Sono passati oltre ventanni e si sono succeduti
vari
ministri, ma più che diminuire,
il fenomeno
dellevasione
e del lavoro nero
è aumentato.
|
|
Che spavento. Era agosto. Vado di buon mattino al ministero del
Bilancio, in via XX Settembre, e vedo allo sportello bancario che
è nel cortile una fila di persone. Mi dicono che sono lì
per ritirare i depositi. Mi sentii gelare. LItalia era al
collasso? Ho subito chiamato Amato, che era il presidente del Consiglio.
Noi in Parlamento stavamo discutendo una manovra da 18 mila miliardi
di lire. Troppo poco per ribaltare le aspettative. La cifra dei
90 mila venne fuori così, di certo non fu frutto di unanalisi
econometrica.
Tredici anni dopo. Per fortuna siamo nelleuro, ma il Paese
soffre e non cresce perché sono mancate le riforme strutturali.
Nel 2005 il tasso di crescita del pianeta ha raggiunto il 4,3 per
cento, un livello sostenuto che fa emergere ancor più la
nostra debolezza. E la caratteristica che più colpisce è
che gli Stati Uniti riescono a finanziare il loro disavanzo esterno
di ben 700 miliardi di dollari, che è pari a sei punti di
Prodotto interno lordo. Unenormità che, secondo tutti
i manuali di economia, dovrebbe affossare il dollaro. Invece la
moneta americana in pochi mesi ha guadagnato oltre il 10 per cento
su quella comune europea.
Una risposta interessante a questo fatto lha data proprio
Ben Bernanke, il successore di Alan Greenspan, con la teoria del
saving glut. Ossia, nel mondo sussiste un eccesso di risparmio che
cresce ad un tasso maggiore di quello degli investimenti. E questo
surplus, che viene dai Paesi asiatici di nuova industrializzazione
e dai produttori di greggio, si indirizza soprattutto negli Stati
Uniti. Metà dei titoli del Tesoro americano sono già
nel portafoglio di stranieri. Invece, il nostro Continente, che
investe sempre meno ed esporta risparmio, dà chiari sintomi
di sclerosi in un mondo che sta rapidamente cambiando. In Cina ogni
anno sorge una nuova città come Torino. Sempre la Cina ha
un tasso di investimenti pari al 46 per cento del Prodotto interno
lordo e un tasso del risparmio pari al 50 per cento. I produttori
di greggio hanno surplus che lanno scorso hanno toccato i
500 miliardi di dollari. Le riserve di valute delle Banche centrali
sono raddoppiate negli ultimi sei anni, con una quota di quelle
asiatiche aumentata dal 50 al 75 per cento.
Gli Stati Uniti risparmiano sempre di meno, ma hanno una produttività
sostenuta, tanto che ogni cinque anni lavorano un anno di più
dellEuropa. Mi spiego: il disavanzo è virtuoso se serve
a finanziare gli investimenti, come nel caso isolato in Europa
della Spagna. LItalia ha un deficit esterno non perché
finanzia lo sviluppo, ma piuttosto i consumi. Negli ultimi dieci
anni la nostra crescita è stata mediamente dell1,3
per cento, secondo lultimo Outlook del Fondo monetario,
inferiore a quella europea. E a partire dal 96 anche la produttività
è crollata. Secondo unindagine della Banca dei Regolamenti
Internazionali, il prodotto per persona è cresciuto dello
0,5 per cento contro lo 0,9 per cento europeo; il prodotto per ora
lavorata, superiore a quello europeo fino al 95, è
salito dello 0,8 per cento rispetto all1,8 per cento dellEuropa;
il prodotto per unità di capitale si è ridotto dell1,4
per cento, contro solo lo 0,6 per cento dellEuropa. È
la fotografia di un declino inesorabile. Grave anche sul piano sociale,
perché la produttività determina il livello di reddito
e quindi il tenore di vita.
Non è stato tanto il volume degli investimenti la causa della
perdita della competitività. È un problema di qualità
degli investimenti che da noi è stata bassa. LItalia
impiega risorse come trentanni fa. LEconomist ha pubblicato
una tabella interessante, dal titolo The Great Jobs Switch,
il grande cambiamento nel mondo del lavoro. Ebbene, negli ultimi
trentanni in Italia loccupazione manifatturiera è
scesa solo dal 28 al 22 per cento. Gli Stati Uniti avevano il 25
per cento, oggi sono scesi al 10; il Regno Unito è passato
dal 35 al 14 per cento; la Francia dal 28 al 16 per cento; la Germania
dal 40 al 22 per cento. Noi abbiamo investito in settori labour
intensive con effetti moltiplicatori assai scarsi. Diversamente
dagli altri grandi Paesi industriali, non abbiamo accresciuto in
misura più che compensativa loccupazione nei servizi.

Dunque, dopo aver vissuto al suo traino, lItalia sembra essere
un po vittima del made in Italy. Di certo, le quattro A
di esso (abbigliamento-moda; arredo-casa; alimentare-bevande; automazione
meccanica) sono oggi i settori meno dinamici.
Per giunta, a differenza degli altri Paesi, non abbiamo una presenza
elevata di grandi imprese, che sono quelle che fanno più
innovazione. Il risultato è che anche sul fronte della quota
del commercio internazionale siamo passati negli ultimi quattro
anni dal 4 al 3,9 per cento (eravamo al 5 per cento negli anni Novanta).
Abbiamo fatto un po meglio della Francia e della Gran Bretagna,
ma peggio della Germania, che ha aumentato la sua quota dal 9,5
al 10,2 per cento.
Invertire il trend significa bloccare il declino. Ma come? Purtroppo,
sono state fatte riforme strutturali in misura insufficiente, lasciando
via libera alla crescita della spesa corrente, una scelta senza
senso nella nostra situazione di bilancio. Bisogna ristrutturare,
ma oggi mancano le risorse per ridurre il crescente disagio sociale
in un Paese che vede i ricchi diventare sempre più ricchi
e i poveri sempre più poveri.
Fra laltro, lelenco delle anomalie italiane è
lungo. Sul fronte delle pensioni, continuiamo a pagare due punti
di Prodotto interno lordo in più del resto dEuropa.
Nella sanità va bene il federalismo, ma dovrebbe essere responsabile.
Invece finora lo Stato ripiana a piè di lista i disavanzi
delle Regioni che sono in gran parte il segno dellinefficienza.
È mancata la riforma del catasto, per cui abbiamo una distribuzione
capricciosa delle rendite, che non hanno più nulla a che
fare con i redditi normali. Non si sono eliminate le lobbies corporative.
Siamo lunico Paese europeo che continua a finanziare un disavanzo
nei trasporti pubblici pari a quasi due punti di Prodotto interno
lordo. Restiamo sempre fanalino di coda nella ricerca e nellinnovazione:
lEuropa spende il 2 per cento; noi poco più dell1
per cento del Pil.
Qualcosa si è fatto: per esempio, è stata eliminata
la tassa sui brevetti. Ma è troppo poco. Se volessimo raggiungere
il livello europeo dovremmo spendere 12 miliardi di euro in più.
Da ministro delle Finanze sono stato io a introdurre la ricevuta
fiscale per combattere levasione e il lavoro nero. Sono passati
oltre ventanni e si sono succeduti vari ministri, ma più
che diminuire, il fenomeno è aumentato. Credo che sia un
male difficilmente estirpabile con qualsiasi forma di governo, di
destra o di sinistra. Sussiste una collusione di interessi a non
toccare lo statu quo. Credo anche di essere stato il primo ministro
a porre il problema dellevasione fiscale. Avevo coniato lo
slogan: se tutti pagano, le tasse possono diminuire. Ricordo che
un giorno mi ha chiamato Craxi e mi ha detto: Tu vuoi farci
perdere le elezioni .

Ora, non perché sia stato mio allievo, ma credo
che Tremonti sia una persona molto preparata in campo fiscale. È
stato lui stesso a denunciare linattendibilità delle
statistiche che dicono che in Italia vi è uno sparuto drappello
di redditi superiori a 200 mila euro lordi, mentre i possessori
di auto di grossa cilindrata sono tre o quattro volte di più
di quelli che denunciano quel livello di reddito. Ma al di là
dei giudizi personali, il primo governo con stabilità di
legislatura ha avuto tutto il tempo per rilanciare la macchina pubblica,
lunico modo per fare un salto di qualità per il Paese.
Purtroppo non lo ha fatto se non in minima parte. Tantè
che lItalia continua a reggersi su un equilibrio di squilibri.
Fino a quando? Questa è la grande incognita. Fino ad oggi
ho confidato che lEuropa ci avrebbe costretti a risanare.
Purtroppo però anche lEuropa comincia a sbandare, vanificando
le attese di reddito e di occupazione del Piano Delors.
|