Si eviterebbe così il rischio di un
collasso per
il quale i termini
di Hiroshima
e di Armageddon potrebbero non
essere esagerati.
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Robustissima da un punto di vista tecnologico, imponente per la
quantità di risorse, quella straordinaria costruzione che
è leconomia americana può essere, per certi
versi, paragonata alla Torre di Pisa: sono allopera forze
riconoscibili, e perfino misurabili, che tendono ad accentuare la
pendenza di questo famoso monumento ma, per quanto la sua caduta
sia astrattamente certa, essa si colloca in un futuro indeterminato,
mentre nellimmediato è possibile allontanarla con vari
espedienti. Se si ragiona sul giorno per giorno, in assenza di una
causa scatenante, il crollo della torre, come quello delleconomia
americana, potrebbe non avvenire mai.
Le vulnerabilità delleconomia americana possono esser
fatte risalire ai deficit, tra loro correlati, della bilancia commerciale
e delle finanze pubbliche, che rendono indispensabile lafflusso
costante di risorse finanziarie dal resto del mondo, attratte dalle
opportunità di investimento, dalla superiorità tecnica,
dalla flessibilità e dai rendimenti dei mercati americani.
Questo afflusso continuo deve derivare, in ultima analisi, dal potere
di attrazione degli Usa, il quale, a sua volta, può poggiare
sulla persuasione e sulla manifesta eccellenza tecnico-finanziaria
(il cosiddetto soft power) oppure su forme di egemonia e di costrizione
(il cosiddetto hard power). Esso implica, in definitiva, che le
attività in dollari accumulate dagli altri Paesi, comprensive
degli interessi pagati su questo debito, non vengano mai convertite
in altre monete e quindi non lascino mai il sistema finanziario
americano. Per mantenere in salute leconomia americana, il
dollaro deve pertanto conservare il ruolo di moneta di riserva e
la posizione centrale nel sistema delle transazioni monetarie mondiali.
In queste condizioni, i deficit americani sopra indicati, e in particolare
il deficit con lestero, esercitano un potente effetto di stimolo
sulleconomia dei Paesi che sono esportatori netti nei confronti
degli Stati Uniti e, per loro tramite, sullintera economia
mondiale.
La possibilità pratica che il dollaro perdesse questo ruolo
centrale era sostanzialmente nulla fino a pochi anni fa per la mancanza
di un possibile sostituto. La situazione si è nettamente
modificata con la comparsa sulla scena delleuro, il quale
ha dato origine a un mercato finanziario di ben altre dimensioni,
in grado di sostenere una domanda di attività denominate
in euro provenienti da Paesi che vogliano diversificare le proprie
riserve. La zona euro, del resto, costituisce uneconomia di
dimensioni non molto inferiori a quella americana; è espressione
di mercati finanziari più liquidi che in passato, dai quali
è quindi più facile entrare e uscire; e la politica
monetaria della Banca centrale europea e il Patto di stabilità
pur con lallentamento del marzo 2005 sono garanzie
assai solide contro avventure inflazionistiche.

Già si era verificata, a partire dal 1971, anno dello sganciamento
del dollaro dal cambio fisso con loro, una tendenza alla moderata
riduzione del ruolo di riserva della moneta americana e, non a caso,
tale tendenza ha subìto unaccelerazione dopo la comparsa
delleuro. Va aggiunto che il dollaro non ha premiato, ma anzi
ha punito, con le forti decurtazioni di valore subìte dopo
lo sganciamento dalloro nellagosto 71, la fedeltà
dei Paesi che lo adottano come moneta di riserva. Come ha sostenuto
appropriatamente The Economist in una preoccupata analisi del 2
dicembre 2004, «in passato non era mai successo che il Paese
che svolge la funzione di custode della principale moneta mondiale
di riserva fosse anche il maggior debitore netto mondiale. In quanto
debitore, può avere la tentazione di usare la svalutazione
per ridurre il proprio deficit estero, il che non è certo
appropriato per una moneta di riserva».
Se queste analisi sono corrette, perché si continua a utilizzare
il dollaro come moneta di riserva ben al di là del peso delleconomia
americana negli scambi internazionali? In ultima analisi, i motivi
principali sono due, entrambi di natura complessa in quanto incorporano
elementi di carattere economico ed extraeconomico, e possono essere
definiti come timore reverenziale e ottimismo
tecnologico.

Il timore reverenziale è determinato: a) da considerazioni
di natura politico-strategica; b) da ragionevoli valutazioni economiche:
se le politiche di differenziazione delle riserve portassero a unapprezzabile
perdita di valore del dollaro, i prodotti esteri negli Usa diventerebbero
più cari. I Paesi che delle esportazioni verso gli Stati
Uniti hanno fatto la struttura portante della propria strategia
di crescita avrebbero minori possibilità di espandere la
produzione. Si aggiungano anche la paura di ritorsioni commerciali
americane, di cui esiste una lunga casistica e, per converso, un
certo potere contrattuale nei confronti degli Stati
Uniti da parte di Paesi che hanno la qualifica di creditori. Questo
può spiegare perché un Paese come il Giappone sottoscrive
regolarmente una quota importante delle emissioni di titoli del
debito pubblico americano.
Lottimismo tecnologico consiste nella speranza che le innovazioni
di processo e di prodotto realizzate negli Usa, spesso nei settori
della cosiddetta nuova economia, producano profitti elevati e sostengano
la crescita americana. Appannatosi dopo gli insuccessi finanziari
che determinarono le forti cadute di Borsa del 2000-2001, lottimismo
tecnologico è rispuntato nel 2004 nella prospettiva che Internet,
le biotecnologie, lelettronica avanzata, le nuove forme di
spettacoli di massa si affermino definitivamente. Meglio allora
investire in questeconomia apparentemente debole, perché
potrebbe avere in sé quanto occorre per superare, magari
in tempi medio-lunghi, lattuale condizione di indebitamento
e per ristabilire un primato monetario accanto al primato tecnologico
e industriale.
Il rimbalzo del dollaro, verificatosi nel febbraio 2005, pare attribuibile
alleffetto congiunto di questi due motivi: il timore reverenziale
è leggermente cresciuto grazie al buon andamento delle elezioni
irachene e allevoluzione della situazione politica in Libano
e in Palestina, e lottimismo tecnologico ha fatto un passo
avanti con il crescere delle-commerce nelle vendite natalizie.
Questo rimbalzo ha, ancora una volta, rimosso le paure immediate
che avevano indotto osservatori estremamente autorevoli, come leconomista
Paolo Savona e il chief economist di Morgan Stanley, Stephen Roach,
ad esprimersi in termini estremamente preoccupati, inducendo luno
a parlare di pericolo di un«Hiroshima valutaria»
e di una «Seconda Grande Crisi», e laltro di «Armageddon»
(il luogo del conflitto supremo tra le nazioni, secondo lApocalisse).
È inoltre servito a rendere ancora una volta meno urgenti
le decisioni sulle cause strutturali della debolezza del dollaro:
un ragionamento pacato e distaccato sul futuro del biglietto
verde rimane quindi ancora possibile.
Tale ragionamento parte dallassunto che le decisioni economico-finanziarie
e in particolare quelle degli operatori finanziari siano influenzate
da fattori di tipo non economico e, più specificamente, di
tipo politico-militare. Questa possibilità è generalmente
trascurata, e solo raramente inserita negli schemi strutturali delle
analisi dei mercati finanziari, anche per la difficoltà di
stabilire correlazioni precise tra cause non economiche ed effetti
economici.

Parzialmente legata a fattori extraeconomici risulta linfluenza
questa sì, ben misurabile della dimensione
petrolifera. Il petrolio gioca un ruolo del tutto particolare nelleconomia
americana, assai diverso da quello che riveste nelle economie di
altri Paesi avanzati; lassenza pressoché totale di
imposizione fiscale indiretta sul prezzo dei carburanti ne determina
un prezzo estremamente basso poco più di un quarto
di quello europeo che si traduce in un suo uso smodato,
per cui il prodotto lordo americano ha unelevatissima intensità
energetica.
La mancanza di un cuscinetto di imposte indirette sullacquisto
di carburanti e combustibili preclude agli Usa la possibilità,
aperta invece agli altri Paesi avanzati, di contrastare, e, al limite,
di neutralizzare con riduzioni fiscali gli aumenti nel prezzo del
greggio. Per conseguenza, tali aumenti si traducono, nel giro di
poche settimane, in aumenti del prezzo della benzina alle pompe
dei distributori, dellelettricità e dei trasporti aerei,
e da questi punti di attacco gli stimoli inflazionistici possono
diffondersi allintero sistema produttivo con rapidità
molto superiore a quanto succede altrove. Questo spiega, tra laltro,
perché la Borsa americana sia estremamente sensibile alle
variazioni del prezzo del greggio.
Si può così costruire uno scenario di crisi,
teso a individuare la catena di eventi che può scatenare
un collasso della moneta americana.
Una congiuntura politica che contribuisca a provocare un rialzo
immediato e sensibile del prezzo del petrolio (tale sviluppo è
purtroppo realistico nellintricata situazione mediorientale)
costituisce quindi un fattore esogeno di estrema importanza nel
determinare landamento delleconomia americana nel breve
periodo. Non si tratta, naturalmente, di un mero caso di scuola.
La somma di fattori politici e di fattori petroliferi sfavorevoli
ha già prodotto, nella seconda metà del 2004, importanti
effetti: in poco più di sei mesi il dollaro ha perso il 6-7
per cento del proprio valore rispetto alla media delle altre valute,
a febbraio 2005 lindice dei prezzi al consumo segnava un aumento
tendenziale del 3 per cento contro l1,9 del dicembre 2003,
e la Federal Reserve aveva portato al 2,75 per cento il tasso sui
federal funds dall1 per cento del gennaio 2003.
Lazione della Fed, ritmata da una cadenza abbastanza regolare
e preannunciata di piccoli aumenti, di solito dello 0,25 per cento,
è basata sulla speranza che questo rialzo dei tassi sia sufficientemente
lieve e graduale da non provocare bruschi contraccolpi né
sul mercato finanziario, caratterizzato da un elevato indebitamento
delle imprese, né sulle finanze familiari, anchesse
contrassegnate da un imponente carico di debiti. Una simile stretta
creditizia, accuratamente diluita nel tempo, dovrebbe solo rallentare
e non soffocare la crescita. Si eviterebbe così una contrazione
di consumi e investimenti e si ridurrebbe il rischio di un collasso
per il quale i termini di Hiroshima e di Armageddon potrebbero non
essere esagerati.
Avendo delineato, con lo scenario di crisi, una sorta
di mappa delle vulnerabilità americane, è possibile
ricavarne al contrario le condizioni alle quali la crisi può
essere evitata e costruire lo scenario di non crisi.
Appare chiara, da quanto detto, limportanza cruciale dellevoluzione
politica mediorientale: se gli americani potessero ridurre la propria
presenza in Iraq e le spese relative, se la pace tra arabi e Israele
potesse effettivamente diventare una prospettiva credibile, vi sarebbero
effetti benefici immediati sul deficit pubblico americano e sul
prezzo del petrolio.
Lo scenario precedentemente illustrato potrebbe allora essere percorso
a ritroso: il dollaro riprenderebbe fiato, la situazione finanziaria
delle famiglie e delle imprese americane troverebbe sollievo, si
realizzerebbero probabilmente una discreta ripresa di consumi e
investimenti, un aumento di importazioni dal resto del mondo e dei
saldi attivi che il resto del mondo mantiene impiegati nel sistema
finanziario americano. Il crollo della Torre di Pisa sarebbe rinviato,
senza peraltro che le cause strutturali che determinano laccentuarsi
della sua pendenza fossero eliminate.
Sarebbe errato ritenere che di fronte a queste prospettive il mondo
politico ed economico americano sia incosciente o indifferente.
Sembra piuttosto che, dopo un esame strutturale in tempi lunghi,
lAmministrazione abbia deciso che il rischio dellArmageddon,
pur presente, debba essere corso perché le alternative vengono
considerate incompatibili con i princìpi di fondo della società
e della politica americane. Lesame dellampia letteratura
neocon e di molte dichiarazioni ufficiali non lascia dubbi sul fatto
che lAmministrazione consideri il panorama mondiale estremamente
minaccioso e la sua evoluzione spontanea estremamente sfavorevole.
A questa conclusione si perviene in primo luogo mediante lanalisi
dellevoluzione demografica e delle migrazioni, destinate a
ridurre a livello mondiale il peso degli Stati Uniti e, allinterno,
quello della componente anglosassone della loro popolazione, e in
secondo luogo guardando alla rapidissima ascesa economica di altre
potenze, a cominciare dalla Cina. Se ne trae la conclusione di dover
utilizzare al massimo la finestra di opportunità
rappresentata dallattuale, indiscusso predominio americano
in campo tecnologico ed economico per regolare anche in futuro i
rapporti fondamentali tra Paesi; di dover affrontare una tenzone
internazionale di lungo periodo dagli esiti incerti, al di là
di retoriche affermazioni in senso contrario, con oppositori che
vengono altrettanto retoricamente definiti come il Male,
il Terrorismo e simili. La decisione stessa di un duro
impegno militare in Iraq e la prospettiva di altre possibili avventure
militari implicano che, in questa visione del mondo, la stabilità
economica immediata passi in seconda linea e prevalga la valutazione
che il rischio di unArmageddon economica sia in ogni caso
contenuto e preferibile a quello di una più distante Armageddon,
magari di tipo nucleare.
Allinterno non manca la consapevolezza che lintroduzione
massiccia di innovazioni tecnologiche nei modi di produzione si
traduce in mutamenti nella distribuzione e nella qualità
dei redditi. Non si può ignorare che, per mantenere invariato
il proprio potere dacquisto, buona parte delle famiglie americane
è oggi costretta a lavorare di più di dieci-venti
anni fa. Va inoltre considerato che, mentre in passato i salari
riprendevano immediatamente a salire al termine di una fase recessiva,
dopo lultima flessione produttiva del 2001 sono addirittura
scesi, sia pur leggermente, per i primi quindici mesi di ripresa
e hanno recuperato i livelli di fine recessione solo dopo quasi
due anni; 32 mesi dopo la fine della recessione, il livello medio
dei salari reali risultava aumentato di un po meno del 3 per
cento, contro più del 10 per cento delle riprese precedenti.
La variazione nei modi di produzione ha spesso reso i redditi unitari
da lavoro non solo più esigui in termini reali, ma anche
meno sicuri, e ha contemporaneamente reso necessario un investimento
di risorse molto superiore al passato nellaumento e nel mantenimento
del capitale umano; gli strumenti finanziari che hanno consentito
finora di ridurre lincertezza di lungo periodo, come i sistemi
pensionistici pubblici e privati con un beneficio definito, appaiono
difficilmente sostenibili di qui a due o tre decenni, pur risultando
lallarme lanciato dal Presidente americano nel discorso sullo
stato dellUnione del 30 gennaio 2005 sicuramente prematuro
ed eccessivo.
Da queste analisi, il governo americano sembra trarre conclusioni
opposte a quelle prevalenti in Europa, le quali derivano da una
diversa valutazione dello scenario mondiale. Di fronte alla grande
competizione di lungo periodo in cui gli Stati Uniti si sentono
impegnati per ribadire il proprio predominio e stabilire regole
che ne garantiscano il futuro remoto si sceglie una franca
e accelerata accettazione dellarretramento del lavoro; le
politiche economiche e industriali devono facilitare la transizione
verso un altro tipo di sistema produttivo e distributivo, invece
di rallentarla o di difendere a oltranza quello esistente. Si spiega
così, tra laltro, oltre al citato tentativo di sostituzione
dei sistemi assistenziali con altri più chiaramente variabili
e meno favorevoli per il lavoratore medio, la politica, dichiarata
da Bush dopo la sua rielezione, di ridurre lormai inaccettabile
squilibrio dei conti pubblici mediante la compressione della spesa
sociale, mentre saranno ancora accresciute le spese per la difesa
e la sicurezza.
Ci si può allora domandare come mai una contrazione dei consumi
non sia avvenuta ma, anzi, questi mostrino una certa tendenza a
espandersi vivacemente, tanto da contribuire in maniera considerevole
allelevato tasso di crescita messo a segno dagli Stati Uniti
nel 2004.
Una parte della risposta sta nellaumento del numero dei consumatori,
derivante da un tasso di crescita della popolazione degli Stati
Uniti ufficialmente pari all1,3 per cento, al quale bisogna
aggiungere una cifra stimabile attorno allo 0,3-0,5 per cento di
immigrazione clandestina, che però contribuisce sia a far
salire i consumi sia a tener bassi i salari. Unaltra parte,
più interessante per lanalisi delle politiche economiche,
sta nelle abitudini di risparmio degli americani. I dati mostrano
chiaramente la marcata tendenza alla riduzione del risparmio delle
famiglie come percentuale del reddito disponibile. Essa è
nettamente maggiore dellequivalente tendenza europea e ha
portato nel 2004 il risparmio effettivo delle famiglie americane
in prossimità dello zero.
Le famiglie sono incoraggiate a proseguire in questo atteggiamento
non tanto, o non solo, da fattori culturali che si traducono in
unelevata propensione al consumo, ma dalla crescita dei loro
patrimoni anche in assenza di risparmi. Si realizza così
il cosiddetto effetto ricchezza, in base al quale una
parte dellaumento dei consumi viene ad essere determinata
non già da un aumento, temporaneo o permanente, dei redditi,
bensì da un aumento dei valori patrimoniali.
Questa crescita era assicurata, fino al 2000, dallandamento
dei listini borsistici, in un Paese in cui la grande maggioranza
dei cittadini è, direttamente o per tramite dei fondi pensione,
proprietaria di azioni. Si poteva quindi immaginare che le cadute
di Borsa del 2000-2001 e lincerto andamento successivo avrebbero
frenato la volontà di consumo, innescando una tendenza depressiva.
Ciò non si è verificato perché la politica
di forte riduzione del costo del denaro ha, da un lato, fatto salire
il valore dei titoli a reddito fisso e, dallaltro, ridotto
il costo dei mutui edilizi, scatenando una fortissima domanda di
acquisto di abitazioni. Laumento della domanda si è
in parte ripercosso sulla produzione edilizia che ha raggiunto livelli
da primato, prodotto un più ampio effetto di stimolo sulleconomia
e, in parte, provocato uno spettacolare aumento dei prezzi delle
abitazioni. Negli Stati Uniti la maggioranza delle famiglie è,
a un tempo, proprietaria dellabitazione in cui vive e soggetta
al pagamento delle rate di un mutuo (sovente a tasso variabile).
Leffetto ricchezza legato alle abitazioni ha sostituito
leffetto ricchezza legato alle azioni. La strategia
economica americana sembra orientata a proseguire su questa strada,
compensando andamenti non favorevoli del reddito con andamenti favorevoli
delle componenti patrimoniali.
Gli Usa sembrano così comportarsi come un automobilista con
il serbatoio vuoto, pronto a riempirlo con ciò che trova,
nella speranza che il suo veicolo continui a funzionare. A chi lo
rimprovera per la sventatezza di un simile comportamento, lautomobilista
ribatte che è inseguito da un nemico e che solo così
può riuscire a mettersi in salvo. Quanto il nemico esista
effettivamente e quanto grave sia il pericolo di un arresto improvviso
è motivo di forte differenza di opinioni tra la gran parte
del mondo economico e politico americano e quasi tutto il resto
del pianeta.
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