Dicembre 2005

Tesori dell’Unesco

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Italia da primato
Tonino Caputo - Alfio Romano
 
 

 

 

Porto Badisco
e le sue pitture
miracolose poco
o nulla hanno da invidiare alle più celebri grotte
francesi di Chauvet e di Lescaux o a quella spagnola di
Altamira.

 

Ci sarà il giorno delle Grotte di Porto Badisco, e magari si prenderanno in considerazione anche le Tebaidi bizantine e le testimonianze della civiltà di grotta della Puglia centrale, o la stessa Foresta Umbra che tanto comune poi non è, ma per ora a far parte del patrimonio dell’umanità sono entrate Siracusa e le Necropoli di Pantalica, sicché l’Italia conserva il suo primato di Paese più ricco di cultura al mondo. Infatti, nell’annuale incontro che di recente si è svolto a Durban, in Sudafrica, il Comitato del Patrimonio mondiale ha preso in esame le numerosissime richieste avanzate da quarantadue Paesi, e ha scelto alcuni siti, culturali e naturali, che hanno arricchito la lista delle aree e dei luoghi da proteggere come beni planetari.
La tutela dell’ambiente e la salvaguardia dei beni culturali sono diventati col passare degli anni la più nota attività dell’Unesco e l’iscrizione nel patrimonio mondiale è oramai un simbolo ricercatissimo, dal momento che offre rinomanza e attrae presenze turistiche. Nata nel 1972, la Convenzione per il patrimonio mondiale si è rivelata uno strumento indispensabile, com’è stato scritto, «se non altro perché la dichiarazione di pericolo per certi siti ha consentito il loro salvataggio grazie alla mobilitazione internazionale». La specificità di questa iniziativa dell’Unesco consiste infatti nel negare il carattere nazionale dei beni iscritti: «Quel che rende eccezionale il concetto di patrimonio mondiale è la sua applicazione universale. I siti del patrimonio appartengono a tutti i popoli del mondo, senza tener conto del territorio sul quale sono dislocati».

È sulla base di questa filosofia che ogni anno vengono esaminate le candidature provenienti da ogni angolo del pianeta. E il primato dell’Italia non sorprende: quaranta siti iscritti, vale a dire la maggior parte delle città d’arte, ma anche le Cinque Terre, la Val d’Orcia, le Eolie, le residenze dei Savoia, i trulli, la costa amalfitana e tanti altri luoghi. L’ultimo inserimento, quello di Siracusa, era quasi dovuto, come del resto ricorda la motivazione: «L’iscrizione si giustifica in quanto la colonia di Siracusa, che occupò il territorio dove si era precedentemente sviluppata la civiltà preistorica di Pantalica, divenne presto il più importante centro della cultura greca del Mediterraneo, primeggiando anche sulle rivali Cartagine e Atene».
Il Comitato sottolinea anche l’unicità della metropoli siciliana: «La stratificazione umana, culturale, architettonica e artistica che caratterizza l’area di Siracusa dimostra come non ci siano esempi analoghi nella storia del Mediterraneo, che pure è caratterizzato da una grande diversità culturale: dall’antichità greca al barocco la città è un significativo esempio di un bene di eccezionale valore universale». Riconoscimento migliore non poteva esserci per le “cinque Siracuse” (Epipoli, Neapoli, Acradina, Tiche e Ortigia) che concorrono a formare una delle più complesse e nobili polis dell’antichità.
Salgono così a cinque i siti siciliani iscritti nel patrimonio mondiale, un numero cospicuo, superato soltanto dalla regione toscana. Il nostro Paese consolida il proprio primato, seguito a ruota dalla Spagna e dalla Francia. Nella stessa circostanza il Comitato ha iscritto una dozzina di siti culturali e la scelta dimostra la varietà e l’attenzione ai diversi aspetti della civiltà umana: il centro storico di Macao, in Cina; il centro di Le Havre ricostruito dopo il secondo conflitto mondiale; le torri campanarie del Nord della Francia; il Limes romano, vale a dire i 550 chilometri di antiche fortificazioni dal Reno al Danubio, la cui costruzione fu decisa dall’imperatore Domiziano; il museo Plantin-Moretus di Anversa, splendida testimonianza sulla storia della tipografia e dell’edizione; la Vredefort Dome, in Sudafrica, enorme cratere con il più grande impatto di meteorite; l’area egiziana del Wadi al-Hitan, con il fossile di un cetaceo risalente al Paleogene; la Penisola di Shiretoko, in Giappone, che ospita moltissime specie sia marine sia terrestri; i fiordi norvegesi Geiragerfjord e Naeroyfjord, che sono fra i più lunghi del pianeta; le 244 isole del Golfo della California, dove vivono 695 specie di piante; il panamense Parco nazionale di Coiba, ultimo rifugio di alcuni animali che sono in via di estinzione.
Sono i nuovi arrivati, che confluiscono nel numero dei “siti simbolici”, quali sono ritenuti i Lungosenna di Parigi, sui quali si affacciano il Louvre, Notre-Dame e la Torre Eiffel: uno dei trentotto siti spagnoli, quello di Granada, con Alhambra, Generalife e Albaicin; la città vecchia di Gerusalemme; i monumenti storici dell’antica città di Kyoto.

Per quel che riguarda specificamente l’Italia, i quaranta siti sono stati selezionati in date diverse, ma sempre con motivazioni di alto contenuto storico e artistico. Li enumeriamo percorrendo idealmente la Penisola da Nord a Sud: Arte rupestre della Val Camonica (il nostro primo sito riconosciuto, nel lontano 1979); i Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia; l’Insediamento Industriale di Crespi d’Adda; le Residenze sabaude in Piemonte; Santa Maria delle Grazie e il Cenacolo leonardesco a Milano; la città di Verona; Vicenza, città del Palladio; l’Orto Botanico di Padova; la Zona archeologica e la Basilica di Aquileia; Venezia e la sua Laguna; la Cattedrale, la Torre Civica e Piazza Grande di Modena; il Centro storico di Ferrara; i Monumenti Paleocristiani di Ravenna; il Centro storico di Urbino; il Centro storico di Siena; il Centro storico di Firenze; le Cinque Terre e le Isole; il Centro storico di Pienza; Piazza del Duomo a Pisa; il Centro storico di San Gimignano; la Val d’Orcia; Assisi, la Basilica di San Francesco e altri siti francescani; la Necropoli di Cerveteri e quella di Tarquinia; il Centro storico di Roma, le proprietà extraterritoriali della Santa Sede e San Paolo Fuori le Mura; Villa Adriana a Tivoli; Villa d’Este a Tivoli; Villaggio Nuragico Sardo di Barumini; Reggia di Caserta, il Parco, l’Acquedotto Vanvitelli e il complesso di San Leucio; Aree Archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata; Parco Nazionale del Cilento; il Centro storico di Napoli; la Costiera Amalfitana; i Trulli di Alberobello; Castel del Monte; i Sassi di Matera; le Isole Eolie; le Città barocche della Val di Noto; Enna, Piazza Armerina e la Villa del Casale; l’Area archeologica di Agrigento; ultima arrivata, Siracusa. In lista d’attesa, decine e decine di altri siti italiani, tra i quali non sfigurerebbero almeno la Città Vecchia e la Cattedrale di Otranto, l’area dei Templi di Paestum, il sito aquilano di Santa Maria di Collemaggio, quello garganico di Monte Sant’Angelo, quelli calabresi dell’Abbazia di Padula, di Pizzo e della polis di Sibari...

Porto Badisco e le sue pitture miracolose, dicevamo all’inizio. Che poco o nulla hanno da invidiare, secondo noi, alla più celebre grotta di Chauvet (Ardeche, Francia) e ai suoi raffinati e “moderni” dipinti risalenti a 32 mila anni fa; o a quella di Altamira (Cantabria, Spagna), con i dipinti che risalgono a 13.500 anni fa; o infine a quella di Lescaux (in Dordogna, sempre in Francia), probabilmente la più celebre di tutte, con i suoi dipinti di 16 mila anni fa. Ma la preistoria italiana ci proietta altre immagini, ultime quelle in una caverna-accampamento sui monti Lessini, a circa quindici chilometri da Verona: vi visse una comunità di uomini e di donne, raccolta attorno al fuoco, 34 mila anni fa. Sotto quel che rimane della volta, grazie all’accurato lavoro dei nostri archeologi, ora è possibile vedere i grandi focolari circondati di pietre, le zone dove i cacciatori si sedevano e scheggiavano le selci, dove uccidevano e squartavano gli animali, dove dormivano e gettavano i rifiuti e accumulavano conchiglie per farne delle collane. E in questo scenario remoto si è scoperto qualcosa che nemmeno i più ottimisti avrebbero potuto aspettarsi: le più antiche pitture del mondo!

Si tratta di cinque schegge di pietra dipinte con figure diverse, tra le quali spicca l’immagine di un personaggio con una maschera cornuta che lo fa straordinariamente somigliare a un Minotauro; un’altra pietra presenta un piccolo animale dal corpo allungato con coda opulenta, che ricorda una donnola; altre pietre presentano tre frammenti di figure ormai indecifrabili: schegge che in epoca antica si staccarono dalla volta dipinta della caverna e che vennero sepolte dagli strati di successivi insediamenti. Un incidente provvidenziale, perché oggi sul soffitto della caverna non c’è più alcuna traccia di pitture. Le uniche immagini scampate alla distruzione sono proprio quelle dipinte con ocra rossa sulle scaglie di pietra finite sul pavimento e conservatesi grazie a un velo di calcare che in un certo senso ha “fissato” il colore.

Le pietre con le pitture si trovavano sotto il livello dei carboni prodotti dalla legna bruciata, dunque dovrebbero essere coeve o anche un poco più antiche: la datazione colloca i dipinti di Fumane (nome esatto della località di rinvenimento) nella fase culturale detta Aurignaziano, la prima in cui compaiono sia l’Homo sapiens sapiens (che è come dire uomini come noi), sia le più antiche testimonianze artistiche del pianeta, dal momento che altre testimonianze pittoriche dello stesso periodo sono risultate in effetti un poco più recenti.

Gli scavi nel sito, comunque, procedono. Si vuole scoprire che cosa c’è più giù, oltre lo strato dei 34-32 mila anni fa. La storia si rivela: abbandonata per un certo periodo, la grotta era stata già frequentata dall’uomo di Neanderthal, che per migliaia di generazioni vi era tornato a rifugiarsi per il periodo della caccia. Siamo a 80 mila anni fa, come testimoniano le selci scheggiate che sono state abbandonate da progenitori che precedettero coloro i quali li sostituirono, inventando per di più la prima arte.

Storia conclusa? Proprio per nulla: si sta scavando dietro un muro nella parte più interna della grotta, dove si ritiene che ci sia un altro pezzo di accampamento cosparso di pietre e di ossa di animali. E chissà che anche quest’area non debba riservare altre sorprese da consegnare al nostro, che è il Paese con il più opulento (e spesso per tanti versi bistrattato) patrimonio artistico del mondo.

 

   
   
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