Arabo, educato
allestero, master in business negli Stati Uniti
o in Europa,
quarantanni: questo, il profilo del nuovo
protagonista della scena finanziaria mondiale.
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Proprio negli anni in cui lattenzione della politica mondiale
e dellopinione pubblica è focalizzata sulla guerra
al terrorismo e sui conflitti che insanguinano il Vicino e il Medio
Oriente, il mondo musulmano sviluppa in silenzio il suo volto più
occidentale: quello della finanza. Mentre leconomia
europea ristagna e quella americana si rislancia verso la ripresa,
sono i mercati finanziari dei Paesi islamici ad espandersi a vista
docchio: sia in termini di performance sia in termini di dimensioni.
Da una parte, negli ultimi anni gli investitori hanno assistito
a un vero e proprio boom delle obbligazioni coraniche
(che a fine 2004 avevano già superato lammontare di
30 miliardi di dollari); dallaltra, anche le Borse dei Paesi
arabi hanno dimostrato di saper correre, con performance che nel
2005 in molti casi hanno superato il 100 per cento. Merito del caro-petrolio.
Merito della crescita economica. Ma anche della montagna di liquidità
disponibile tra gli investitori di quei Paesi: si parla di circa
1.500 miliardi di dollari investibili nella sola area del Golfo
Persico!
Il boom della finanza islamica si vede con chiarezza sia sui mercati
azionari sia su quelli obbligazionari. Bastano le cifre delle performance
degli ultimi mesi per rendersene conto. La Borsa egiziana negli
ultimi 12 mesi ha raddoppiato la propria capitalizzazione, guadagnando
nel 2005 il 63 per cento. Ma la crescita riguarda anche gli scambi,
oggi arrivati a 20-30 mila transazioni al giorno, contro i circa
6 mila di soli tre anni fa. Anche i listini del Kuwait (+76 per
cento, record storico per questo Paese) e di Amman (+86 per cento)
si sono difesi benissimo; soprattutto se le loro performance si
confrontano con quelle, ben più asfittiche, delle blasonate
Borse occidentali: lindice americano Dow Jones nello stesso
arco di tempo ha perso il 3,6 per cento, il Nasdaq ha ceduto il
2,8 per cento, mentre in Europa la Borsa migliore è stata
quella svizzera, con un +22 per cento.
I listini arabi cercano di attrarre investitori (locali e stranieri)
aumentando anche la trasparenza. Il vero tallone dAchille
di questi Paesi, infatti, è stata sempre la debole regolamentazione.
Ma, anche da questo punto di vista, più di una cosa sta cambiando.
Va letta in questi termini la recente creazione, da parte di Dubai,
di una nuova Borsa internazionale: un listino (il Dubai
International Financial Exchange) nato a fine settembre 2005 con
il fine di attrarre società estere in quotazione e investitori
internazionali, offrendo loro le regole tipiche dei Paesi occidentali.
Dubai, in questo modo, si candida a diventare la Hong Kong del Vicino
Oriente. Ma va letta in termini di una maggiore trasparenza anche
la nascita della Dubai International Financial Centre Court, una
corte indipendente che ha lo scopo di assicurare proprio il rispetto
delle leggi.

Sui mercati obbligazionari lo sviluppo è altrettanto eclatante.
Le obbligazioni islamiche (quelle chiamate sukuk, che
non pagano interessi in osservanza della legge coranica) fino a
pochi anni fa neanche esistevano: è stata infatti la Malaysia,
nel 2002, a lanciare la prima obbligazione denominata in dollari.
Per evitare di pagare agli investitori i tassi dinteresse
(proibiti dal Corano), la Malaysia aveva inventato un meccanismo
geniale: utilizzando la tecnica della cartolarizzazione e associando
lemissione obbligazionaria alla vendita di un terreno demaniale,
aveva di fatto trasformato le cedole delle obbligazioni
(proibite) in canoni daffitto (perfettamente leciti).
Il risultato era lo stesso, ma le prescrizioni del Libro venivano
rispettate.
Questidea, dunque, in poco tempo ha preso piede in tutto il
mondo musulmano. Le emissioni sono arrivate da Pakistan, Qatar,
Bahrain e da diverse società. La domanda degli investitori
era talmente elevata, che le emissioni si sono moltiplicate. A fine
2004 i bond islamici ammontavano già a 30 miliardi di dollari
e, secondo i dati dellIslamic Finance Information Service,
nel 2005 sono state già emesse nuove obbligazioni per circa
10 miliardi. Non solo: pian piano, anche gli investitori occidentali
hanno iniziato ad acquistare questi particolari bond. E gli emittenti
hanno iniziato a lanciarli: il primo è stato il Land tedesco
Sassonia-Anhalt, che ha emesso un sukuk.
Molteplici i motivi di questa crescita esponenziale. Innanzitutto,
gli investimenti sulle Borse e sui bond dei Paesi arabi sono stati
incentivati negli ultimi anni dal caro-petrolio. Poi hanno giovato
le performance aziendali ed economiche: in Kuwait, per fare solo
un esempio, la maggior parte delle società quotate ha annunciato
utili semestrali in crescita di oltre il 50 per cento rispetto alla
prima metà dellanno precedente. In alcuni Paesi, come
lEgitto, ha giovato la maggiore liberalizzazione economica,
che ha incentivato anche i piccoli risparmiatori. Ma, soprattutto,
a trainare i listini e i bond è la grande liquidità
presente sul mercato.
Arabo, educato allestero, master in business negli Stati Uniti
o in Europa, quarantanni: questo, il profilo del nuovo protagonista
della scena finanziaria mondiale, ormai del tutto diverso dallo
stagionato uomo daffari della prima epoca petrolifera. I petrodollari,
che questanno potrebbero fornire ai Paesi dellOpec guadagni
non troppo lontani dal record di 567 miliardi (in valori odierni)
realizzati nellanno da primato, 1980, sono sempre il motore
portante. Ma uomini, strategie e raggio dazione sono ben differenti.
Mentre lo sceicco Ahmed Zaki Yamani, uscito dalla Harvard Law School
nel 56, ministro del petrolio saudita dal 62 all86
e per un quarto di secolo leader dellOpec, era un precursore,
tanti piccoli Yamani sono ormai cresciuti.
LOpec è oggi altrettanto importante dellAsia,
dicono alla Morgan Stanley, prevedendo che se il surplus delle partite
correnti dei Paesi asiatici Giappone e Cina in testa
sarà questanno di circa 362 miliardi di dollari, quello
dei Paesi Opec, di cui larea del Golfo/Nord-Africa rappresenta
il nerbo, dovrebbe essere, secondo il Fondo monetario internazionale,
di 337 miliardi di dollari. I banchieri e i finanzieri si stanno
muovendo con unaudacia e un raggio dazione un tempo
sconosciuti. La regione del Vicino Oriente sta vivendo una crescita
eccezionale, ha dichiarato Assem O Kabesh, stratega della Dubai
International Financial Centre Authority. Laccelerazione dei
prezzi del greggio ha coinciso, tra la fine del 2001 e il 2002,
con un disinvestimento dagli Stati Uniti, dove andavano prima del
settembre del 2001 anche 25 miliardi di dollari lanno, e dove
nel triennio 2001-2003 furono mandati per timore di ritorsioni solo
1,2 miliardi.

Crescevano molto per la prima volta gli investimenti nel mercato
domestico, che al momento assorbono non meno del 20-25 per cento
dei petrodollari incassati. Ormai la strategia è a 360 gradi.
La Gulf Finance House bsc del Bahrain ha trattative per entrare
nel consorzio che costruirà il nuovo centro finanziario di
Singapore, Marina Bay. Numerosi gruppi arabi hanno partecipato alla
gara per Erdemir, secondo operatore mobile in Turchia, finita poi
al fondo Oyak (pensioni delle forze armate turche), e sono molto
presenti nel programma di privatizzazioni in tutto il mondo arabo,
interessato a un ponte con lUnione europea. In Malaysia sono
soprattutto le proprietà immobiliari e le aree ad interessare
gli arabi.
I Paesi del Golfo e la stessa Arabia Saudita, con più expertise
finanziaria, hanno fondi di stabilizzazione modellati sul Fondo
petrolifero norvegese creato nel 1990 e che ha investito circa 150
miliardi di euro. Finanziarie arabe aggressive, come lex First
Islamic Investment Bank, ora Arcapita, con sedi nel Bahrain, a Londra
e ad Atlanta, sono nate dalliniziativa di businessmen arabi
come Atif A. Abdulmalik e amministrano capitali del Golfo con investimenti
di molti miliardi di dollari (9 nel caso di Arcapita, che ha 1.600
soci arabi).
È un mondo in grande fermento, sostiene Mounzer A. Nasr,
responsabile degli investimenti europei per Arcapita, libanese di
nascita e americano per formazione: una volta esistevano pochissimi
esperti, in genere di alta estrazione, e poi uomini daffari
più sanguigni. Questi ci sono ancora. Ma è pronta
ormai una generazione manageriale di alto livello di tuttaltro
tipo, che parla la lingua del top management di tutto il mondo.
Ma ciò non basta continua a sostenere in tutte le
sedi possibili Lubna S. Olayan, a cinquantanni la numero uno
femminile in assoluto del mondo imprenditoriale del Golfo, figlia
del miliardario saudita Sulima S. Olayan e ora a capo degli investimenti
del Gruppo in Arabia e nel mondo . Politica e burocrazia sono
ancora molto inefficienti, e il business si deve impegnare di più,
le fa eco Onsi Sawiris, fondatore dellegiziana Orascom: per
molte posizioni-chiave abbiamo scelto manager egiziani educati allestero
o che hanno avuto lopportunità di imparare allestero;
ora dobbiamo fare da soli. Lavviso ai naviganti occidentali
è mandato.
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