Sullaltro fronte, luomo che aspira
ad essere
smemorato resta pur sempre uno sciocco. Peccato per lui, che si
ostina a vedere solo il dito e gli sfugge la visione della luna.
|
|
Erano opulente come il mais le soldatesse polacche che guidavano
i camion con le vettovaglie per gli eserciti che stavano liberando
lItalia, e che in piccola parte risalivano la penisola anche
dal Salento. Insieme con costoro giunsero anche la gomma da masticare
e le sigarette aromatizzate, arrivarono la farina bianca per il
pane e la pasta, i salamini che erano parenti stretti
dei würstel, la carne con i piselli in scatola che decenni
dopo avrei ritrovato alla mensa dellAccademia di West Point,
la marmellata gialla, lo zucchero inglese, le coperte
di lana merino con cui tanti si fecero cucire addosso un cappotto
per proteggersi dai rigori dellinverno
Non fu la fine della fame, fu linizio di una fame meno atroce,
destinata ad essere poi sconfitta dalle granaglie che dalle pianure
della Corn Belt venivano sbarcate nei nostri porti affollati di
vecchie navi da trasporto Liberty. Fu la disponibilità di
medicinali decisivi, dai sulfamidici agli antibiotici, che sostituirono
i vecchi intrugli con i quali prima si moriva sistematicamente.
Fu lavvio della ricostruzione fisica e morale di un Paese
che era già arretrato, che una guerra tanto insensata quanto
devastante aveva messo in ginocchio, e che non sarebbe mai riuscito
a rialzarsi senza laiuto dellAmerica: dei cereali americani,
dei capitali americani, dei piani Unrra ed Erp americani.
Sicché io potrò essere in disaccordo con una certa
politica americana, con alcune o molte iniziative planetarie americane,
con determinate azioni economiche e finanziarie americane. Ma benedirò
sempre e comunque gli Stati Uniti dAmerica che mi hanno fatto
assaporare da bambino, dopo i traumi degli allarmi, delle fughe
e dei bombardamenti, il gusto del pane bianco e quello della libertà,
che unaltra e piuttosto consistente parte dellEuropa,
finita sotto il tallone comunista, non ebbe la fortuna di conoscere.
Ho viaggiato molto, e ho dunque potuto toccare con mano, e non son
venuto a sapere per caso o per sentito dire, che cosa ha significato
per Paesi rasi al suolo (Germania, quella Federale, e Italia e Giappone)
essere inclusi nella sfera del sistema politico ed economico occidentale,
che ancora oggi non sarà il migliore dei mondi possibili,
ma sicuramente è stato il mondo perfettibile che, solo, poteva
garantire libera parola, libere idee, libero mercato, libero movimento,
libero confronto. E tutto questo mi è stato indispensabile
per vivere il mio tempo, perché chi non ha memoria del passato,
ha detto il presidente Ciampi, non ha futuro.

Nessuno, dunque, mi potrà rubare la memoria, perché
non ho alcuna intenzione di piegarla alle passioni politiche che
impediscono anche ai miei figli, cioè alle nuove generazioni,
di essere padrone del loro avvenire. E non ci sarà alcun
bisogno di negare la Storia, di averne paura, tenendo quelle generazioni
prigioniere in zone prive di significato e separate dalle radici.
E, fra le vicende vissute da tutti noi negli ultimi sessantanni,
ineliminabile è la parte avuta dalla bandiera a stelle e
strisce, quella che lingratitudine di tanti contemporanei,
per violento spirito di parte, per vocazione alla menzogna, per
strumentale smemoratezza, ha portato al rito a suo modo macabro
delle bandiere americane date alle fiamme in alcune piazze del Belpaese.
Smemorarsi consapevolmente oppure no vuol dire impoverire
le proprie ragioni. Offendere la bandiera di un Paese e di un popolo
che aiutò i nostri genitori a ritrovare la pace e a conquistare
un benessere sconosciuto nel nostro passato significa rendere più
fragili i sentimenti a difesa di una nuova pace.

È stato scritto: non si potrebbe malignamente immaginare
scena più controproducente di gruppi di pacifisti incattiviti,
armati di pezzi di ferro davanti a un drappo che brucia. Dove sono
appassiti i fiori che i loro predecessori mettevano sulle bocche
dei cannoni? Dove sono finite lintelligenza e la lealtà,
che fine ha fatto la convinzione che non si possono più portare
torto e censura alla Storia? Quando potremo contare su classi dirigenti,
politiche, economiche, sociali, intellettuali, non accanitamente
ideologizzate, che la smettano di trasformare il confronto con lavversario
in criminalizzazione del nemico?
Emblematico quanto è accaduto con i tornado (il Katrina,
in particolare) che hanno colpito gli Stati Uniti, seminando come
sempre, e magari più di sempre, distruzione e morte. Sappiamo
che il ciclo climatico planetario sta cambiando, che non è
possibile prevederne i comportamenti, che non sempre le misure prese
per la protezione delle popolazioni sono sufficienti. Sappiamo tutto
questo, e altro ancora. E possiamo oggettivamente dire che nel caso
del Katrina la portata dei rischi è stata sottovalutata,
e che lAmerica si è dovuta mettere non al passo, ma
al trotto con la riorganizzazione degli interventi di protezione
civile, anche se una città-gioiello come New Orleans, culla
della poesia e della musica afro-americana, non potrà riemergere
dal limo prima di uno, forse anche due anni.

Ma non è questo ciò che è stato messo in evidenza
da chi ha scritto non le cronache, ma le sentenze contro Washington,
contro lattuale Presidente americano, e soprattutto contro
il capitalismo e il libero mercato. I corrispondenti dei maggiori
quotidiani italiani, compresi quelli che si sono venduta lanima
pur di essere distaccati a New York, e i guru del giornalismo nostrano,
compresi i residuati fossili della partigianeria più livorosa
e i Grandi Maestri del Pensiero Unico, hanno attribuito al sistema
occidentale le colpe delle rovine causate da un evento naturale
che di per sé è sempre imponderabile; hanno sproloquiato
di abbandono delle popolazioni nere, come se la morte avesse fatto
distinzioni fra wasp e afro; hanno discettato sulla negatività
dellidea capitalistica, che può seminare solo guerre,
lutti, distruzioni. Sono, questi personaggi, coloro i quali vivono,
agiscono, lavorano, e soprattutto guadagnano da veri e propri capitalisti;
affollano i salotti buoni, che in tanto sono buoni in quanto fanno
fronda o fanno opposizione, e sorvolando su evidenti conflitti di
ordine etico ostentano tenori di vita come status symbol perfettamente
intrisi di interessi capitalistici; predicano lodio politico-sociale
ad uso e consumo del popolo che considerano bue, mentre tengono
in vita una lobby ferrigna, priva di pudori e di scrupoli, soprattutto
priva di una volontà propositiva di dialogo per il bene comune,
nel nome di una nefasta supremazia degli intellettuali (e presunti
intellettuali) resi ciechi dal bisogno accanito di servilismo dottrinale.
Katrina ci ha fatto vergognare di avere stretto la mano, in altre
occasioni e circostanze, a tanti di costoro: che pure sono sopravvissuti
grazie alla farina americana, alla cioccolata americana, alla carne
in scatola americana, al latte in polvere americano, con cui si
sono nutriti essi stessi, o coloro i quali li hanno messi al mondo.
E grazie alla libertà portata dagli americani e dalla loro
idea di centralità delluomo, contro lideologia
della massificazione nullificante delluomo.
Dal momento che la Storia non si ripete mai allo stesso modo, il
pesante ritorno dellideologia va esaminato con occhi nuovi.
Sono ideologie singolari, infatti, quelle che oggi rifiutano di
prendere in esame la sostanza dei fatti, perché sono interessate
piuttosto al tornaconto che favorisca esoteriche confraternite di
gruppi, partiti, cuginanze e affini. Esse pretendono
di non conoscere dogmatismi, si presentano come spregiudicate e
pragmatiche, in affari e in politica, mentre hanno un colore di
profondo nichilismo, soprattutto perché il loro pragmatismo
è una traduzione eufemistica di opportunismo, di utilità.
Così è per tutte le verità, ad esempio, nel
nichilismo descritto da Nietzsche: nessuna verità esiste
in quanto tale, come ricostruzione fedele dellaccaduto («LEssere
manca», annuncia Zarathustra), sia quando il vero si esprime
nella morale, sia quando si esprime nella giustizia o nelle leggi.
La verità non la si scopre, la si crea al posto del Dio ucciso.
La nozione di sostanza si sgretola, decomponendo poi anche lIo
col senso di responsabilità e di colpa che gli appartiene.
Tutte queste cose Verità, Valori, Storia sono
sostituite dalla nozione di Utilità, che è volontà
di potenza sciolta da qualsiasi legge, poiché non tollera
poteri concorrenti. Anche questo è tipico dellintellettuale
ideologizzato, il quale non intende veder confutata o limitata (legibus
soluta) la propria verità: solo che oggi si finge spregiudicato
e pragmatico, nel momento in cui fa quadrato attorno alla propria
ideologia. Nellessenza il nuovo ideologo non è democratico,
se per democrazia si intende qualcosa di più che il prevalere
della maggioranza, qualunque essa sia. Democrazia è una storia
lunga, che accanto al volere maggioritario ha instaurato, a partire
da Montesquieu, un principio fondamentale: «Perché
non si possa abusare del potere, bisogna che il potere freni il
potere». È una verità semplice e breve: che
in Italia fatica a passare.
Perché da noi la questione morale si trasformi finalmente
in qualcosa di fecondo, è necessario che alle storture italiane
si risponda con determinazione, riconoscendole come storture e non
ricorrendo alla strategia degli scontri che trasformano tutte le
verità e le leggi in quelle che Nietzsche chiama supposizioni,
e che dalle nostre parti assumono regolarmente la meno nobile sostanza
dellinsulto, e persino dellingiuria. Occorre riconoscere
che i poteri di controllo (checks and balances, controlli
e contrappesi) sono utili, e non malvagi. Non a caso il premio Nobel
Robert Mundell ha sostenuto che, di fronte agli scandali, «importante
è avere la reazione giusta»: che vuol dire soprattutto
manifestare una decisa indignazione pubblica. Le verità sono
sempre laconiche. Nel Decalogo, quella che Thomas Mann chiama «la
quintessenza della decenza umana», è riassunta in appena
dieci parole. Per un intellettuale italiano non sarebbero state
sufficienti dieci pagine in folio.

Qualcuno si è chiesto: ma che cosè la memoria?
E ha risposto che è innanzitutto unesperienza individuale,
determinata dal modo in cui i protagonisti di un evento lo hanno
vissuto e dal modo in cui in seguito ne hanno elaborato il ricordo.
Ogni protagonista ha la propria memoria, altri ne hanno una condivisa.
Ma esiste anche una memoria ufficiale, ed è cosa
ben diversa. È una costruzione a posteriori, influenzata
dalle contingenze, dalle forze egemoni in ambito politico e soprattutto
in ambito culturale. Per questo essa è mutevole. Cambia con
il cambiare dei contesti e delle contingenze.
Questo specifico tipo di memoria, in Italia, è afflitto da
unantica malattia che si prolunga nel tempo senza cambiamenti
di rilievo. È una memoria perennemente in guerra, che ripropone
gli schieramenti e le contrapposizioni dei giorni ai quali rimanda.
Nel frattempo abbiamo riconquistato la libertà, la Repubblica
si è bene o male consolidata, profonde crisi politiche sono
state superate, il comunismo è crollato... Non per questo,
però, la guerra della memoria si è sopita. Da una
parte e dallaltra gli eredi dei combattenti di un tempo si
sono trovati daccordo soltanto su un punto: impedire che le
loro memorie originarie fossero superate dallevoluzione di
un obiettivo sapere storico. È nato da qui quello che Raymond
Aron ha definito «il romanticismo da guerra civile»:
con il passare degli anni e il succedersi delle generazioni leffetto
è stato la cristallizzazione dello scontro iniziale, divenuto
conflitto permanente.
Sullaltro fronte, luomo che aspira ad essere smemorato
resta pur sempre uno sciocco. Peccato per lui, che si ostina a vedere
solo il dito e gli sfugge la visione della luna. Pur di difendere
il proprio mondo immaginario (il suo mondo ideologico) disimparerà
a vedere il mondo qual è, le passioni che lo spingono, la
sete di giustizia che lo agita, le stesse alchimie che possono tenerlo
in equilibrio. Non gli sarà stato di giovamento pensare che
il mondo comè sia o una mera supposizione o un coacervo
di poteri e magari di ressentiments da controllare.
E continuerà a bruciare memorie e bandiere, e a vivere nellangolo
ottuso dei propri (non riconosciuti, dunque non riscattati) fallimenti,
convinto delle proprie inoppugnabili certezze, dellinossidabilità
della casta e delle sue neo-lingue politiche orwelliane, mai opache,
mai confutabili, mai spogliate dal filo sleale del dogma.
È soltanto una parte della nostra società politica
e dellintellettualismo italico a dispiegare il proprio velenoso
antiamericanismo? Tuttaltro. Siamo in buona compagnia. Eric
Conan sostiene, ad esempio, che lantiamericanismo francese
si definisce non per la sua ostilità verso gli Stati Uniti,
ma per il modo irragionevole e irrazionale con cui lo esprime: «Disprezzo
della realtà dei fatti, esagerazioni, malafede, menzogne
storiche, ingiurie». E aggiunge: «È un mistero
francese: la critica nei confronti dei dirigenti americani, esercizio
legittimo e anzi necessario se si tiene conto del loro stile e del
loro comportamento presente e passato, degenera invariabilmente
nella stupidità antiamericana».
Nato più di due secoli fa, con la creazione della nazione
americana, lantiamericanismo transalpino è un fenomeno
complesso; il bersaglio delle sue invettive è stato, a seconda
delle epoche, o lAmerican way of life, cioè il suo
stile e la sua cultura, oppure il suo rapporto con il resto del
mondo, cioè la sua potenza commerciale, militare e tecnico-scientifica.
Un conflitto edipico come sostiene Conan sembra essere
allorigine di tutto ciò. La Francia, che fu la prima,
nel 1778, a riconoscere lAmerica nella famiglia delle nazioni,
fu subito coinvolta nel ribollimento di questo nuovo Paese. Le élites
create dallIlluminismo erano divise tra linteresse per
lenergia di questi immigranti fuggiti dallEuropa e il
disgusto per la loro mancanza di raffinatezza. Nacque così
una tradizione letteraria che si aprì con Stendhal, infastidito
da questo popolo «che non conosce lopera», e con
Baudelaire, il quale, eccezion fatta per Edgar Allan Poe, non vi
vedeva altro che «una barbarie illuminata con la luce a gas».
Il paradossale capolavoro prima della destra nazionalista e poi
della sinistra stalinista è stato quello di alimentare lodio
contro lAmerica, grazie al complesso del signor Perrichon,
cioè di quel personaggio di Eugéne Labiche il quale
era pieno di astio nei confronti del suo giovane salvatore perché
gli doveva la vita. Ebbene: la Francia ha perso due guerre mondiali,
la prima e la seconda, che sono state vinte per lei dagli anglo-americani;
e dopo il 45 sarebbe letteralmente morta di fame se non ci
fosse stato lintervento massiccio del Piano Marshall.
Le cronache antiamericane sono ricche anche di vicende che riguardano
la Germania, che pure agli Stati Uniti deve buone ragioni della
sua riunificazione. I socialdemocratici, gli intellettuali, una
parte dei giornalisti, hanno attaccato duramente lAmerica
che scendeva in campo contro lIraq per compiervi un «assassinio
di massa». Intanto la Norvegia assegnava il Nobel per la pace
a un presidente americano incolore, come Carter, opponendolo allunilateralista
Bush, mentre la Svezia assegnava i premi Nobel per la letteratura
ad un attore-giullare italiano (antiamericano), poi ad una scrittrice
ritenuta dai più una pornografa (antiamericana), e adesso
ad un autore di teatro che definisce il Presidente americano un
genocida e quello britannico un idiota, e che in una sua poesia
(God Bless America, Dio benedica lAmerica) sinventa
un «Dio americano» che «puzza» in un«aria
di morte»; e fa tornare alla mente quel che accadde il giorno
in cui, ricevendo a Firenze una laurea ad honorem, costui mise in
imbarazzo i colti e le inclite perché al posto della lectio
magistralis di prammatica pronunciò una violenta invettiva
«contro limperialismo americano». Il mattino seguente
segnò una data storica del terrore planetario, frutto dellodio
seminato (e premiato) a larghe mani: era l11 settembre 2001,
il giorno dei massacri alle newyorkesi Torri Gemelle.
La Germania ha forse dimenticato quel che vide il cielo sopra i
suoi länder non liberati dagli anglo-americani? Ha dimenticato
la Norvegia daver avuto, insieme con la Francia, un capo di
governo collaborazionista ai tempi di Hitler? E la Scandinavia ha
scordato daver avuto un Nobel per la letteratura che era filonazista,
Knut Hamsun? E che ne sarebbe stato del Regno Unito, senza la potenza
statunitense alle spalle, e poi in prima linea, nel più feroce
conflitto della storia universale? E Stoccolma ricorderà
che i premi assegnati come segnale politico sono destinati
a squalificare chi li riceve, anche se può essere indiscutibile
il suo valore letterario? I rumori della vigilia avevano
considerato unassegnazione al turco Orhan Pamuk (nella sua
patria finito sotto processo). Gli si è preferito un drammaturgo
inglese che non vuole più scrivere di teatro e che dedica
prose e versi allantioccidentalismo più sfrontato.
Che è quello che rende di più, agli intellettuali
impegnati e alle editrici che fanno moda e affari senza porsi troppe
domande.
Illusi e stoltamente romantici, cioè leali, fedeli al patto,
siamo noi, in tempi di abiure, di memoria volatile, di abili giravolte,
di carsici mercantilismi politici. Fuori tempo sono coloro i quali
magari rammentano che il Male, lImpero del Male, non è,
non può essere unilaterale, che idee e prassi saturnine si
sono dispiegate anche (e tanto di più) sull altro
fronte, quello volontaristicamente inesplorato o giustificato
e ancora invocato dopo l89! dalle filibuste
che per inoltrarsi nel futuro sanno fare solo dietro-front; che
rubano i ricordi; che sono mandanti morali dellomicidio della
memoria; che rendono vischioso il progresso per il quale dicono
di battersi; che infestano opere e giorni, ozi e negozi, e inquinano
menti e coscienze per meglio dominarle, in attesa di una Macchina
Neo-orwelliana che, abraso il passato, scriva le nostre esistenze
di anonimi organici lobotomizzati numeri nel sole depensante dellavvenire.
|