Siamo di fronte
ad un bivio
antropologico:
restare piccoli, scollegati e senza voce oppure
lavorare per
ambizioni di
credibilità
internazionale.
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Leffetto ghiaccio non è ingrediente naturale di un
cocktail mediterraneo. Eppure è difficile uscire dal circolo
chiuso delle frontiere e degli interessi nazionali, dalla paralisi
di comunità fratte tra progressisti e promotori di diritti
civili, cultori di privilegi di casta e tutori di vessazioni oscurantiste.
Così cresce la letteratura degli insuccessi regionali e noi
continuiamo a farci male, restando sotto schiaffo di una politica
piatta come il marciapiede.
La definizione di nuovi assetti di legalità e di mercato,
liberati dalle trappole del potere e della memoria, costituisce
esigenza prioritaria in territori classificati between two worlds,
in mezzo a due mondi, quello occidentale e quello musulmano. In
assenza di mediatori autorevoli (le comparse hanno il fiato corto)
continuiamo a vivere sotto il dominio di poteri rancorosi che custodiscono
opportunità sospese mentre alimentano un fideismo roccioso
e determinato, contrapposto ad un lifestyle laico fondato su effimere
ritualità di massa. Con il corollario di scandali finanziari
reiterati, diritti civili negati, istituti e istituzioni screditati
da insufficienza di governance, nepotismi che propagano indulgenza
e torpore. Così non si trova nessuna via duscita, nessuno
sbocco politico e sociale allequivoco che imbavaglia le relazioni
tra teologie fondamentaliste e società del consumo, tra cattolicesimo
e protestantesimo compassionevoli e orgoglio dellIslam teocratico.

«Inclinata res publica», usava ripetere Cicerone osservando
il declino di Roma che si identificava con il declino del Mediterraneo.
Adesso sono in auge nuove squadre e nuovi gagliardetti, ma bisogna
di nuovo alzare la voce per far capire che il Mediterraneo val bene
una mossa. Gli anni carsici che stiamo vivendo non ci possono lasciare
indifferenti e muti, come i servi di Don Rodrigo.
Bisogna uscire dallimmobilismo che crea eroismo silenzioso
e malinconico e allentare il disagio e limpotenza di chi può
solo timidamente origliare dietro le porte del potere. È
preoccupante non vedere sul nostro orizzonte concreti segnali di
cambiamento, un disegno dinnovazione politico-culturale per
dare risposte alla destrutturazione della vecchia organizzazione
sociale e alle nuove inquietudini palpabili con un semplice shopping
aborigeno, oltre le coste cementate. Lo charme di superficie non
basta più. Creatività e distruttività sono
due facce della stessa esigenza di ordine, ma la lunga scia di luttuosi
antagonismi non fa intravedere un novello Archimede, con voglia
e determinazione di fare del Mediterraneo un nuovo punto di riferimento
culturale e civile.
È vero che sotto il pensiero debole cè il niente,
ma è altrettanto vero che nel pensiero forte cè
il rischio della cristallizzazione. Quando le acque sono molto agitate
è facile perdere il senso della legalità e aprire
spazi per distinguo sempre più labili tra discrezione e licenza,
accentuando confusione e convinzioni estreme che alimentano schizofrenia
identitaria e devastazione psicologica.
Sotto il cielo globalizzato della geo-economia dovrebbe essere più
facile comporre interessi e rendere praticabile un nuovo codice
delle pari opportunità. Invece in un clima permeato da risposte
mancate dalla politica, da un tasso elevato di conflittualità
sociale e da modelli economici in forte competizione ci troviamo
qui a perorare la causa di un Rinascimento del Mediterraneo, di
una collaborazione capitale/lavoro nella ricerca di una convergenza
di interessi tra comunità e mercati in sofferenza.
Non si può sempre derubricare il bisogno prodotto dallindifferenza
politica a brevetto per ticket di assistenza da far valere nelle
politiche interne e nelle istituzioni internazionali. Il risveglio
delle etnie produce valori nuovi di giustizia sociale, rendendo
più esplicite le contraddizioni Stato-Mercato e le questioni
dintegrazione interetnica. Il limite delle etichette sommarie,
della retorica dellintegrazione, delle procedure di cooperazione
con cliché anni Novanta può essere superato dando
forma e contenuto ad un polo euro-mediterraneo allinterno
dello schema multipolare che si va delineando (finora gli aiuti
economici dellUnione europea 20 miliardi di euro in
dieci anni non sono riusciti a creare alcun sintomo di trasformazione).
Cè un punto fermo da cui partire, il Trattato di Barcellona
95, di cui si è celebrato lo scorso novembre il decennale.
La cronaca racconta questo evento come una kermesse tutta occidentale,
prodiga di sorrisi e di buoni propositi, con i più interessati,
i leader arabi, che hanno disertato il vertice in massa. È
la cronaca di unulteriore sconfitta politica.
Tuttavia, se depuriamo il serbatoio degli interessi e delle aspettative
dei poteri rancorosi si vedrà che lUnione europea offre
nuovi spazi di cooperazione, interessanti soprattutto per Paesi
privi di segnali di mercato.

Tra le clausole del Trattato cè la data del 2010 entro
cui dovrebbe diventare operativa una zona di libero scambio
tra Comunità e Paesi rivieraschi. Dunque esiste un ordito
con cui intrecciare propositi di lavoro e attività istituzionali
con disegno unitario. Non cè una formula magica per
superare lattuale fase di stallo, ma lottimismo per
politici e tecnici è un dovere e in stato di necessità
un imperativo categorico. LEurope déclassée
di Blanchard e Wyplosz non può essere lultimo canto
del cigno, latto notarile del declino irreversibile di una
classe dirigente che subisce il fascino del sottosviluppo garantito.
Si può pensare allevento del 2010 come fatto di mero
interesse mercantile (per soddisfare gli appetiti della business
community) oppure come processo per la ricerca di nuove identità
collettive in società che hanno un grado elevato di atomizzazione.
In sintonia con le logiche mercantili è auspicabile labbandono
della filosofia del pauperismo moralista, la conferma della centralità
dellimpresa e del mercato in un modello federato di civiltà.
Tenendo conto che i mercati integrati costituiscono un pre-requisito
per il corretto funzionamento di unarea commerciale regionale
(si pensi allimportanza strategica di una seria cooperazione
nei settori del petrolio, del gas, dellenergia). Nei Sud-laboratorio
si devono ripensare processi e prodotti frutto di una logica di
progresso démodé. Unoperazione che richiede
un forte impegno istituzionale, alta concentrazione di capitali
e un nutrito manipolo di leadership aggreganti. Per depotenziare
quel venticello felliniano che produce cura amministrativa dellesistente
e tarpa le ali alle tendenze innovative. Un caso emblematico di
società senescenti.
Mancano le supermajor, le conglomerate multinazionali autoctone
(gli Stati Uniti restano il primo partner commerciale) che partecipino
alla divisione del nuovo potere economico e finanziario strutturato
per progetti geopolitici. La cronologia delle promesse annientate
ci racconta sempre ciò che si vorrebbe e non. Adesso ci sono
ragioni coincidenti di opportunità economica e strategia
politica che spingono verso la creazione di uno spazio delle
possibilità, traducibile in un progetto organico pensato
per posizionare il margine al centro. Non un vanishing point, ma
una realtà matura per dare impulsi al capitalismo di
relazione, con lintento di creare mercato in territori
in cui ancora il reddito pro-capite non lo consente (più
aumenta il reddito, più cresce la domanda di beni). Per sottrarre
larea mediterranea alla mappa dei Paesi vocianti e arruffoni,
ad alto tasso di litigiosità nazionale e regionale.
Bisogna fare il censimento delle vetustà politico-culturali
e rafforzare le volontà impegnate negli aggiustamenti strutturali.
Per istituzionalizzare processi di cambiamento che possano aprire
le porte a nuovi modelli di cointeressenza islamico-cristiana. Emancipati
da dispute di potere e di mercato sostenute da uninfiammata
religiosità cortigiana.
Accade spesso che limprenditoria stabilisca autolimitazioni
di prodotti, di mercati, di politiche che non consentono di vedere
opportunità di sviluppo manifestamente visibili. Per evitare
turbolenze prodotte da continuità identitaria si rende necessario
aprire cantieri per creare una nuova classe media. Dunque priorità
a centri di eccellenza impegnati nella formazione manageriale che
non si appiattiscano sul modello statunitense (il mitico Harvard),
ma siano capaci di immaginare leadership in sintonia con le esigenze
delle comunità indigene. Creare i cadetti della modernità
è fondamentale per progetti di politica economica che hanno
voglia di fare pulizia sotto i tappeti. Bisogna far circolare saperi,
informazioni e competenze, abbandonando quel capitalismo molecolare
che dà scarso peso al portafoglio scientifico e tecnologico.
Cè in gioco lacquisizione di merce strategica
per rimuovere lacqua dello stagno. Per garantire diritti di
cittadinanza effettiva alle banlieue regionali. Per affrontare in
modo meno traumatico il traghettamento verso la modernità
di società chiuse, tenute in legnaia e utilizzate da oligarchie
elitarie di governo come elemento di seduzione (e di pressione)
nella grande arena delle agevolazioni statali e nel grande circuito
della cooperazione e degli aiuti internazionali (percorsi pensati
per ragioni di giustizia sociale e degradati ad affari di routine
dei serbatoi politici).
Se si guarda con occhio disincantato ai percorsi della globalizzazione
si vedrà che il cono dombra dei confini statali viene
compensato dallesaltazione di altri confini aggreganti che
danno contenuto e potere allidentità di aree commerciali
ben caratterizzate per la loro sostanziale omogeneità (Estremo
Oriente, Usa, America Latina, Europa). I confini sono necessari
per creare la morfologia di un capitalismo mediterraneo che non
sia sottodimensionato o soggetto ad affaticamento da sovra-esposizione.
Siamo di fronte ad un bivio antropologico: restare piccoli, scollegati
e senza voce oppure lavorare per ambizioni di credibilità
internazionale. Surrogando la logica dei poteri inerti con le istanze
di sopravvivenza che obbligano a coniugare il globale con il locale.
Una dogana di vita o di morte separa la società affluente
dalla società ininfluente. E spinge allaggregazione
di sovranità frammentate, a nuovi assetti geopolitici, a
nuove regole internazionali di governo e di controllo.
Sono queste circostanze a chiedere più politica di movimento
e meno politica seduta, più politici di cucina e meno politici
dimmagine. Non serve a nessuno conservare loutlook di
Sud precari, ancora sensibili al fascino dei noir borghesi e alle
scorrerie dei raiders di periferia.
Saldamente ancorati alla cultura politica del debito sovrano e alle
regole corporative di sopravvivenza che assicurano una percezione
localistica del giusto e dellutile più palpabile e
familiare rispetto al catalogo delle virtù del libero mercato.
In questo modo il verosimile conta più del vero, col risultato
di tenere in piedi Stati e frange di Stati blindati nel passato.
Occorrono progetti per fare del Mediterraneo un mare aperto, secondo
standard internazionali di normalità finora disattesi.
Cercasi Ulisse con voglia di usare auto e cammello. Per visitare
territori e annotare domande e desideri, con la funzione-obiettivo
di smitizzare il fascino delleroe dark prodotto dalla cultura
dellindigenza. Dovrebbe adoperarsi per la creazione di un
Centro mediterraneo di gravità e dinfluenza
(con sede autonoma e spazio di sovranità) capace di produrre
attrazione inclusiva. Attivo nella dialettica globale della competizione
strategica e nella dialettica europea della competizione con il
capitalismo Nord-bancocentrico. Superando la logica sacrifici/benefici
dei Paesi guarnigione. Una svolta culturale e di stile assente nei
dialoghi dei salotti smart e nelle strategie mixate dal feticcio
del politicamente corretto. Laspettativa è per unonda
anomala di solidarietà interetnica che si sviluppi allinterno
di una road map mediterranea. Sollecitata dai problemi della concorrenza
più che dagli scrupoli della diplomazia. Sufficientemente
matura per mettere a dimora un seme.
La gente è stanca di stare in trincea, aspetta occasioni
per inserire sogni nuovi nella biografia collettiva. In attesa di
mutazione genetica uno spirito libero cita sottovoce un antico adagio
arabo: Se fai un passo verso Allah, Allah farà due
passi verso di te. Indotto in tentazione, si manifesta, ma
preoccupato si guarda attorno e vede solo la nebbia che avvolge
ogni uscita di sicurezza.
Un pasticcio indigesto che allarga i confini delle terre di nessuno
e fa impallidire i colori delle stagioni. Consegnando ancora la
vita del Mediterraneo alla crepuscolare monotonia del vissuto. Appaltata
a solitari azionisti della storia.
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