Dicembre 2005

Credito a mezzogiorno: nuovi modelli di sviluppo?

Indietro
Fra “Banca del Sud”
e “Superpopolare”
Vito Primiceri Direttore Generale Banca Popolare Pugliese
 
 

 

 

La struttura del
sistema bancario operante oggi
nel Sud è in grado di assicurare
condizioni
favorevoli alla
crescita delle aziende.

 

Il Ministro Tremonti, nelle pieghe del disegno di legge sulla “Finanziaria 2006”, ha rilanciato una proposta che egli stesso avanzò un paio d’anni fa: quella di dar vita ad una banca per il Mezzogiorno.

La costituzione del nuovo istituto di credito da denominarsi “Banca del Sud” è prevista all’art. 54 del disegno di legge, che, del nuovo organismo, s’incarica di fissare gli obiettivi, i princìpi a cui deve ispirarsi lo statuto, la composizione dell’azionariato, l’acquisizione dei marchi, ecc.

È simpatico e significativo notare come per ben tre volte nei quattro punti che costituiscono il secondo comma dell’art. 54 si operi un richiamo ai «banchi meridionali e insulari». Sembra quasi una sorta di commemorazione tardiva che ricorda le “virtù” di quegli organismi, accompagnata da una non troppo sottintesa ammissione di colpa, in nome e per conto dei governi precedenti, sulla liquidazione dei “banchi meridionali”, ai quali sembra si vogliano legare, a mo’ di continuità ideale e storica, la missione e le fortune della novella “Banca del Sud”.

Ma che farà questa Banca? Sarà una Banca come le altre o una “Mediobanca” in sedicesimi?
Il disegno di legge nulla dice in proposito. Anzi, il richiamo ai “banchi meridionali” da un lato e dall’altro l’interpretazione dell’art. 54 resa dal sottosegretario alle attività produttive Giuseppe Galati («Una banca del Sud [...] che preveda la partecipazione nel capitale sociale di Regioni, Enti locali, Camere di Commercio, banche popolari e di credito cooperativo. Un nuovo soggetto che [...] non si occuperà solo dell’esercizio del credito e del risparmio, ma anche di consulenza nei settori immobiliare e fiscale») farebbero propendere più per la prima ipotesi. Non è mancato, però, chi negli stessi giorni ha salutato la nascita della “Banca del Sud”, ipotizzando per essa un ruolo diverso da quello delle altre aziende di credito: essere un istituto operante nel settore dell’equity, cioè della partecipazione al capitale.

Si è aperto sul punto un ampio dibattito, che ha registrato consensi e altrettanti dissensi, nell’ambito del quale è stata formulata un’ipotesi subordinata e alternativa a quella della “Banca del Sud”: la costituzione di una “Superpopolare del Mezzogiorno”.


Senza addentrarmi in analisi specialistiche, che ben volentieri lascio agli studiosi, vorrei svolgere alcune considerazioni di ordine generale, che potrebbero essere utilizzate per valutare sia l’ipotesi “Banca del Sud” sia quella della “Superpopolare”.

Se si utilizza uno strumento è per raggiungere un fine! Ora, tanto la “Banca del Sud” quanto la “Superpopolare” credo che vadano viste non come finalità da perseguire a tutti i costi, ma come strumenti atti a raggiungere un fine.

Quale fine si vuole perseguire attraverso lo strumento “Banca del Sud”? Se l’obiettivo è quello di «sostenere lo sviluppo economico del Mezzogiorno» (art. 54) mi sembra che i primi destinatari dell’attività della Banca del Sud siano gli imprenditori. Se così è, mi chiedo quale apporto in termini di novità e di “singolarità” potrà essere dato dalla costituenda “Banca del Sud” nel panorama economico-finanziario odierno, se il nuovo istituto si limiterà ad affiancare all’«esercizio del credito e del risparmio» l’attività di «consulenza nei settori immobiliare e fiscale» (Galati).

Se così fosse, non credo che l’attività della costituenda Banca si discosterà molto da quella che oggi viene svolta dalle numerose banche (dalle più grandi alle più piccole) a favore dell’imprenditoria meridionale. Non credo, in altre parole, che, almeno in questa ipotesi, sia giustificato ricorrere addirittura alla disposizione legislativa per costituire una banca che sostanzialmente sarebbe simile a quelle già operanti nel Mezzogiorno d’Italia. Né, da altro punto di vista, mi pare che una Banca col suo patrimonio di uomini, know how, relazioni, avviamento, ecc. si possa creare per legge.

L’altra “via” che potrebbe giustificare la nascita di una “Banca del Sud e per il Sud” è quella della banca che partecipa al capitale di rischio dell’impresa.

In astratto non vi sono ragioni per non guardare con favore ad un istituto della specie, ma “in concreto” è legittimo chiedersi se l’impresa meridionale, per le sue caratteristiche dimensionali e di governance, sia veramente interessata e in grado di avvalersi di questa piccola “Mediobanca”.

La risposta non è semplice e va data soprattutto dagli imprenditori stessi, che invece, dai primi commenti riportati dalla stampa, guardano senza entusiasmo a questa prospettiva o addirittura con sospetto, preoccupati che la politica voglia rioccupare spazi nella gestione del credito.

La mia personale opinione è che lo strumento “Banca del Sud” non sia in grado di essere di grande aiuto all’impresa meridionale, che avrebbe bisogno di poter contare e da subito su altri strumenti, quali:

- l’avviamento di un’efficace azione di contrasto di ogni forma di illegalità presente sul territorio, in grado di restituire ai cittadini quel clima di legalità diffusa di cui si avverte sempre più il bisogno;

- il miglioramento delle infrastrutture;
- la riduzione dei vincoli autorizzativi;

- la possibilità di contare su organismi forti ed efficienti in grado di supportare le aziende nell’accesso al credito (Confidi, Basilea 2 compliance).

Per quanto riguarda in particolare le banche, ritengo che la loro funzione non vada, a questi fini, eccessivamente enfatizzata. Esse storicamente seguono lo sviluppo e non lo precedono. Il loro compito è quello di sostenere al meglio la crescita delle aziende con spirito imprenditoriale e largo uso di prodotti e servizi tradizionali e innovativi.
Non mi sento di dire che la struttura del sistema bancario operante oggi nel Mezzogiorno non sia in grado di assicurare condizioni favorevoli alla crescita delle aziende sane presenti sul territorio meridionale.

Le considerazioni sin qui svolte possono essere estese per analogia anche all’ipotesi della cosiddetta “Superpopolare”. È un tema, questo, che ricorre insistentemente ormai da molti anni, senza che dai dibattiti giornalistici si sia mai passati ad un’analisi approfondita dei costi/benefici di un’operazione che desse vita ad una banca di dimensioni medie, con il sacrificio di un certo numero di aziende che, seppur di dimensioni minori, occupano oggi più che degnamente la loro posizione sul mercato regionale del credito, riconosciute come validi interlocutori dal mondo delle PMI e delle famiglie. Un progetto del genere potrebbe prendere corpo solo se si riuscisse a dimostrare che la sua realizzazione è in grado di:

- moltiplicare i punti di forza che ciascuno dei partecipanti all’operazione ha e che gli vengono riconosciuti dal mercato;

- minimizzare i punti di debolezza che un’operazione del genere fatalmente si porterebbe dietro in termini di rapporti interni alle strutture interessate e soprattutto in termini di relazioni con la clientela servita, una parte della quale non potrebbe non vedere nell’operazione l’ennesimo impoverimento di strutture creditizie del proprio territorio.



Pesati bene i costi e i benefici, se la somma fosse tangibilmente positiva, si potrebbe guardare all’iniziativa per la sua capacità di apportare valore al territorio, viceversa, e la casistica è ricca in tal senso, una fusione che non rispondesse a quei princìpi diventerebbe un moltiplicatore di inefficienze e di debolezze che deluderebbe quanti (soci, clienti, personale, fornitori, collettività) hanno aspettative nei confronti della banca.
Occorre, dunque, in concreto esaminare questa possibilità prima di sposarla o scartarla aprioristicamente, avendo riguardo soprattutto – accantonando per un momento la tentazione di correre subito ad aggregare dati di bilanci e numero di sportelli – alla “tecnologia disponibile” e, soprattutto, alla cultura aziendale che caratterizza ogni impresa interessata all’operazione.

L’incontro fra due o più imprese potrebbe far emergere la presenza di culture e valori aziendali tanto diversi da diventare potenzialmente conflittuali in caso di fusione, e in tal caso è bene restare separati, o, e questo ovviamente è sempre auspicabile, mettere in luce la presenza di culture e valori vicini, che possono incontrarsi e dar luogo a feconde sintesi.
Personalmente credo che il vero problema per le imprese meridionali non sia quello della presenza o meno di un grande polo bancario. È fondamentale per esse, invece, poter disporre e utilizzare gli strumenti necessari e utili alla loro crescita, meglio se forniti da una pluralità di banche di dimensione grande, media e piccola come oggi il nostro territorio già offre ampiamente.

Detto questo, mi sia consentito di aggiungere che proprio il forte radicamento nel territorio, lo stretto e storico legame con le aziende, un diverso approccio al rischio, fanno delle cosiddette “banche locali” un interlocutore importante delle imprese.

Va ricordato in proposito che proprio nelle zone in cui la presenza di banche realmente locali è fortemente compromessa o è scemata del tutto si sta registrando la nascita di nuove piccole banche (quasi tutte di “credito cooperativo” o “popolari”), quasi una sorta di compensazione storica per recuperare rapporti e legami con la piccola e media impresa che altre banche “crescendo” non sanno o non vogliono più intrattenere.
Come si vede, nessuna apertura o chiusura aprioristica, ma solo la necessità e l’importanza di verificare sul campo se l’adozione di “nuovi” strumenti possa essere utile e funzionale allo sviluppo del territorio in cui le banche, popolari in testa, operano.

 

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2005