La perdita di
competitività
dellItalia e delle imprese italiane non va attribuita né
alleuro
né alla Cina,
ma alle nostre
responsabilità
e ai nostri difetti.
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Mentre il Vecchio Continente continua a rallentare, lItalia
è praticamente ferma. Lunico modo di ancorare i dibattiti
in corso alla cruda realtà della congiuntura è quello
di far capo ai dati del Rapporto Efn-Euroframe, il network che aggrega
i dieci maggiori istituti di analisi economiche dEuropa. Da
un lato, lintero Continente paga caro a breve termine il rialzo
del petrolio, riducendo le previsioni di crescita del 2005 di almeno
due o tre decimali di punto percentuale e si prepara a convivere
con un prezzo del barile di greggio stabilmente sopra i 60 dollari.
Dallaltro, lItalia è destinata ad accentuare
il suo distacco dallUnione europea, dopo che per un certo
periodo era riuscita in virtù della comune stagnazione,
e non per propria creatività a mantenersi non molto
distante dalla media europea. Infatti, sebbene la previsione 2005
per Eurolandia parli di un magro +1,2 per cento, noi, con un Prodotto
interno lordo a crescita zero, denunciamo uno scarto del 100 per
cento dai nostri partner continentali. Meglio fanno sia la Germania,
che pure con lo 0,8 per cento rimane sotto la media, sia la Francia,
che con l1,5 per cento di crescita starà sopra la media.
Ma quel che è più preoccupante è che il distacco
è destinato a mantenersi anche nei prossimi due anni, nonostante
la tanto sbandierata ripresina (che, a quanto pare,
ci farà soltanto uscire dalla recessione per riportarci nella
precedente stagnazione). Infatti i Paesi della zona euro chiuderanno
il 2006 con un Pil aumentato dell1,8 per cento, e il 2007
con un +2 per cento (sempre scontando il petrolio a oltre 60 dollari).
Con la Germania ancora un poco sotto la media, e la Francia un poco
sopra. Per quel che ci riguarda, il distacco sarà del 50
per cento lanno prossimo (+0,9 per cento, esattamente la metà
della media di Eurolandia) e del 40 per cento in quello successivo
(sempre 9 decimi di punto, ma +1,1 contro +2 per cento).
Insomma, sia perché la delocalizzazione dellindustria
tedesca ha consentito di sostituire il made in Germany
con il più vantaggioso made by Germany, facendo
balzare in avanti lexport e scaricando sul welfare il surplus
di disoccupazione prodotto; sia perché la Francia sostiene
i consumi interni, mentre converte il suo manifatturiero; sia infine
perché la bolletta petrolifera per lItalia è
più cara (nessuno dipende da greggio e gas all80 per
cento, come noi): sta di fatto che il declino tricolore è
destinato ad allargare il solco che ci divide dal resto dEuropa.
E considerato che leconomia continentale continua ad essere
nel suo complesso debole, incapace di rompere lasse tra Asia
e Stati Uniti che guida lo sviluppo planetario, quella italiana
appare una condizione ancora più preoccupante. E se le stime
di Efn saranno confermate, lItalia chiuderà il periodo
2001-2007 con una crescita complessiva del 5,7 per cento, con una
media annuale dello 0,8 per cento. Per sette anni di seguito. Altro
che crisi congiunturale, altro che ostentazioni di ottimismo. È
necessario che il dibattito politico riparta da un dato di fatto:
il declino non è uninvenzione, stiamo perdendo la partita
della competizione globale, e più tardi se ne prenderà
atto e tanto più alto sarà il prezzo da pagare.
Non ci sono più alibi. Non abbiamo più scuse o attenuanti.
Non possiamo più prendercela con la moneta unica. È
stato scritto che leuro è nudo come un puer malitiosus
et robustus, non è il re borioso di cui parla la favola.
È una moneta solida, trasparente, affidabile, base di riferimento
dellUe per fondare politiche monetarie ed economiche assennate,
non soggette agli eccessi di creatività e di superficialità
congiunturale. Leuro ha molti nemici tra i fautori delle scorciatoie,
quelli che enfatizzano la crescita americana e dimenticano il rigonfiamento
di bolle speculative pericolose da parte del capo della Federal
Reserve, Alan Greenspan.
In pochissimi anni leuro si è rivelato valuta di riferimento
dotata di forte reputazione per il mondo intero, al punto che viene
accumulato nelle riserve nazionali a fianco del dollaro e in contrapposizione
alla moneta americana. Le politiche monetarie espansive oltre la
ragionevolezza e le proprie possibilità adottate dalle amministrazioni
americane sotto legida di Greenspan hanno spinto la crescita
Usa, amplificando deficit statali e commerciali, indebitamento delle
famiglie e delle industrie. Hanno reso il dollaro una moneta volatile,
strumento di potere degli Stati Uniti a spese della comunità
internazionale.

Per alcuni, lespansione economica è una variabile
indipendente, a prescindere dalla qualità dello sviluppo,
dai pesi che si caricano sulle spalle delle generazioni future,
dei ceti sociali e delle nazioni più deboli. Leuro
non viene usato dalla Banca centrale europea per drenare risorse
dal mondo intero, remunerandole con delusioni e perdite, a favore
della crescita economica dellUnione europea, o per favorire
le dissipazioni delle nazioni europee viziose. Leuro sostiene
la reputazione e la credibilità di un sistema economico (e
si spera anche politico, negli anni a venire) che si avvia a diventare
punto di riferimento per il mondo intero. Riflettiamo senza pregiudizi,
senza scambiare uno strumento con luso che se ne può
fare con saggezza o con insipienza.
Leuro ha consentito alle nazioni europee virtuose di indirizzare
le risorse per incrementare produttività e competitività,
per investire nelle innovazioni e nelle modernizzazioni, per conquistare
nuove quote di commercio internazionale. Leuro tuttavia ha
rappresentato un ancoraggio sicuro anche per le nazioni viziose,
contribuendo a contenere linflazione, a mantenere buoni i
giudizi delle società di valutazione e quindi i tassi di
interesse a livelli bassi, facilitando il contenimento dei deficit
e dellindebitamento senza impedire politiche dinvestimento
e di sviluppo. Non è certo una pozione magica. Ma sono assurde
e fuorvianti le sgradevoli intemperanze, scomposte nella forma e
ingannevoli nella sostanza, consumate anche in sedi europee contro
la moneta unica; manifestazioni di isterica ignoranza che fanno
il paio con quelle contro la Cina: vie di fuga per confondere le
acque, per distogliere lattenzione dalla realtà, per
comportamenti irrazionali che tentano di coprire errori nelle politiche
economiche e industriali.
La perdita di competitività dellItalia e delle imprese
italiane non va attribuita né alleuro né alla
Cina, e meno che mai al Trattato di Maastricht, ma alle nostre responsabilità
e ai nostri difetti. Non è colpa delleuro se lItalia
non ha raggiunto gli obiettivi di crescita indicati dal governo,
se tante attese sono state deluse o frustrate. Sostengono esponenti
del board della Banca centrale europea: «Coloro i quali accusano
euro e Cina cercano soltanto di perdere tempo e di trovare capri
espiatori. Germania e Francia hanno mantenuto la loro competitività.
E non è vero che il cambio della lira sia oggi sfavorevole:
siamo a 1.600 lire per dollaro, come dopo il crollo della lira nello
Sme».
Ecco: gli ottimismi di maniera sono pericolosi. Tutti dovrebbero
dire al Paese parole di verità, non illustrare sogni, o scambiare
aspirazioni con obiettivi concreti, o creare falsi nemici e alimentare
illusioni, perché tutto questo è diseducativo, comprime
la voglia di fare, mortifica le energie indispensabili per risalire
la china. Lottimismo smentito dalla realtà favorisce
reazioni pericolosamente negative, poi genera assuefazione. E non
può essere questo il sogno italiano.
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