Il libero mercato
è la forma più
efficiente di
economia, ma non segna la fine della storia
prospettata da Francis Fukuyama.
|
|
Quella che possiamo chiamare la vecchia Europa, (Francia,
Germania e Italia), continua a soffrire alti livelli di disoccupazione.
Per invertire la tendenza, questi Paesi devono imitare Margaret
Thatcher e Ronald Reagan. Il che, in due parole, vuol dire vero
libero mercato.
Il problema della Germania è lentrata nelleuro
con un cambio che ha sopravvalutato il marco tedesco. Così,
mentre lIrlanda accompagna allinflazione una crescita
rapida, Germania e Francia sono più stabili, ma faticano
a crescere. Leuro sta diventando più una fonte di problemi
che un sostegno. Non potendo uscire dalleuro, la Germania
deve diventare più flessibile, eliminare le regole che hanno
portato la disoccupazione a cifre alte. Daltronde, le politiche
del passato hanno spinto molti imprenditori fuori dalla Germania.
A Londra, Tony Blair sostiene una terza via: un mercato
del lavoro flessibile, ma senza lassumi e licenzia
allamericana. Bene, io non credo che esista una via
del genere, anche se è vero che un mercato competitivo non
comporta assenza di società. Lapproccio sociale va
bene quando non cè di mezzo il mercato.
Poi, cè anche il modello scandinavo: tasse alte, occupazione
alta. Ma una cosa del genere non può verificarsi dove ci
sono molti immigrati. I Paesi scandinavi hanno comunità piccole
e omogenee, nelle quali tutti sono disposti a pagare tasse in nome
di obiettivi comuni. Ma gli obiettivi comuni sono difficili da recepire
per popolazioni numerose e disomogenee. Il libero mercato costringe
a cooperare anche gruppi diversi per cultura e per religione.
Per quel che riguarda linflazione, che negli Stati Uniti è
sempre lenta, anche in presenza di forti aumenti del costo del petrolio,
va sottolineato che essa è un fenomeno monetario pilotato
dalle Banche centrali. Se la fluttuazione dei prezzi negli Usa non
è stata mai bassa come negli ultimi quindici anni, non è
per caso, ma per la politica rigorosa della Federal Reserve. Anche
in Europa la Banca centrale europea ha frenato linflazione
e tenuto fermi i prezzi: ma lì le pressioni a battere moneta
per incoraggiare loccupazione sono più forti che negli
Stati Uniti. Ciò che farà la Banca centrale europea
dipenderà da Germania, Francia e Italia.

LItalia sembra il problema maggiore: ha beneficiato delleuro
perché ha goduto di tassi europei, più bassi di quelli
che si sarebbe potuto permettere per colpa del debito interno elevato.
In passato, quando ha potuto, lItalia ha gonfiato il suo passivo.
La cosa buona, adesso, per leuro, è che questa possibilità
non cè più. È resa impossibile dalla
politica di bilancio restrittiva della Banca centrale europea.
Per quel che riguarda gli Stati Uniti, il debito interno è
principalmente nelle mani di Giappone, Cina e Corea del Sud. Ma
questo enorme deficit corrente non è un problema, né
per lAmerica né per leconomia mondiale. Infatti,
se si guarda ai numeri, gli Stati Uniti sono pesantemente in debito;
ma se si guarda alla vicenda dal punto di vista del capitale, vediamo
come gli interessi che paga lAmerica siano pari a quelli che
essa riceve dai suoi investimenti esteri. Anzi, le attività
americane allestero stanno fruttando più di quanto
non facciano quelle straniere negli Stati Uniti. Gli investitori
vengono negli Usa perché garantiscono sicurezza e stabilità
e, in cambio di tutto ciò, accettano una remunerazione più
contenuta. Le attività americane in altri Paesi, viceversa,
sono più rischiose e, pertanto, assicurano ritorni molto
più elevati. In termini reali, la situazione è di
equilibrio. Per questo credo che le preoccupazioni sui conti americani
siano fuorvianti.
Dunque, il deficit di bilancio Usa non mi preoccupa per nulla. È
la spesa che mi preoccupa. Se il governo degli Stati Uniti impegna
il 40 per cento del reddito nazionale nel servizio del debito e
in prelievi fiscali, quel denaro non è più disponibile
per i consumi. Il deficit diventa così una sorta di tassazione
indiretta.
E non mi preoccupa una Cina che cresce senza soluzione di continuità
dal 1979, quando passò dal mercato leninista
al libero mercato controllato dautorità,
come ebbi a definire il sistema cileno. Non mi preoccupa perché
è un modello che non può durare. In Cina succederà
ciò che è capitato, appunto, in Cile. La libertà
politica è essenziale: la Tienanmen è solo il primo
episodio di una lunga serie. Non si può incoraggiare lo sviluppo
ed essere autoritari, perché si provoca un conflitto tra
popolazione e Stato. Senza libertà, la crescita si ferma.
E cè una nuova generazione, formata allestero,
consapevole delle alternative. Prima o poi la linea sarà
ammorbidita. Non per niente Internet ha avuto sul liberismo e sui
mercati un effetto tremendo. Come è accaduto anche in Cina,
dove la gente ha ora imparato a parlare, e comunica, e il governo
nonostante gli sforzi non è più in grado
di controllarla. Internet, inoltre, si muove nella direzione della
perfetta informazione per i mercati. Gli individui e
le società possono comprare e vendere oltre confine inseguendo
le opportunità migliori. La rete ha ridotto le possibilità
di imporre tasse sulle merci. Perché qualcuno dovrebbe comprare
qualcosa in un Paese, quando sa che può acquistarla altrove
pagando una tassa minore? Internet è lo strumento più
efficace per la globalizzazione.
Per questo io credo che la marcia verso il liberoscambismo può
proseguire anche nel XXI secolo. Il pianeta nel complesso ha più
o meno abbracciato la scelta della libertà di mercato. Il
socialismo, nel senso tradizionale, comportava la proprietà
e la gestione pubblica dei fattori di produzione. Se tralasciamo
la Corea del Nord e un paio di altri Stati, non cè
più nessun Paese che oggi potrebbe definirsi socialista.
Di qui, non si tornerà indietro. La caduta del Muro di Berlino
ha fatto per il progresso della libertà molto più
di qualunque libro. Il socialismo, ora, identifica solo un governo
che si preoccupa di spostare il reddito, trasferendo da chi ne ha
verso chi non ne ha. È un problema di distribuzione della
ricchezza. Non di proprietà.
Ciò detto, è ovvio che questa della globalizzazione
non mi sembra leconomia più libera che abbiamo mai
visto. Il commercio, in realtà, era molto più libero
nel XIX secolo, siamo meno globalizzati oggi di allora. Se poi ci
si chiede se saremo più globali rispetto allOttocento,
rispondo che non lo so. Viviamo in un mondo più libero perché
lUnione Sovietica è crollata e la Cina sta cambiando.
Questi sono stati i due fatti principali che hanno contribuito ad
una maggiore libertà. Le economie dellex Oltrecortina
si ispirano ai princìpi del libero mercato, la maggior parte
di questi Stati hanno governi più liberi e meno restrizioni
al commercio. Questa base liberoscambista fungerà da modello
per chi è in ritardo, e lo contagerà. Tutti, dappertutto,
oggi capiscono che la strada per il successo dei Paesi sottosviluppati
passa su mercati più aperti e sulla globalizzazione.
In conclusione: queste teorie hanno prevalso su Marx e su Keynes.
Ma non è questo il punto darrivo definitivo del pensiero
economico. Il libero mercato è la forma più efficiente
di economia, almeno per i nostri tempi; ma non segna la fine
della storia prospettata da Francis Fukuyama. Libero mercato,
fra laltro, è un termine molto generico. Vedremo emergere
ogni sorta di problema. Il libero mercato funziona al meglio quando
una transazione fra due persone dipende solo da queste due persone.
In pratica, non succede. La realtà è che il più
delle volte se io vendo una cosa a te finisce per provocare delle
conseguenze che valgono anche per altre persone. Questo è
il problema che devono risolvere i governi, questioni cruciali come
linquinamento e le disuguaglianze. Davanti a queste esigenze
possiamo essere certi che la fine della storia non arriverà
mai.
|