Dicembre 2005

NUOVI VALORI ECONOMICI

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Un’altra idea
della ricchezza
Patrick Viveret Filosofo dell’Economia
 
 

 

 

 

 

Nel contesto
attuale in cui
i problemi
ecologico,
educativo e sociale sono divenuti
decisivi, il Prodotto interno lordo non
ci dice più con
esattezza quanto siamo ricchi.

 

Dietro ogni forma di calcolo della ricchezza nazionale, Prodotto interno lordo compreso, ci sono delle precise scelte sociali. Noi ci comportiamo come se le contabilità nazionali fossero neutre e oggettive, mentre sono in realtà delle convenzioni che rispondono a scelte storiche.
Oggi c’è la necessità di un dibattito democratico sul calcolo della ricchezza. Ad esempio, è necessario capire che gli stessi attentati terroristici finiscono per far crescere la ricchezza nazionale del Paese colpito: dal momento in cui ci sono flussi monetari, essi sono registrati positivamente nelle contabilità nazionali e nel Prodotto interno lordo. Il Pil contabilizza infatti valori aggiunti commerciali o flussi monetari provenienti dalle amministrazioni pubbliche.

Ciò avviene anche per le catastrofi industriali a forte impatto ambientale. Evidentemente, non è la catastrofe in sé che fa avanzare il Prodotto interno lordo, ma i flussi monetari ad essa collegati. Le contabilità nazionali non si interessano alla natura delle attività e non distinguono le attività pericolose dalle altre. Inversamente, molte attività utili, necessarie o persino vitali non vengono registrate poiché non producono flussi monetari. Ad esempio, il volontariato, le attività domestiche, il fatto di dare la vita. Tutto ciò non sarà ufficialmente considerato come ricchezza di un Paese.
È così almeno da quando sono stati creati gli attuali sistemi di contabilità nazionale dopo la seconda Guerra Mondiale. Allora, la priorità era la ricostruzione e l’enfasi fu posta sulla produzione industriale. Si sono dunque creati sistemi di contabilità che permettono di valorizzare questo tipo di produzione. Inversamente, non si è tenuto conto di questioni come quella ecologica, che non erano all’ordine del giorno. Questa scelta era già discutibile all’epoca. Ma nel contesto attuale in cui i problemi ecologico, educativo e sociale sono divenuti decisivi, questo tipo di contabilità è divenuta largamente inadatta a rappresentare le questioni d’avvenire della nostra società.
Ciò vuol dire che il Prodotto interno lordo non ci dice più con esattezza quanto siamo ricchi, e a mostrarlo sono altri indici, come quello di “salute sociale” calcolato in alcuni Paesi fin dal 1959. Si tratta di un modo di calcolo che tiene conto di ben sedici aspetti della vita sociale, compresi la mortalità infantile, i suicidi, gli incidenti stradali. Quando si confronta storicamente questo indice col Prodotto interno lordo, ci si accorge che a partire dagli anni Ottanta, in modo particolare nei Paesi anglosassoni, si produce uno sganciamento. Il Prodotto interno lordo continua a crescere, mentre l’indice di salute sociale stagna oppure si contrae. Per forme di ricchezza tanto essenziali come la salute, non c’è più progressione.

Si è già cercato di correggere questa distorsione. Infatti esistono i cosiddetti indici di “benessere economico” che sottraggono dal conto del Prodotto interno lordo le attività considerate come distruttrici, e invece tengono conto di fenomeni innegabilmente positivi, come il volontariato. Nonostante il monopolio del Prodotto interno lordo non sia mai stato messo in dubbio, da una quindicina di anni c’è un autentico lavoro di ricerca internazionale.
Il monopolio del Prodotto interno lordo comporta dei rischi. Per comprenderli, è utile considerare l’indice noto come “impronta ecologica”: cioè la superficie terrestre necessaria per produrre ogni anno le risorse che sostentano una persona e per smaltire i suoi rifiuti. Confrontando le impronte ecologiche nei vari Paesi, ci si rende presto conto che se tutti gli Stati adottassero il nostro stile di crescita, un solo pianeta non basterebbe più. E di gran lunga, se riflettiamo ad esempio sull’attuale progressione economica della Cina. Il nostro modo di crescita si mostra di fatto insostenibile e occorre dunque cambiarlo.
Occorre, cioè, fargli prendere un’altra direzione, per farci tornare a una concezione della ricchezza pensata – secondo l’accezione originaria – come ciò che conta: la qualità relazionale, la qualità della vita, la qualità ecologica. Si tratta di ricchezze essenziali. Inversamente, occorrerebbe smettere di credere che tutto ciò che contiamo sia una ricchezza. Una passeggiata fra amici a piedi in una foresta sarà vista come totalmente improduttiva o persino controproduttiva nel nostro attuale sistema di conti. Un maxi-ingorgo in centro, al contrario, produrrà molta ricchezza nel senso contabile del termine. In qualche modo, siamo giunti a dei limiti di ricchezza nell’ordine dell’avere, come mostra anche il proliferare dell’economia speculativa. Ma esistono ancora margini enormi di crescita in termini di benessere.
Dunque, è in fondo un problema etico, nel senso della priorità da dare ai valori. Ma vi è accanto un problema politico e democratico, dal momento che le scelte contabili non possono essere viste soltanto come oscure scelte tecniche. Dietro, dovrebbero esserci invece sempre autentiche scelte della società civile.

 

   
   
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