specifico.
Terra e mare: sono i due aspetti che definiscono un’isola come fusione di ciò che è stabile e ciò che è in moto perpetuo. Il mare per gli isolani, oltre a sembrare un muro infinito, rappresenta anche lo spazio, la liberazione, la possibilità di andare oltre il limite, di scoprire il nuovo e il diverso.
In ogni maltese c’è un navigatore, un marinaio. Siamo tutti figli del “gran padre Ulisse”. È doveroso per ogni maltese sentirsi vicino al mare, come nuotatore, come animale che conosce ugualmente la terra e il mare, due spazi che gli sono entrambi naturali e ininterrottamente contigui. L’esistenza sembra tradursi in alternanza tra vita in mare e vita sulla terra. Certi villaggi sono più vicini al mare geograficamente, e dunque la loro cultura è più marinara: cibo, temperature, atmosfera, tradizioni, turismo, economia. Il pescatore è il personaggio centrale, l’Ulisse medio, rappresentando il sacrificio e il successo, l’attesa e l’arrivo. Ecco perché in una mia storia (inclusa in Storie per una sera, Edizioni Santi Quaranta, Treviso, 1994) il ragazzo del mare che aspettava i pescatori e li vedeva partire rappresenta il sistema economico della sua famiglia: per lui il bene arriva dal mare. Del resto, scrittore di un’isola, ho trovato sempre naturale ispirarmi al mare, al richiamo dell’acqua, che costituisce anche una strada verso gli altri, le terre oltreoceano.
Un’Europa unita sicuramente dà maggiore significato a questo tipo di rapporto, dal momento che l’unificazione conduce verso l’avvicinamento, emanando dalla necessità di riconoscersi in ciò che è sia identico sia diverso.
È anche uno sforzo teso ad eliminare le distanze, a superare i limiti, ad offrire la reciprocità come alternativa. Si tratta di sfide politiche ed economiche, ma spetterà alla cultura indirizzarle sulla giusta strada.

Arresto cardiaco: il mio viaggio

Posso dire di conoscere anche la voce, ormai muta, della vita che se ne va. È stato un rumore profondo, affondato in un silenzio improvviso. Nessun dolore, soltanto la sensazione di precipitare nel nulla. In superficie, avevo sentito le parole preoccupate dei medici, intenti ad applicarmi un “congegno”, al quale ora contrapponevo di colpo un arresto cardiaco del tutto inatteso. Poi, quel silenzio, sempre più silenzioso. Nient’altro.
Allora, era quella la tanto temuta fine? Quando ho ripreso conoscenza ho avuto di che pensare.
È tutta lì, dunque, quella luce di vita, per cui la gente muore o ammazza, pur di tenerla accesa? Chi ha dato al mio muscolo preferito l’ordine di bloccarsi? E senza motivo, poi! Allora, tutto si riduce ad una specie di scatto subitaneo, da interruttore elettrico.
Incredibile: un arresto cardiaco insegna molte cose. La velocità dei pensieri che scatena è vertiginosa; in una botta sola, rileggi la tua vita; hai persino il tempo di renderti conto ch’è finita; il fulmine che t’ha colpito non concede posto al pianto.
Come dicevo in principio, è una voce muta che se n’è andata, e basta. Per tutto questo cataclisma esistenziale, è sufficiente che il battito s’arresti. Siamo veramente delicati, e ci diamo tanta importanza...

È sufficiente un “clic”, come quello dell’interruttore della luce. Infatti, la cosa che improvvisamente più mi è mancata è stata la luce. Sono caduto in un vortice di buio, e già nell’attimo in cui me ne rendevo conto, mani esperte mi recuperavano alla vita; un viaggio brevissimo, intenso.
Ho visto e pensato tante cose simultaneamente, sembravano fuochi d’artificio alla scarica finale, dopo la quale riverberava ancora una residua striscia di fuoco filante e denso il silenzio, soprattutto il silenzio nella notte sopraggiunta. Può un boato sotterraneo trasformarsi in semplice avvertenza di traguardo tagliato?
Lo so che sono stato per morire; ma è stato bello, mistico, solenne, essenziale. Era il lampo che spariva, il lampo dell’esistenza, tutto lì.
Mi sono accorto che ero salvo, quando le voci dei medici chini su di me, che borbottavo qualcosa, sono tornate tranquille. Il mio comportamento era stato coerente: non a caso avevo preteso un’ambulanza che non suonasse a perdifiato la sirena.

florio santini

Tramontalba caldo abbraccio

Quando il tempo si innamora di se stesso, quando cerca di abbracciare ogni possibile luce, quando è festa e lutto nello stesso istante, quando il giorno che finisce si consegna a uno che comincia, quello è il tempo della tramontalba. Quello è il tempo di pazienza e ansia. Di chiarore e di buio. Di mistero. È il tempo in cui gli aquiloni volano più alti, in cui i sogni sono più leggeri. Quello è il tempo in cui tutto si inabissa, tutto riaffiora, e le ore andate e quelle che verranno sono onde schiumose sopra la battigia.
Tramontalba è un silenzio e un urlo. Tramontalba è una trincea d’amore, la brodaglia di una cena, l’avventura di una sera, il ritornello di una canzone, tramontalba è il destino che ti aspetta al varco, tramontalba è una preghiera, solitudine, limpidezza, alambicco, carezza, è la dolcezza di un’estate allo sfiorire, la tristezza di un autunno al cominciare, la primavera come una memoria, l’inverno come un caldo abbraccio. Tramontalba è la vita.
E la vita vuole raccontare Pierluigi Mele con le sue poesie del libro intitolato Tramontalba, pubblicato dalle edizioni Moscara associati.
È una pretesa, quella di Pierluigi Mele, presuntuosa, disperata. Perché la vita è sempre altrove, non è mai in una poesia. Perché la poesia è nella lontananza dalla vita, è nel ricordo della vita, ai margini di ogni storia, è sui fondali della memoria, nel tempo già vissuto, nel viaggio già finito, nelle parole pronunciate, nei gerani ormai appassiti, nella dalia dei bouquet natalizi, nei conti già pagati.
Presuntuosa, disperata, questa pretesa di raccontare la vita. Assurda buffa folle. Ma Pierluigi Mele vuole tentare l’impresa. Come ogni grande stupido poeta che non ha mai capito la differenza. O che non si vuole arrendere al fatto di averla capita. E allora la sfida, cerca i modi per violarne i confini, vuole sperimentare nella propria mente, sulla propria pelle, che la distanza è incolmabile, che è inutile ogni fatica.
Ma anche questo – soprattutto questo – è tramontalba.
Tramontalba è il bosco segreto, la zona franca, il porto clandestino in cui la vita e la poesia si possono incontrare lontano da ogni indiscrezione, sfuggendo ai guardacoste delle categorie, confondendo le loro fisionomie, trafficando ogni sorta di ricordi, di amori favolosi, di malinconie, raccontandosi le storie che sono, che sono state, o come si sono immaginate, come sono incominciate, come sono finite, come si cerca di non perderle, di non farle morire.
Prima d’ogni altra cosa è questo, tramontalba: è la poesia che dilaga nella penombra delle stanze, tra le lenzuola calde del ricordo di un amore, è lo sfibrarsi di un sole sulla fronda degli ulivi, è il sentire che ogni giorno, ogni parola, ogni verso è sempre l’ultima occasione per dimostrare a se stesso di esistere, per ritardare un solo istante la morte.

antonio errico

 

   
   
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