Dicembre 2005

L’Europa utile

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Operazione mari puliti
Mario Pinzauti  
 
 

 

 

Anche quando non ci sono naufragi di petroliere le acque e le coste del
Mediterraneo
continuano ad
essere sede
di pesanti
inquinamenti.

 

A Bruxelles – città che nei cartelloni dell’aeroporto si presenta come “capitale del Belgio e dell’Europa” (in realtà, è solo la sede di alcune importanti istituzioni dell’Unione) – uno dei piatti forti di ogni programma turistico di gruppo è, da qualche anno, una visita al Parlamento europeo. Qui cittadini di ogni Paese dell’Europa comunitaria sono accolti da funzionari che parlano perfettamente la loro stessa lingua (il numero dei traduttori in servizio presso questa istituzione, 5.400, è senza pari nel mondo e assorbe una buona parte – 1 miliardo di euro ogni anno! – delle spese amministrative interne).
Guidati dagli stessi funzionari, in un’ora e mezzo-due ore, gli euroturisti visitano poi l’enorme sala dove si riuniscono, in assemblea plenaria, i 732 parlamentari di 25 Paesi, gli spaziosi emicicli che ospitano le venti commissioni, i corridoi-labirinti dove ci sono gli uffici dei gruppi politici, dei singoli deputati e delle loro segreterie, di dirigenti, funzionari, impiegati, uscieri. Dopo dieci minuti di rilassante coffee break in uno dei bar del Parlamento, l’ultima tappa è in una saletta dove i componenti del gruppo possono rivolgere domande al funzionario che ha fatto loro da guida per ottenere chiarimenti su quanto hanno visto e sentito e anche per avere informazioni su qualsiasi aspetto della politica e dell’attività dell’Europa comunitaria.
Le domande sono, di solito, piuttosto generiche. Riguardano, ad esempio, le caratteristiche e i poteri delle istituzioni. Talvolta – ma piuttosto raramente – emergono accenni critici, come quando qualcuno chiede di sapere se è vero che un certo numero di deputati europei, tra gli altri gli italiani, sono pagati molto bene e aggiungono allo stipendio generosi rimborsi spese e anche il mantenimento – a carico del Parlamento – del loro staff.

Ci racconta tutto questo, durante un nostro viaggio di lavoro a Bruxelles, uno dei funzionari che guidano le visite al Parlamento europeo. Gli chiediamo: «E domande sull’Europa utile», cioè sui benefici pratici che i cittadini ricevono dalle iniziative dell’Unione? Il funzionario allarga le braccia e scuote la testa. «Non ci crederà: ma ci capita di sentirle ogni morte di papa. E non solo – aggiunge il nostro interlocutore – da parte dei turisti. Altrettanta scarsità d’interesse per quella che lei definisce l’Europa utile è dimostrata da gran parte dei suoi colleghi, i giornalisti, che avrebbero, credo, il dovere d’informare i cittadini sui piccoli e grandi benefici pratici che la “fabbrica Europa” produce per loro».
Il funzionario si aspetta che noi ci affrettiamo a smentire la sua affermazione. Non ci sentiamo di farlo. Allora il nostro interlocutore affonda il coltello nella piaga con un esempio di fresca attualità: «Mi sa dire quanti giornali e altri mezzi d’informazione hanno presentato e illustrato con adeguato risalto le iniziative dell’Unione – annunciate il 12 luglio da Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione europea – per proteggere le nostre coste e i nostri mari dall’inquinamento da petrolio?».
Non siamo in grado di dirglielo. Possiamo però promettergli che almeno i lettori della nostra rubrica saranno informati su quest’ultima prodezza – vedrete che la definizione è meritata – dell’Europa utile.

Detto e fatto. Una breve ricerca ed ecco che, con questo articolo, la promessa è mantenuta.
Cominciamo col precisare che l’iniziativa dell’Europa utile di cui stiamo per parlare è una normativa adottata il 12 luglio di quest’anno dal Consiglio dei Ministri dell’Unione, su proposta della Commissione europea e del Parlamento europeo, allo scopo di creare difese efficienti contro l’inquinamento da petrolio delle coste e dei mari dell’Europa comunitaria. Difese che – e non da oggi – sono non solo indispensabili ma anche estremamente urgenti.
Lo si è affermato diffusamente, in questo caso su tutta la stampa e a livello mondiale, quando sono naufragate le superpetroliere “Erika” e “Prestige” e centinaia di chilometri di coste e tratti marini sono stati letteralmente avvelenati da veri e propri fiumi di petrolio. [La petroliera “Erika” si spezzò in due tronconi al largo delle coste bretoni il 12 dicembre 1999, riversando nel mare atlantico oltre 10 mila tonnellate di greggio; la “Prestige” naufragò nel novembre di tre anni fa al largo delle coste della Galizia, nel nord ovest della Spagna, lasciandosi dietro una marea nera di 77 mila tonnellate di gasolio. Il disastro più grave per il nostro Paese, invece, risale al 1991, quando affondò nel mar Ligure la petroliera “Haven”, che riversò in mare 50.000 tonnellate di petrolio, con danni irreparabili alla flora e alla fauna. N.d.R.].
Poi il problema è stato messo in archivio, allontanato dall’attenzione dell’opinione pubblica e, purtroppo, anche da quella di molti politici. Tuttavia è rimasto aperto: e in forma grave. Questo perché anche quando non ci sono naufragi di petroliere le acque e le coste dell’Unione, soprattutto quelle del Mediterraneo, continuano ad essere sede di pesanti inquinamenti. Avviene per gli illeciti scarichi in mare effettuati da un certo numero di petroliere. Per effetto di questi scarichi nel solo Mediterraneo vengono gettate, ogni anno, dalle 100 mila alle 150 mila tonnellate di petrolio, provocando danni enormi al turismo e alla pesca.
Sono, dicevamo, scarichi illeciti. Contravvengono infatti alle norme per la sicurezza marittima mondiale stabilite da un’agenzia dell’ONU, la IMO (International Marittime Organisation). La maggioranza degli operatori marittimi rispetta queste norme. Una minoranza invece non lo fa: ed è sufficientemente consistente da provocare un rischio d’inquinamento permanente per le nostre coste, i nostri mari, i loro habitat naturali, le comunità locali.
È per riportare al rispetto delle regole questa spregiudicata e pericolosa minoranza che, con la sua normativa, è intervenuta l’Unione europea. L’ha fatto istituendo un’Agenzia europea per la Sicurezza Marittima che non intende porsi in competizione con l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ma aggiungersi ad essa. Vediamo come. Anzitutto, l’Agenzia europea, parlando a nome di 25 Paesi che, complessivamente, hanno una flotta che rappresenta il 24 per cento del totale mondiale, ha, internazionalmente, particolare autorevolezza e quindi notevoli possibilità di ottenere attenzione e considerazione. Operando sulla base di quanto ha stabilito il Consiglio dei Ministri dell’Unione, essa contribuisce inoltre a rendere più difficile il mancato rispetto delle norme internazionali sulla sicurezza marittima. Spieghiamolo meglio con un esempio.
Finora, in applicazione delle norme internazionali, l’inquinamento di acque e di coste con illeciti scarichi in mare di petrolio veniva punito soltanto se risultava avvenuto per responsabilità del proprietario della nave o del capitano. Con la normativa dell’Unione l’arco dei possibili colpevoli da identificare e da punire s’allarga al gestore della nave, al noleggiatore e agli ufficiali responsabili del controllo della petroliera. I cento e uno trucchetti – legali e no – per evitare le sanzioni previste contro coloro che deliberatamente, incautamente o per leggerezza inquinano mari e coste diventano così più difficili. E nasce la speranza di riuscire a convincere un sempre maggior numero di operatori della navigazione a rispettare le regole.
Attualmente ogni anno lungo le coste dell’Unione europea viene trasportato circa un miliardo di tonnellate di petrolio. Quello che viene scaricato abusivamente in mare costituisce circa il 10 per cento del totale. Nel giro di qualche anno, con l’applicazione della nuova normativa, dovrebbe ridursi al 5 per cento, anche meno.
Per raggiungere questo risultato, l’Agenzia europea sarà dotata di strumenti adeguati – ad esempio, di un satellite che dal cielo monitorerà le navi sospette e segnalerà i loro spostamenti ai porti interessati – ma avrà bisogno anche della collaborazione di tutti i governi dei 25 Paesi dell’Unione, in particolare di quelli che hanno mari e coste da difendere dall’inquinamento. Questi governi saranno invitati, anzi saranno obbligati dalla normativa, ad effettuare più severi controlli sulle navi in transito e a tenere gli occhi più aperti che in passato sulla totalità del traffico marittimo.
Per questa operazione, che potremmo definire “coste e mari puliti”, il sostegno dei mezzi d’informazione – si fa notare a Bruxelles, nelle sedi delle istituzioni – sarebbe non solo gradito ma importante.
E, aggiungiamo noi, sarebbe anche doveroso. Siamo in presenza di una grossa, positiva notizia: che promette, oltretutto, séguiti di notevole interesse. Un esempio: l’Unione europea ha già chiesto il progressivo ritiro dalla navigazione delle petroliere a scafo unico e l’aumento dei risarcimenti per le vittime dell’inquinamento.
La guerra europea agli avvelenatori di mari e di coste va dunque avanti. Gli operatori dell’informazione non possono, con il silenzio, nasconderla all’opinione pubblica.

 

   
   
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