Sebbene non si possano negare ampi segmenti
di marginalità
e povertà,
gli immigrati
producono reddito, generano
risparmio
e innescano
ingenti flussi
di rimesse.
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Nella percezione comune limmigrazione viene considerata un
fenomeno emergenziale; è facile dimenticare che, una volta
varcate le frontiere, gli immigrati lavorano e abitano con noi,
producono beni e servizi indispensabili per il funzionamento della
nostra società, ne consumano altri, nascono, muoiono, si
sposano o intrecciano relazioni affettive con italiani o con altri
stranieri, frequentano scuole e corsi di formazione, partecipano
anche se per ora quasi esclusivamente al di fuori dei canali
istituzionali alla vita politica del nostro Paese, sono protagonisti,
o vittime, di conflitti sociali, religiosi o politici. In una parola:
vivono.
Caratteristiche ed entità della presenza straniera in Italia
Alla stregua di tutti i Paesi industrializzati, lItalia per
la posizione geografica e per le caratteristiche socio-economiche
esercita una sensibile attrazione nei confronti delle popolazioni
dei Paesi in via di sviluppo e dei Paesi sotto-sviluppati. LItalia
ha iniziato la propria carriera di Paese di immigrazione a cavallo
tra la fine degli anni Sessanta e linizio degli anni Settanta,
quasi senza rendersene conto e senza esservi preparata né
dal punto di vista istituzionale né a livello sociale-culturale.
E noncuranza, per non dire disattenzione, è stata
per molto tempo la parola dordine.
Solo nella seconda metà degli anni Ottanta si percepiscono
i primi sintomi di una svolta. Si comincia a chiedere agli esperti
e alle istituzioni statistiche di spiegare quanti sono gli immigrati,
si cerca ragionieristicamente di contarli, si formulano stime mirabolanti,
espressive più dello sconcerto e dellallarme sociale
che il fenomeno suscita che delleffettiva capacità
di quantificare un universo così eterogeneo e sfuggente.
Limmigrazione, come dimostrato anche da questansia di
quantificazione, viene percepita e affrontata da subito in termini
di emergenza, come una calamità naturale imprevista e imprevedibile,
che arriva dallesterno in una società che ne farebbe
assolutamente a meno. E tale approccio caratterizza ancora oggi
parte della nostra popolazione.
In Italia le politiche migratorie sono ancora oggi oggetto di continui
conflitti, nelle aule parlamentari come in tutta la società,
e il nostro Paese è lungi dallaver elaborato una dottrina
chiara sulle politiche dintegrazione. In realtà, lelemento
inconfutabile è che la presenza straniera è ormai
una componente ineliminabile e una caratteristica strutturale della
società italiana e tale constatazione dovrebbe bastare a
convincere della necessità di affrontare la questione con
maggiore incisività.
Il fenomeno dellimmigrazione in Italia ha conosciuto un intenso
e costante andamento positivo negli ultimi anni, tanto che i dati
più recenti stimano una presenza pari a 2,7 milioni di immigrati
alla fine del 2004, pari a circa il 4,6% della popolazione residente
nel nostro Paese.

Ai cittadini immigrati e alle famiglie presenti attualmente sul
territorio nazionale occorre aggiungere anche coloro che soggiornano
senza regolare permesso: le stime sono in questo caso più
difficoltose e si va dalle 200.000 presenze irregolari segnalate
dalla Fondazione ISMU alle 600.000 dei sindacati e alle 800.000
rilevate dallEurispes. La distribuzione degli immigrati sul
territorio italiano riflette le caratteristiche socio-economiche
e il grado di sviluppo economico-industriale delle differenti macroaree:
circa il 58% degli immigrati, infatti, si concentra al Nord, dove
il sistema economico è innegabilmente più maturo ed
è maggiore il numero di opportunità occupazionali.
Il Centro ospita circa il 28% degli immigrati, mentre al Sud e nelle
Isole si stabilisce solo il 15% del totale, un numero significativo
ma residuale. Probabilmente un dato di questo tipo è riconducibile
al fatto che nel Mezzogiorno è molto elevata la presenza
degli irregolari, i quali, comprensibilmente, non sono contemplati
nelle statistiche.
Caratteristico del nostro Paese è poi un trend in crescita
negli ultimi anni della componente femminile (dal 46,7% nel 2001
al 48,4% nel 2003), indicatore di stabilizzazione del flusso migratorio.
Le donne, infatti, tendono ad arrivare solo in un secondo momento,
quando gli uomini sono sufficientemente stabilizzati e integrati
nel Paese di arrivo per poter sostenere un ricongiungimento familiare.
La forte presenza, poi, di immigrati coniugati (circa la metà)
rafforza ulteriormente lipotesi che quella italiana sia una
tipologia di progetto migratorio meno avventuroso e
tendenzialmente definitivo.
Lorizzonte temporale di lungo termine e le caratteristiche
di stabilità che caratterizzano il progetto della maggior
parte degli immigrati vengono confermati dalle motivazioni per cui
essi hanno ottenuto la regolarizzazione. Il 90,4% di essi è,
infatti, presente in Italia per motivi di lavoro (66,1%) o per motivi
di famiglia (24,3%). Non bisogna tuttavia dimenticare che lanalisi
dei motivi per cui il permesso di soggiorno è stato rilasciato
è in grado di cogliere solo parzialmente le ragioni dellimmigrazione.
In parte perché le ragioni ufficiali difficilmente coincidono
con quelle dei protagonisti, in parte perché a volte i requisiti
per laccesso alle sanatorie, che costituiscono ad oggi uno
dei principali canali di ammissione legale nel nostro Paese, spingono
i richiedenti a presentare motivazioni coerenti con tali requisiti.
Infine, per quanto concerne la provenienza degli immigrati, unipotetica
classifica dei Paesi europei maggiormente rappresentati vede sul
podio Romania (circa 240.000 presenze) e Albania (circa 230.000
presenze), certamente vicine geograficamente e forse anche socio-culturalmente,
seguite da Ucraina, Polonia, ex Jugoslavia e Moldavia con un numero
di immigrati sensibilmente inferiore.
Il secondo gruppo è costituito dagli immigrati provenienti
dallAfrica, e in particolare da Marocco (circa 235.000 presenze),
Tunisia, Egitto e Senegal; mentre lAsia si colloca al terzo
posto con la presenza di quasi 100.000 immigrati cinesi, 70.000
filippini e gruppi di circa 30-40.000 unità di indiani, pakistani
e abitanti dello Sri-Lanka e del Bangladesh. Il continente americano,
infine, registra una presenza di immigrati inferiore (circa 250.000),
ma in crescita.
Un altro elemento che contribuisce ad una migliore comprensione
del fenomeno migratorio e delle sue dinamiche è rappresentato
dalla coesione più o meno stretta dei gruppi immigrati che
non ha, però, soltanto effetti positivi: la relativa facilità
a trovare lavoro in un certo ambiente, grazie allaiuto di
parenti e compaesani, rischia di produrre una sorta di colonizzazione.
Si forma cioè, nel sentire comune, uno stereotipo che associa
gli immigrati di una determinata provenienza ad un certo tipo di
lavoro, con un inquietante appiattimento delle differenze, delle
esperienze pregresse, delle effettive attitudini e delle aspirazioni
(ad esempio, ad una donna filippina o latino-americana o slava,
indipendentemente dal titolo di studio e dalle competenza professionali,
il mercato del lavoro offre quasi soltanto lavori domestici o di
assistenza). Laspetto critico è che queste tipizzazioni,
consentendo un risparmio di tempo e di energie in sede di selezione,
facilitano e in seguito rafforzano la penetrazione in una certa
nicchia occupazionale, ma compromettono i tentativi di diversificazione
e di miglioramento professionale. Le specializzazioni etniche si
configurano dunque come unarma a doppio taglio, che rischia
di creare una trappola occupazionale a cui concorrono involontariamente
gli stessi immigrati.
Imprenditorialità immigrata:
peculiarità e rapporti con il sistema bancario
Nel valutare il rapporto tra sistema creditizio e mondo dellimmigrazione
va tenuta in evidenza la crescente attitudine ad intraprendere iniziative
imprenditoriali, che costituisce già da qualche anno uno
degli elementi che caratterizzano maggiormente levoluzione
del rapporto tra immigrati e inserimento lavorativo. Questa tendenza
è il segno inequivocabile di un cambiamento nel ruolo del
lavoratore immigrato, tradizionalmente legato al lavoro subordinato,
e ora sempre più orientato verso una scelta indipendente,
dettata dalla volontà di ottenere un inserimento stabile
e un miglioramento professionale.

In Italia, in particolare, ciò che più colpisce è
la rapidità con la quale il fenomeno dellimprenditoria
immigrata si sta diffondendo e il ruolo fondamentale che questa
va assumendo nello sviluppo della microimprenditorialità
e del sistema produttivo locale e nazionale. A spiegare il passaggio
degli immigrati al lavoro indipendente concorre una molteplicità
di motivazioni, non sempre tenute nel giusto conto ogni qualvolta
si effettuano delle analisi del fenomeno. Tra queste, la considerazione
che in sistemi economico-produttivi nei quali le imprese si smagriscono,
si decentrano e sono sempre più orientate allesternalizzazione,
cresce non solo la richiesta di lavoro povero in posizioni subalterne
ma anche lo spazio per piccole imprese e lavoratori autonomi disposti
ad entrare in attività che generalmente presentano basse
barriere allingresso, modeste dotazioni tecnologiche, scarsi
margini di profitto, alti rischi di insuccesso e in cui la competizione
si basa in ampia misura sulla capacità di tener bassi i costi,
per primo quello del lavoro, sui lunghi orari, sulla versatilità
e la disponibilità verso le esigenze dei clienti.
E per gli immigrati avviare una piccola attività cui dedicarsi
senza risparmio di tempo e di fatica, investendo risparmi e speranze,
rappresenta un traguardo ambito e un orizzonte di promozione sociale.
Proprio il contrario di quanto avviene per i lavoratori autoctoni,
maggiormente attratti da occupazioni più sicure e gratificanti.
Emerge così unimprenditorialità povera che risponde
alle esigenze delle comunità locali (servizi di pulizia,
sorveglianza, manutenzione urbana, ristrutturazioni edili, disinfestazioni,
trasporti) come pure a quelle delle fasce professionali ad alta
qualificazione, composte soprattutto da singoli e famiglie in cui
entrambi i coniugi sono impegnati nel lavoro extradomestico (assistenza,
manutenzione dellabitazione, piccolo commercio, servizi di
taxi, sostituzione di molte attività svolte un tempo dalle
mogli-madri). Senza dimenticare la domanda di servizi da parte degli
stessi immigrati e delle loro famiglie (è il caso, ad esempio,
dei phone-center).
Sebbene varie ricerche abbiano documentato che gli immigrati sono
spesso dotati di livelli di istruzione e competenze professionali
più elevate della forza lavoro italiana che svolge le medesime
occupazioni, è purtroppo innegabile che «nellimmaginario
collettivo laccesso a posizioni socialmente svalutate e oggetto
di crescente rifiuto da parte degli italiani resta il massimo che
si è normalmente disposti a concedere a un immigrato terzomondiale».
In altre parole, il tacito presupposto dellaccettazione degli
immigrati sui luoghi di lavoro è quello dellintegrazione
subalterna: limmigrato è accolto senza troppe resistenze,
a patto che si accontenti dellultimo posto, si metta in coda
e non pensi di entrare in competizione per occupare posizioni ambite
dai lavoratori nazionali. Il passaggio quindi dal lavoro dipendente
a quello in proprio, magari nel medesimo settore produttivo per
valorizzare lesperienza maturata on the job, evidenzia nella
maggior parte dei casi laspirazione a una crescita professionale
e sociale e rappresenta per gli immigrati una strada per sfuggire
a quei processi di dequalificazione di cui sono più o meno
esplicitamente vittime e che rendono oltremodo gravoso il miglioramento
della propria condizione occupazionale attraverso le normali carriere
gerarchiche.
Le imprese immigrate organizzano la loro attività quotidiana
sulla base di forme di collaborazione prestate essenzialmente da
familiari, parenti e amici, sia in maniera occasionale che più
stabile: tali collaboratori si affiancano al titolare che rimane,
per circa la metà delle imprese, anche lunico lavoratore
ufficiale. Per laltra metà delle imprese, il numero
dei collaboratori oscilla mediamente da 1-2 a 8-10, ai quali si
aggiungono, anche in questo caso, i collaboratori saltuari, fino
ad arrivare ad un totale di anche 50 dipendenti.
In rapporto al mercato interno, infine, si rileva uninterazione
piuttosto scarsa, da parte degli imprenditori immigrati, sia con
le imprese limitrofe che con enti politici e istituzioni sociali
locali: se si esclude la Camera di Commercio (i cui contatti si
limitano generalmente alla registrazione iniziale), infatti, lunico
ente con cui gli imprenditori immigrati si confrontano è
la banca.
Banche e immigrati:
un dialogo avviato ma ancora difficoltoso
Tra le difficoltà di maggior peso viene il più delle
volte annoverata la scarsità di mezzi economici, finanziamenti,
agevolazioni bancarie e prestiti: si tratta di una circostanza che
rende oltremodo gravosa la fase di avvio e la vita successiva dellimpresa
(sovente ugualmente possibili grazie al supporto della rete familiare
e parentale o con lautofinanziamento derivante dai risparmi
di lavoro), ma che soprattutto, in molti casi, impedisce la crescita
e il rafforzamento/allargamento dellattività intrapresa.

«La bancarizzazione e lutilizzo dei servizi offerti
dalle banche rappresentano una dimostrazione tangibile dellinserimento
dellimmigrato nel tessuto sociale e produttivo italiano, e
sono un segnale di cittadinanza economica. [
] Per i migranti,
lintermediazione della banca è indispensabile per la
gestione del risparmio, per una sua valorizzazione in impieghi utili
e produttivi nei diversi territori coinvolti dalle migrazioni».
In questi termini recentemente si è espresso Giuseppe Zadra,
direttore generale ABI, al convegno promosso da ABI e CeSPI su Migrant
Banking in Italia.
In realtà, il rapporto della clientela immigrata con la banca
si limita, per ora, sostanzialmente ai servizi definibili ordinari:
aperture di conti correnti, libretti di risparmio, cambio di valuta,
rimesse di soldi allestero, prestiti e mutui per lacquisto
della casa. In verità, è innegabile che il sistema
bancario sconta un certo ritardo sul versante della sensibilità
ai mutamenti della clientela e il mancato pieno sviluppo di unefficace
strategia nei confronti del segmento di utenza potenziale costituito
dagli immigrati è riconducibile a due ordini di ragioni:
la questione della redditività e quella della fiducia.
La prima ha a che fare con liniziale sottostima delle capacità
e potenzialità economiche della popolazione straniera. La
seconda riguarda «una persistente diffidenza» nei confronti
di tale tipologia di clienti, considerati «poco affidabili»,
sono sempre parole di Zadra, che non manca però di sottolineare
come negli ultimi anni si stia assistendo ad un cambiamento di rotta,
sia sotto il profilo della redditività sia sotto quello della
fiducia.
Gli ostacoli maggiori si riscontrano certamente nellaccesso
al credito, ove si consideri che: raramente è disponibile
documentazione comprovante lattività svolta e i redditi
conseguiti; manca assolutamente una storia del rapporto;
lassenza di sostanza responsabile (mobiliare e/o immobiliare)
si accompagna quasi sempre ad uninstabilità/indeterminatezza
di alcuni elementi minimi richiesti dalle banche per lavvio
dei rapporti (residenza, domicilio...).
Sicuramente auspicabile in tale contesto sembra la possibilità
di poter far ricorso a forme di garanzia collettiva (per es., consorzi
fidi, fondi di garanzia istituiti a livello locale o provinciale)
in grado di assicurare da un lato un accesso più normale
al credito e dallaltro, anche come diretta conseguenza, una
migliore integrazione e sviluppo sociale di tali fasce di popolazione.
Il credito agli immigrati: evidenze empiriche
Nonostante le difficoltà sopra evidenziate va però
positivamente rilevato come la domanda di finanziamento proveniente
dai cittadini stranieri residenti in Italia abbia presentato una
dinamica significativa e crescente nel corso del periodo 2000-2004
e abbia avuto un andamento nettamente superiore rispetto a quella
proveniente dalla clientela standard. Il tasso di variazione medio
annuo registrato nel periodo è pari infatti al 51,6%, con
una crescita eccezionale avutasi nel 2001 (+79,3%).
Come si evidenzia dai dati, è il comparto dei mutui a presentare
i tassi di crescita più elevati: ciò è facilmente
spiegabile, oltre che per la garanzia reale acquisita per tale operazione,
anche per la stabilizzazione della permanenza in Italia e il processo
di regolarizzazione che hanno reso possibili numerosi ricongiungimenti
familiari, favorendo certamente la domanda di mutui immobiliari.
Inoltre, è interessante notare che, in tale comparto del
credito, la domanda straniera cresce con tassi di variazione superiori
rispetto alla domanda italiana: nel 2004 gli immigrati rappresentano
il 4,6% della popolazione italiana ma assorbono quasi il 6% del
volume totale di finanziamento erogato.
La capacità di credito degli stranieri è aumentata
grazie non solo al maggior numero di soggetti affidabili ma anche
al miglioramento delle condizioni socio-economiche delle famiglie
di stranieri. La maggiore integrazione sociale e la stabile permanenza
in Italia, infatti, hanno gradualmente accresciuto il numero di
famiglie che hanno requisiti simili alla clientela italiana. Parallelamente,
gli intermediari finanziari stanno iniziando a superare molteplici
perplessità circa il comportamento creditizio degli stranieri
e tutto ciò ha permesso una crescita progressiva sia degli
importi sia della durata media dei finanziamenti, che ha riguardato
in maniera generalizzata i mutui come il credito al consumo.
Migrant Banking: una rassegna casistica
Per concludere, può essere utile dare conto di una serie
di iniziative tra quelle più significative
che alcune banche italiane hanno avviato a sostegno dei lavoratori
immigrati. In particolare:
Gruppo SanPaolo IMI
Accordi di cooperazione con banche dei Paesi di origine delle popolazioni
immigrate e creazione, allinterno di una filiale localizzata
in uno dei quartieri di Torino con la più alta densità
di extracomunitari, di uno sportello multietnico con personale che
parla arabo, cinese, inglese e francese, e di uno spazio di accoglienza
con segnaletica in cinque lingue e volantini disponibili in otto
lingue.
Banca Popolare di Milano
Ha attivato Conto Extrà, un conto base che, oltre
ai normali servizi predisposti per tutta la clientela, offre al
titolare condizioni particolarmente convenienti per inviare denaro
allestero. Ha creato, insieme con Unicredit e Deutsche Bank,
un fondo di garanzia che eroga prestiti ad immigrati che vogliano
avviare unattività autonoma (per un massimo di 7.500
euro, rimborsabili in tre anni ad un tasso del 2,5%). In questa
attività di microcredito è coinvolta la Fondazione
San Carlo di Milano.
Banca Popolare di Bergamo
Ha avviato dal 2003 un progetto denominato Welcome,
che ha lobiettivo principale di capire e individuare le esigenze
e le difficoltà che un immigrato presenta nei confronti della
banca. Liniziativa più rilevante è stata la
creazione di uno sportello pilota (peraltro posizionato
in una zona della città ad alta concentrazione di presenza/transito
di immigrati) dove opera una persona straniera, in grado di parlare
più lingue, che offre consulenza specifica.
Banca Sella
Oltre ad aver creato dei conti dedicati agli immigrati,
offre istruzioni in francese, inglese e tedesco alla voce servizi
bancari per limmigrato.
Banca Popolare Pugliese
Ha attivato il prodotto Everywhere: si tratta di un
pacchetto di servizi bancari per i lavoratori stranieri che comprende:
Carta Eura, la carta di credito ricaricabile, che consente di prelevare
il contante nella valuta del Paese in cui si effettua loperazione,
Bancomat, conto corrente, libretto di deposito e un servizio per
linvio di denaro allestero.
La Banca Popolare Pugliese, inoltre, ha già avviato un progetto
di microcredito (in collaborazione con una cooperativa leccese composta
da extracomunitari e personale impegnato nel campo del sociale),
per finanziare lattività di ambulanti di nazionalità
senegalese con lerogazione di piccoli prestiti.
Cassa di Risparmio di Genova (Carige)
È stata la prima banca in Italia ad aprire in via Gramsci,
nel cuore di Genova, quasi dieci anni fa, uno sportello dedicato
agli stranieri residenti in città e ad offrire assistenza
e consulenza per laccesso ai servizi bancari, specialmente
i mutui sulla casa.
Conclusioni
Limmigrazione è un fenomeno in crescita con cui ormai
al di là delle emergenze e dei periodici allarmi collegati
agli sbarchi clandestini sulle nostre coste si deve fare
i conti quale componente strutturale del nostro Paese e del suo
sistema produttivo. Allo stesso modo, fenomeno strutturale sta diventando
limprenditorialità immigrata, che tende ad assumere
una dimensione economica sempre più rilevante. Tuttavia,
le pagine di cronaca testimoniano come limmigrato sia ancora,
il più delle volte, wanted but not welcome: la profittabilità
della sua presenza economica, di lavoratore debole, si scontra infatti,
il più delle volte, con la non accettazione della sua presenza
sociale. Il fatto che provenga da un Paese povero e collocato ad
un livello inferiore in unipotetica graduatoria dello sviluppo
lo rende lavoratore disponibile a occupazioni insalubri e precarie,
ma diventa poi un fattore che lo fa rifiutare come vicino di casa,
come frequentatore dello stesso bar, o come amico personale. Sebbene
non si possano negare ampi segmenti di marginalità e povertà,
gli immigrati producono reddito, generano risparmio e innescano
ingenti flussi di rimesse.
Rispetto a ciò, dunque, le banche sono direttamente interpellate
e difatti hanno cominciato da qualche tempo ad interrogarsi attivamente
sui problemi e le esigenze di questo nuovo segmento di clientela.
Resta aperta, dunque, la sfida allideazione di unofferta
strutturata e organica da parte del sistema bancario, che sia sufficientemente
mirata allutenza immigrata senza per questo provocarne una
sorta di ghettizzazione. Servono creatività e competenza;
è indispensabile un cambiamento culturale che coinvolga anche
il personale operante in banca; è necessaria ununitarietà
di intenti e di sforzi tra banche e altre istituzioni e associazioni,
in particolare nellarea del non profit.
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