Dicembre 2005

Questione (im)morale

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Italiani mala gente
A.B.
 
 

 

 

 

 

Non c’è affatto una frattura tra Paese reale e Paese legale, tra elettori ed eletti per il semplice
e terribile
fatto che l’uno
è specchio non deformante
dell’altro.

 

Ce la prendiamo tanto con i politici di tutti i colori, con gli imprenditori privati-protetti, con i grandi banchieri, con l’euro e con l’Europa, con gli affaristi prestati alla politica, con i politici che fanno affari sopra-e-sottobanco... Ma c’è anche un altro modo di analizzare la questione morale sulla quale un po’ tutti dibattiamo con ostentata saccenteria in questo inizio di secolo e millennio; e c’è anche un altro corpo collettivo, diverso dalla classe dirigente, che merita di farle compagnia sul banco degli imputati. Questo corpo è formato da noi, uomini e donne d’Italia, appartenenti a tutte le professioni, o caste, o circoli lobbistici, o associazioni culturali politiche sindacali professionali e via di seguito.
La nostra colpa è di essere cittadini senza legge, e meglio ancora senza alcun rispetto per le regole. L’imputazione che pende sulle nostre teste apre perciò un altro fronte della “questione morale”, che a sua volta evoca una legalità perduta, svuotata, vilipesa. E non si fa una gran fatica a dimostrare l’assunto: semmai, c’è solo l’imbarazzo nello scegliere fior da fiore, tale e tanta è la casistica visibile, in tutte le latitudini della Penisola, quasi regolarmente riferita dalle cronache dei più seri organi di stampa, puntualmente sottratta agli approfondimenti pubblici o peggio ancora messa in ombra dai dibattiti e dalle ciarlatanerie salottiere spettacolari e devianti che prediligono il gossip al posto delle analisi critiche, e la confusione delle lingue al posto dell’analisi chiarificatrice delle ragioni in campo.
Prendiamo qualche esempio a caso. Nel Mezzogiorno un lavoratore su quattro è in nero, e in generale il lavoro sommerso ha raggiunto ormai la quota di tre milioni e mezzo di persone. Di conseguenza, cresce l’evasione fiscale: secondo gli ultimi dati dell’Istat, questa ha raggiunto il 7,1 per cento del Prodotto interno lordo, che in moneta sonante significa la cifra astronomica di 200 miliardi di euro, scuciti in compenso dalle casse dello Stato.
Ancora: nelle spiagge del Lazio si registra un abuso edilizio ogni mille metri; il nostro è un Paese nel quale si possono costruire ecomostri con licenze edilizie rilasciate dalle “autorità competenti” che disattendono regole scritte, princìpi di tutela del territorio e dell’ambiente e persino esigenze di buon gusto architettonico e di rispetto del paesaggio, senza che nessuno muova preventivamente un dito.
A Catanzaro si è concluso con una promozione in massa l’esame di avvocato dove ben 2.585 candidati avevano copiato parola per parola lo stesso compitino. La pirateria informatica, sviluppata soprattutto nelle regioni del Centro e del Nord, copre il 75 per cento del software con cui girano i nostri computer (la media europea è pari a meno della metà, 35 per cento).
Legambiente ha appena denunciato un’impennata della caccia di frodo: viene tranquillamente praticata in undici Parchi nazionali, dall’Abruzzo al Friuli, tanto solo un bracconiere su venti ne paga le conseguenze. Italia Nostra ha festeggiato a settembre il suo cinquantesimo anno di vita, e spesso si è dovuta impegnare in assoluta solitudine per difendere l’Italia dagli abusi che vengono consumati senza soluzione di continuità. E potremmo proseguire all’infinito.
Già questi dati, tuttavia, sono sufficienti a proiettarci le linee portanti di una triplice lezione. In primo luogo, non c’è affatto una frattura tra Paese reale e Paese legale, tra elettori ed eletti, tra un popolo senza potere e un potere senza popolo: per il semplice – e terribile – fatto che l’uno è specchio non deformante dell’altro. In secondo luogo, insieme al senso della legge abbiamo smarrito pari pari la capacità di indignazione, vale a dire quel soprassalto, quella reazione di condanna e di rigetto al cospetto delle malefatte altrui che rappresenta l’anticorpo più potente delle democrazie. E d’altra parte, dove mai potremmo trovare la forza (l’energia) per indignarci, quando le violazioni delle regole sono così diffuse e praticate con regolare frequenza? Quando attorno a noi, dovunque, i furbi fanno carriera, accumulano ricchezze, si accaparrano vantaggi d’ogni sorta? Quando la legge viene elusa persino da chi dovrebbe farla rispettare? (Ancora un dato: a quindici anni di distanza dal varo della normativa che garantisce il diritto d’accesso verso gli atti delle amministrazioni pubbliche, un ente locale su otto è ancora inadempiente). Quando la stessa legge appresta gli strumenti per evaderne il precetto, e tali strumenti a loro volta si risolvono nella proliferazione senza fine dei precetti, e poi delle deroghe, delle proroghe, dei codicilli o dei cavilli che fanno la fortuna di ogni buon avvocato? «Le gride sono tante!» – esclama un personaggio di Manzoni – «e il dottore non è un’oca: qualcosa che faccia al caso mio saprà trovare».
Ed eccoci al terzo corollario, alla terza morale che è possibile desumere dalla diffusa immoralità che ci assedia. C’è infatti un approccio, c’è un modo di fare che a sua volta coniuga i comportamenti degli imprenditori, dei finanzieri, dei politici, dei grandi affaristi, degli spregiudicati lobbisti, le cui trame sono state in buona parte disvelate pochissimi mesi fa, e i piccoli abusi quotidiani rispetto ai quali nessuno è davvero senza peccato. Sta di fatto che quasi mai viene in gioco la manifesta violazione di una regola: la via è piuttosto quella del raggiro, dell’elusione, dell’atteggiamento capzioso o fraudolento.
Sarà per tutto questo che il numero dei furti e degli omicidi tende a diminuire, mentre le truffe hanno ormai toccato il picco (+69 per cento negli ultimi quattro anni). Sarà per questo che le regole di correttezza sono pressoché cadute in disuso, come dimostra – ad esempio – la parzialità di molti organi imparziali, e perciò le critiche che investono a turno questo o quel giudice, questo o quel presidente d’assemblea parlamentare. Sarà per questo che la gran parte delle leggi viene erosa da disapplicazioni sistematiche.
Senza legge, però, è impossibile la stessa convivenza. Ed è lo spirito della legge, probabilmente ancor più della sua lettera, l’alimento di ogni comunità civile.

 

   
   
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