La struttura del
sistema bancario operante oggi
nel Sud è in grado di assicurare
condizioni
favorevoli alla
crescita delle aziende.
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Qualcosa di fantascientifico? Il treno cinese che viaggerà
per 960 chilometri dei 1.142 complessivi previsti al di sopra dei
4.000 metri, in alcuni segmenti al di sopra dei 4.500, e addirittura
si arrampicherà fino a 5.072 metri alla stazione sul Passo
di Tanggula. Unirà Lhasa del tibetano Potala buddhista con
Golmud, nel Qinghai: il Centro-Ovest del Paese, provincia coperta
di montagne con ricche riserve di minerali (potassio, litio, piombo,
amianto), ma molto povera. Trecento e sessantun vagoni pressurizzati
come i jet per via dellaltitudine, dotati di protezioni contro
gli Uv, e sessantuno carrozze ad uso turistico con vetrate panoramiche
e lussuosi vagoni-letto attraverseranno sette trafori e 286 ponti,
anche su terreni cui sono state iniettate sostanze che li tengano
compatti, poiché le temperature variano da 4 a meno 30 gradi.
Il treno sfiorerà le riserve che ospitano il leopardo delle
nevi e includerà i sentieri di pascolo e di migrazione delle
antilopi tibetane e dello yak selvaggio, specie in via di estinzione.
Ciò modificherà i ritmi della vita di comunità
e villaggi, cambierà gli equilibri di una regione grande
e misteriosa.

È la sfida cinese nel nome dello sviluppo, la stessa che
portò Pechino a sbarrare lo Yangtzé con una diga che
ha sommerso quattromila villaggi e ingoiato decine di paesi, alcuni
dei quali risalenti a oltre duemila anni fa. E pochi o nessuno al
mondo ha osato batter ciglio. Come nessuno lo aveva battuto quando
venne costruita la ferrovia che collega la costa del Pacifico peruviano
con le Ande, che ora perde, per soli 225 metri, il primato mondiale
di altitudine. Né lo ha battuto quando sono stati realizzati
i ponti, a campata unica, che sono stati classificati primi al mondo,
e che nellordine si chiamano Akashi Kaikyo (Giappone, 1.991
m.), Great Belt East (Danimarca, 1.624 m.), Humber (Regno Unito,
1.410 m.), Jangyn (Cina, 1.385 m.), Tsing Ma (Hong Kong, 1.377 m.),
Verrazzano Narrows (Usa, 1.298 m.), Golden Gate (Usa, 1.280 m.),
Hoga Kusten (Svezia, 1.210 m.), Mackinac (Usa, 1.158 m.), Minami
(South) Bisan-Seto (Giappone, 1.100 m.). Né quando si è
sbarrato il Nilo, con la gigantesca diga di Assuan; o prosciugato
larea dello Shatt el-Arab (alla confluenza del Tigri e dellEufrate),
in territorio iracheno; e via elencando.

Si è trattato di opere di altissima ingegneria, in ogni
caso, e di altrettanti alti costi, sostenuti di frequente da prestiti
internazionali. E si è trattato di strutture inserite anche
in aree depresse, proprio perché depresse non fossero più,
ma nuclei di sviluppo industriale e commerciale, oltre che turistico,
per il recupero di aree spesso densamente popolate.
Abbiamo già scritto che il progresso comporta alcune perfidie
e qualche tradimento. Così è per larea tibetana,
come lo era stato per quella peruviana, per il Nilo e per i fiumi
sacri della nostra memoria storica. Ma è un fatto che la
crescita quasi esponenziale del numero di abitanti del pianeta reclama
quantità crescenti di risorse, infrastrutture che ne consentano
la produzione, collegamenti che accorcino i tempi di movimento e
di distribuzione. È il prezzo reclamato da una civiltà
che non è, e non può essere, pauperistica, anche se
i maggiori problemi saranno posti in futuro dalla salvaguardia degli
equilibri naturali e dei livelli di tolleranza dello sfruttamento
di quelle risorse. Discorso a parte per la questione della tutela
ambientale, la più controversa e per certi aspetti ambigua.
Un ponte può deturpare un paesaggio? A San Francisco è
un emblema, come lo è sul Bosforo o a New York o a Copenaghen.
Un terremoto può dar luogo alla distruzione di una grande
struttura del genere? Non accade in Giappone, dove di costruzioni
antisismiche se ne intendono, né in Portogallo, dove nel
giro di qualche settimana si realizzano strutture viarie-ferroviarie
che scavalcano il Tago o il Douro, che non sono fiumiciattoli torrentizi,
ma vere e proprie autostrade dacqua.
Allora: perché mai tanto chiasso e altrettante polemiche
per il ponte sullo Stretto di Messina? Chi, e perché strepita,
ritenendolo inutile, gridando allo spreco, invocando altre e alternative
infrastrutture, e via strologando?

Hanno scritto a favore e contro, con toni seri e con ironia, con
soddisfazione e con preoccupazione: ma soltanto un quotidiano ha
titolato in prima pagina, a tutta pagina, contro la struttura, ed
è stato Libero. Titolo: Il ponte di Silvio
sulla gobba del Nord. Catenaccio: 8.000 miliardi per
unire Reggio a Messina. E mezza Italia aspetta strade decenti.
Leditoriale è del direttore del quotidiano, Vittorio
Feltri. La gran bordata è del 13 ottobre, e precede il secondo
tiro del giorno seguente. Dunque, come scrive Feltri, «Il
ponte sullo Stretto di Messina purtroppo si farà...
Il manufatto, per usare un termine daltri tempi, costerà
8.000 miliardi e passa del vecchio conio. Sulla carta. Ma in cemento
costerà di più. Vuoi linflazione, vuoi gli imprevisti,
vuoi gli interventi poco gentili della mafia, alla fine il coso
richiederà almeno il doppio: 16 mila miliardi».
Così, per Feltri, 3.900 miliardi (circa) di euro sono «8.000
miliardi e passa» di vecchie lire; destinati a raddoppiare
per via di inflazione, imprevisti e mafia. Ora, è importante
che qualcuno chiarisca alleditorialista il rapporto preciso
tra euro e lira, anche perché il matto di Arcore,
come lui elegantemente ironizzando definisce il presidente del Consiglio,
potrebbe obiettargli che (gufate su inflazione, imprevisti e mafie
a parte) a far tonda e passa la cifra di 8.000 miliardi
occorrono altri 500 e passa miliardi del vecchio conio,
che proprio cosa da poco non sono, neanche a gridarlo in campagna
elettorale, sventolando bandiere sudiste.
Già: soldi spesi per il Sud! Mentre la locomotiva del Paese
(il Nord, sintende) per «andare da Milano a Brescia
e viceversa» deve «fare testamento»! Come non
capire labissalità del feltriano grido di dolore? Sei
anni di cantieri, lamenta il giornale. Che poi deve riconoscere
che in 70 mesi si dovrà «realizzare un capolavoro,
non si può certo negare, sospeso nel vuoto grazie a 5 chilometri
di cavi dacciaio del diametro di un metro e 24 centimetri».
E i quattrini? «Lo Stato, in ogni caso, non dovrebbe tirare
(più) fuori un centesimo a fondo perduto. Il contratto prevede
che i quattrini necessari per la costruzione dei 3.300 metri di
ponte, con la luce centrale più lunga al mondo, vengano raccolti
per il 40% attraverso un aumento di capitale della Stretto di Messina
SpA (i cui soci sono: Anas, Rete Ferroviaria Italiana, Regione Calabria
e Regione Sicilia) e per il restante 60% attraverso finanziamenti
a progetto che verranno rimborsati con i flussi generati dalla gestione
dellopera». Ed è questa la prima contraddizione
in termini (concreti) a proposito della spesa sulla gobba del Nord.

Ma ve nè unaltra. Si legge, sempre in seconda
pagina: «Largo 60 metri, retto da due torri alte 382,80 metri
e da fiumi di inchiostro sprecati nei decenni il progetto
prevede tre cassoni di cui due laterali per la piattaforma stradale
e uno centrale per quella ferroviaria. Ogni carreggiata avrà
tre corsie. Questa colata di cemento, ferro e catrame, bella da
vedersi [
], sarà un boccone prelibato per centinaia
di aziende, ma anche, e forse soprattutto, per quanti troveranno
un lavoro: il piano prevede infatti la creazione di 40.000 posti,
concentrati in Sicilia e in Calabria. Mentre i padroni,
coloro che si divideranno gli utili, o le eventuali perdite, vengono
da tuttItalia e da tutto il mondo. Gli azionisti di riferimento
della sola Impregilo sono Igli SpA (Gruppo Gavio, Gruppo Techint,
Autostrade, Efibanca e Sirti), Gemina, Banca Popolare di Milano,
Assicurazioni Generali e la banca daffari internazionale Lazard
».
Qualcuno riesce a individuare un padrone meridionale?
Le cosche siciliane e calabresi sono azioniste di qualcuno degli
enti e istituti su citati? Chiunque sappia qualcosa, parli ora.
O vada al diavolo per sempre.
Finito qui? Per niente. La «follia dello Stretto», riferisce
ancora il quotidiano, costa più di tutta la Parmalat, che
è stata risanata con 4,2808 miliardi di euro. Improvvidamente
qualcuno si chiederà: e gli azionisti che la Parmalat ha
truffato, gettandoli sul lastrico, facendo svanire migliaia di miliardi
del vecchio conio? Ma che, vogliamo provocare? Quello
è il Nord che lavora e che produce, che poi freghi pure è
solo un dettaglio. Vuoi mettere? Testualmente: «Per chi ha
minori pretese di egemonia ma si accontenterebbe di quote di maggioranza
assoluta, cè la metà di Luxottica... o, a piacere,
il 50% del Gruppo Monte dei Paschi di Siena... o di SnamReteGas».
E sbotta finalmente larticolista: «Ma pesiamolo questo
benedetto ponte. Per pagarlo occorre mettere sulla bilancia 358.814
kg doro o 21 milioni e 122.233 kg dargento, facendo
riferimento alle quotazioni milanesi di martedì sera».
Martedì era l11 ottobre: in quella tragica sera tutti
gli abitanti del Nord (e forse anche parte di quelli del Centro)
avranno tenuto serrata la bocca, temendo di vedersi strappati i
denti artificiali per mettere su tutte quelle chilate doro
necessarie per costruire un ponte daltra natura e finalità.
Meglio, dunque, allargare il discorso, che è più o
meno questo: la spesa per il ponte sullo Stretto è cento
volte inferiore a quella sostenuta per costruire lEmpire State
Building, ma «con valuta del 1931», anche se
precisa lineffabile autore si tratta pur sempre di
«valori incomparabili oggi, non perché non sia calcolabile
il tasso dinflazione, ma per limpossibilità di
confrontare il prezzo della manodopera e della sicurezza nei cantieri
edili. Poi occorrerebbe attualizzare, rispetto a due anni dopo la
grande crisi del 1929, il livello raggiunto sui mercati dalle materie
prime come il rame e lacciaio, il cemento, o dallenergia,
e tenere ovviamente in debito conto anche il divario tecnologico
che ci separa dal secolo scorso». Ma scusate tanto: di che
cosa sta parlando, allora, costui? E che confronto fa? A che tipo
di lettori si rivolge?
Proseguiamo. Anzi, facciamo proseguire il discorso, che ha un filo
conduttore inquietante: «Torniamo ai giorni nostri, allora.
Trasferiamoci in Lombardia, ad appena qualche centinaio di chilometri
di distanza (sic!) da Scilla e Cariddi. Se si pensa che, ai prezzi
del 2004, per il polo fieristico Rho-Pero, cioè la nuova
Fiera di Milano, sono stati sborsati appena 595 milioni e 80 mila
euro, si scopre che è costato otto volte meno dellultima
meraviglia del mondo che dovrebbe collegare la Trinacria al continente».
E non basta: «In tempi di dipendenza energetica», tanto
per affrancarci dalla schiavitù del petrolio, si potrebbe
realizzare in alternativa «una bella centrale atomica».
Anche perché, con quello che si spende per il ponte, «avremmo
in omaggio anche 100 miliardi di kilowattora gratis. Significherebbe
coprire un terzo di tutto il fabbisogno di elettricità italiano
per un anno». Nessuno chieda a chi dovrebbe essere destinato
questo terzo di kilowattora: se lo richiedesse il Sud sarebbe rimbrottato
da qualche spirito malmestoso del Nord.

Meglio esser cauti, dunque. Anche per i pericoli che potrebbero
corrersi con la «bella centrale nucleare». Scrive infatti
lautore del pezzo: «Se si teme una nuova Cernobyl, si
può puntare sullenergia cosiddetta pulita: assicurare
allItalia una fornitura ventennale da 2 miliardi di metri
cubi di gas siberiano lanno a un prezzo variabile dai 4 ai
6 miliardi di euro».
Venerdì 14 ottobre, altro titolo a tutta (sesta) pagina:
Strade, teatri e ferrovie sacrificati allo Stretto.
Riportiamo dallincorniciato sulle Grandi opere in lista
dattesa, con gli interventi dimenticati:
Bre-Be-Mi, ovverossia il collegamento stradale tra Brescia, Bergamo
e Milano; la realizzazione di unarteria alternativa alla via
Aurelia; il collegamento ferroviario tra Genova e Milano, e quelli
tra Milano e Verona, tra Verona e Padova e tra Venezia e Trieste.
Vi chiederete: e per il Sud? Calma e gesso. Sostiene Libero:
«Anche nel Mezzogiorno ci sono opere che attendono da tempo
immemore di essere realizzate». Giusto. Ma quali? La variante
Anas di Caserta, ad esempio, che è fondamentale per rilanciare
lo sviluppo della Campania; oppure il carcere di Mistretta, anche
in vista forse delle reclusioni dei mafiosi che metteranno
il becco nellaffare del Ponte; e infine, con sprezzo del ridicolo,
nientemeno che la strada Nerico-Muro Lucano-Baragiano, faraonica
stradella interpoderale (a giudicare dalle aree collegate) che chiuderebbe,
se finalmente ammodernata, lorrenda forbice citata dagli spiriti
perdigiorno che si dilettavano di questioni meridionali e contribuirebbe
allo sviluppo della civiltà dei terrunàzz.
Cosa, questa della strada appena menzionata, che mi preoccupa assai,
perché quasi sicuramente qualcuno scriverebbe (ma con liquido
diverso dallinchiostro) di chissà quante migliaia di
tonnellate di polenta sottratta alle diseredate campagne del Nord
per finanziare uninfrastruttura del genere al Sud. E mi sentirei
in colpa, porterei il rimorso fino allultimo dei miei giorni.
Sempre temendo le reprimende giustissime dei colleghi del Nord produttore
e lavoratore, così partecipi, così vivamente risentiti
per le rapine a mano disarmata di noialtri cinici negatori dei sacrifici
di chi, per percorrere persino la Milano-Brescia, deve proprio far
testamento. Cinesi che non siamo altro! Megalomani privi di scrupoli!
Ha ragione il direttore della Padania: «A uno
che per venire al lavoro ci mette unora e mezza di macchina
per coprire esattamente 57,4 chilometri, un po gli girano
le scatole. E visto il traffico di macchine e di tir, come me la
pensano migliaia di pendolari ogni giorno. Anche il sabato e la
domenica. Ecco perché il Ponte sullo Stretto non ci sarà
mai simpatico». E questa è una dichiarazione di franca
lealtà: Gianluigi Paragone la pensa così, è
un suo diritto pensarla come vuole, anche quando aggiunge: «Certo,
recentemente il Cipe ha sbloccato molte importanti infrastrutture
in Padania, e di questo dobbiamo dire grazie allimpegno della
Lega. Eppure la pazienza è inversamente proporzionale allattesa:
il Nord ha atteso troppo per avere la Pedemontana e le sue sorelle.
Strade, strade, strade: le imprese chiedono strade perché
ogni coda sono soldi che non tornano. Solo quando le nostre gomme
toccheranno il nuovo cemento, allora ai padani forse il Ponte sarà
più simpatico... Il Ponte lè roba da ganassa.
Quel mausoleo sembra davvero un capriccio da imperatore che drena
soldi, sottratti a migliori investimenti...».
Eterno problema di tanta brava e generosa gente: i danè.
A chi? A loro, naturalmente. Anche quando sono destinati ad opere
veramente inutili, come il traforo del Frejus, che costa tre volte
più del ponte messinese, ma nessuno lo dice; o quando si
risanano imprese del Nord o si salvano banche del Nord, e tutti
fanno finta di non sapere. E poi, pane al pane: se vince il centro-sinistra
il ponte non si fa. E poiché la prima pietra si poserà
dopo le elezioni, cioè a metà 2006, è probabile
che molti si stiano strappando i capelli inutilmente. È anche
probabile che i laboratori scientifici, sismologici, tecnologici,
il cui insediamento è previsto nel progetto, siano ingoiati
dai livori politici e ideologici di questi nostri tempi infami.
Bellimmagine di sé darebbe lItalia, presunta
sesta potenza economica del pianeta! Bel bidone tirato al Sud, con
la storia della paura del terremoto o della mafia. Perché
in realtà costruiamo dappertutto, e bene, oltre la Penisola.
E il business fa gola ai boss delle due sponde, come faceva gola
il porto di Gioia Tauro, o, prima ancora, il Quinto centro siderurgico,
poi felicemente abortito; e, dopo ancora, come sottolinea Stefano
Cingolani su Il Riformista, fa gola «il business
dei traghetti, la raccolta delle arance e del bergamotto. Fa gola
ledilizia, gli appalti per le fognature, il mercato delle
braccia, la riscossione dei tributi». E commenta: «In
fondo Vittorio Feltri è coerente: che gliene importa al Nord
del ponte sullo Stretto? Sono risorse sottratte al popolo delle
partite Iva. Ma che dire di giornali che quando Impregilo (aveva
nel mirino il progetto da almeno un decennio) era della Fiat o di
Romiti mobilitavano le loro migliori penne per cantare le magnifiche
sorti e progressive del Ponte; e adesso arricciano il naso o addirittura
gettano fango». Così va il (nostro) mondo.
«E mo fatelo sto ponte sullo Stretto», esorta
tra il serio e il faceto Antonio Pennacchi, nella sua rubrica intitolata
Stalin bar. Mussolini in sei mesi fece Littoria, scrive.
E prosegue: «È una cosa da fare. Anzi, per me quel
ponte è proprio di sinistra: progressista e proletario....
Ma limpatto ambientale, il panorama. Ma quale
impatto, quello il panorama lo arricchisce, che cè
di più bello a questo mondo di un ponte? Guarda un ponte
romano, guarda quello di Brooklin. È il lavoro delluomo
da che mondo è mondo il valore aggiunto di
ogni paesaggio». E a chi lamenta la mancanza di strade, di
acqua, magari di altro, replica: «Per elevare gli standard
medi devi elevare per forza i livelli di eccellenza. È solo
elevando leccellenza per un meccanismo combinato di
mimesi, emulazione, mitopoiesis degli orizzonti di attesa
che questa si tira appresso gli standard medi... Dice: Ma
le difficoltà tecniche. E quelle le devi superare.
Tu sei il primo e più grande costruttore della storia. Tu
hai eretto i primi ponti e fino a ieri sei andato in giro a costruire
dighe dappertutto. Oggi sei scomparso, i cinesi fanno a gara anche
di grattacieli e a te non ti si vede. Vuoi competere nella globalizzazione?
Dimostra allora che sai ancora fare cose che colpiscono gli immaginari.
Come il ponte di Messina, per esempio».
È stato detto che ogni grande opera pubblica finisce per
suscitare dibattiti, opposizioni, lacerazioni politiche e sociali.
Tanto più un ponte, che «ha di per sé un particolare
valore simbolico». Quando svedesi e danesi decisero di costruire
il loro (di 8 chilometri, anche se non a una sola campata) per collegare
Malmoe a Copenaghen, scoppiò un putiferio: «I verdi
insorsero. Gli xenofobi temevano linvasione degli immigrati
dal continente. Tra Svezia e Danimarca rispuntarono rivalità
etnico-culturali, storiche e militari persino... Adesso a Malmoe
e a Copenaghen lunica questione è se il pedaggio riuscirà
a coprire i costi di gestione. Ma quelli sono popoli pragmatici
e luterani. Noi che siamo idealisti e cattolici non scenderemo mai
a un tale materialismo. Noi leveremo alte le voci dello spirito.
Né un uomo né un soldo per quellinutile
e pericoloso monumento, scrive Guglielmo Ragozzino sul Manifesto.
Tra quei mostri di Scilla e Cariddi si aprano le bocche dellinferno».
La «porcheria inutile» (la definizione è del
quotidiano Padania) dovrebbe consentire il transito
di 6.000 veicoli allora e di 200 treni al giorno, resistendo
a un vento di oltre 200 km/h e a terremoti oltre il settimo grado
della scala Richter: cifre contestate da Marco Ponti, ordinario
di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano, mai tenero nei
confronti dellopera, e che tuttavia, sul Corriere della
Sera, sostiene: «Meglio il Ponte sullo Stretto del traforo
del Frejus... che costa tre volte tanto e serve ancora meno... Se
non possiamo evitare il Ponte, almeno battiamoci contro il Frejus...».
Eppure cè sempre qualcosa di maestoso e di affascinante
in ogni sfida affrontata dalluomo sulla terra e sul mare.
Cè limpronta della sua civiltà, e cè
il sigillo della sua intelligenza, scavalchi uno Stretto mitologico
o perfori una montagna di frontiera. Al di là della suggestione
della megastruttura, al Ponte sono comunque assegnati due obiettivi
paralleli: testimoniare la rinascita di due regioni problematiche
per molti versi; riaffermare il legame indissolubile tra Penisola
e Isola, particolarmente rilevante in tempi di becere ideologie
separatiste, e di sottoculture che, privilegiando gli egoismi localistici,
volontariamente si smemorano di scomode vicende storiche vissute
sulla pelle del Sud.
Dunque, cè anche qualcosa di malinconico in questo
perseverare nellaccanimento contro unItalia ritenuta
altra e diversa, estranea, anche ostile;
cè un mortificante tramonto dellimmaginazione
determinato da un gretto utilitarismo; e cè una visione
del mondo da un angolo ottuso, che fa piccoli gli uomini e ridotti
gli orizzonti. Tutto questo impoverisce e non gratifica, esclude
e non aggrega. Quanto tempo è passato dal 1861? E perché
hanno voluto il 1861? Ma si ebbe davvero allora il primo colonialismo
italiano? DellItalia che era tale fino al Tronto e poco oltre
lOmbrone?
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