Rimanendo in un contesto europeo la produttività
del lavoro pone
le banche italiane allultimo posto della classifica continentale.
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Anche questanno chi si mettesse a scorrere le pagine del
Rapporto 2005 sul mercato del lavoro nellindustria finanziaria,
curato dallABI (Associazione Bancaria Italiana) e puntualmente
uscito negli ultimi giorni dello scorso anno, avrebbe sicuramente
limbarazzo della scelta sul dove fissare la propria attenzione.
Infatti, la ricca messe di dati di cui come sempre anche questa
tredicesima edizione del Rapporto si avvale, il contesto internazionale
in cui viene calata lanalisi del sistema bancario nazionale,
lattenzione alle tendenze generali e qualificanti delleconomia,
si traducono in altrettante possibili chiavi di lettura di un documento
che, mantenendo intatta la sua preziosità di repertorio,
svela pagina dopo pagina elementi di riflessione sempre nuovi e
stimolanti. Sarà, pertanto, giocoforza in questa ricognizione
operare alcune scelte senza con ciò voler sottendere un giudizio
di minore significatività per altre parti di questo documento,
frutto del lavoro di unéquipe di specialisti coordinata
da Giancarlo Durante e che si è avvalsa della consulenza
scientifica di Luigi Prosperetti.

Una prima considerazione di carattere generale è limportanza
dellinnovazione come fattore costantemente qualificante della
nostra era, in quanto permea di sé o comunque influenza tutti
gli aspetti fondamentali della società civile, dal normativo,
al sociale, alleconomico. Lesempio più vistoso
è la diffusione della cosiddetta tecnologia a banda larga
con implicazioni che trasferite nel mondo del credito si riflettono
sia sul piano del comportamento della clientela sia nella formulazione
delle strategie bancarie. Che linnovazione tecnologica chiami
in causa linnovazione strategica è ormai un dato di
fatto acquisito, così come risulta in uno scenario più
ampio da unaltra connotazione tipica delle banche europee:
il concentrarsi su quelle fasi della catena del valore ove godono
di vantaggi competitivi rilevanti. Anche in Italia «la crescita
della banda larga su rete fissa sta continuando ad un ritmo sensibile
e ad essa si deve aggiungere lo sviluppo della banda larga su rete
mobile UMTS» Il trasferimento delle attività transattive
dalle filiali alla rete (in altri termini, da canali fisici a canali
logici) non può essere liquidato semplicisticamente come
un fatto fine a se stesso, ma comporta delle conseguenze a tutto
campo che riguardano gli orari dei dipendenti e quelli degli sportelli,
il reclutamento e la formazione del personale, i sistemi retributivi,
e più in generale la distribuzione del ciclo di produzione
e di vendita dei prodotti bancari e finanziari tra strutture interne
e strutture esterne alla banca.
Tutto ciò determina, poi, una flessibilità nella richiesta
di prestazioni lavorative e anche una modificazione nellattitudine
del personale dipendente, «che non vede più necessariamente
nella banca un impiego per la vita ed è psicologicamente
preparato a vedere premiata la propria attività commerciale
con unincentivazione individuale, che ormai pesa sulle retribuzioni
dei dipendenti delle reti bancarie europee per una quota compresa
tra il 9% e il 18%»

E qui si incontra nel nostro percorso ricognitivo un secondo tassello
di riflessione dedicato alladeguatezza della normativa e dello
strumentario contrattualistico utilizzato nei diversi Paesi e, in
particolare, in Italia rispetto a uno scenario ridisegnato. Nel
nostro Paese si è partiti da una situazione di afferenza
al contratto collettivo nel settore del credito di ogni attività
lavorativa prestata nella catena del valore creditizio sancita da
unintesa del marzo 1990 e poi trasfusa nel contratto collettivo
del successivo novembre. Sicuramente la rigidità iniziale
di questa normativa è stata almeno in parte attenuata dalla
cosiddetta riforma Biagi, che ha modernizzato la parte
relativa ai fenomeni di outsourcing (nel caso di trasferimento di
azienda, di appalti e di somministrazione di lavoro). In questo
contesto una particolare menzione va poi riconosciuta al Fondo Esuberi,
uno strumento utilizzato «per la gestione delle eccedenze
di personale connesse a situazioni di riorganizzazione e ristrutturazione
aziendale». Uno strumento di sostegno al reddito di natura
privatistica con oneri di finanziamento a carico delle aziende e,
quindi, senza alcun aggravio per il bilancio pubblico. Per completezza
di quadro cè, però, da aggiungere che le banche
continuano ad essere gravate da una disciplina contributiva in tema
di assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria
che stando ai calcoli dellABI a fronte di versamenti
dellordine di 190 milioni di euro su base annua fornisce loro
un ritorno economico pressoché inesistente.
Gli appesantimenti del panorama italiano contrastano con la minore
rigidità applicativa riscontrabile in altri Paesi europei:
ad esempio, i dipendenti delle banche telefoniche sono coperti da
contratti diversi da quelli del credito in molte nazioni, tra cui
Spagna, Inghilterra e Olanda. La conseguenza a valle è che
i competitors stranieri godono di economie di non poco conto e ciò
«è certamente una delle determinanti dei differenziali
di costo e di produttività che svantaggiano le banche italiane»
Sempre in questottica non stupisce più di tanto che
il costo a livello europeo riferito a specifiche figure professionali
veda lItalia permanere in una situazione di svantaggio nei
confronti dei concorrenti di altri Paesi europei, sebbene la moderazione
salariale degli ultimi rinnovi contrattuali abbia agito riducendo
il gap con altri Paesi. Si prenda il caso del costo delladdetto
allo sportello, con il solo Belgio che si colloca ad un livello
superiore a quello dellItalia, mentre ben al di sotto si situano
i colleghi di Spagna, Francia, Germania, Gran Bretagna e Svizzera.
Allestremo opposto della scala gerarchica, nel caso dei dirigenti,
in virtù della moderazione salariale cui prima si accennava
il costo medio italiano risulta inferiore soltanto a quelli francese,
belga e svedese.
Rimanendo in un contesto europeo e avendo riguardo allaspetto
dimensionale dellattività (riferendosi, quindi, allormai
nota distinzione tra Global Banks, Superregional Banks e Regional
Banks), si scopre che la produttività del lavoro misurata
dal rapporto tra costo del personale e margine dintermediazione
pone le banche italiane allultimo posto della classifica continentale
con uno scarto di 7 punti percentuali rispetto alla media europea.
Se, poi, il raffronto si sposta su settori ancor più specifici,
le banche italiane mostrano, purtroppo, che la propria posizione
è costantemente annoverabile nella pattuglia di retroguardia
delle produttività e di avanguardia dei costi.
Esaurito lo sguardo su questo scenario, si può passare al
terzo tassello del nostro percorso ricognitivo, considerando i dati
più significativi che bene fotografano la recente dinamica
delle risorse umane nel sistema bancario italiano. I dati salienti
riferiscono di una contrazione del personale occupato di poco superiore
allo 0,5% in linea con la tendenza manifestatasi negli ultimi anni,
eccezion fatta per lanno 2000. Alla riduzione degli organici
si accompagna uno slittamento del personale verso qualifiche professionali
più elevate (ad esempio, nel caso dei quadri direttivi con
una crescita di circa 2 punti percentuali, in quello dei dirigenti
con un aumento dall1,9% al 2,1% rispetto al totale dei dipendenti).
Volendo scendere ad alcune ulteriori interessanti disaggregazioni,
si può notare come in tema di turnover si rivela un valore
di sostituzione negativo in tutte le regioni italiane escluse quelle
centrali che segnalano un valore positivo (1,1).
E ancora: sul piano dimensionale la riduzione degli organici risulta
interamente ascrivibile ai comportamenti adottati dalle banche di
maggiore dimensione; infatti, tanto per le imprese piccole come
per quelle minori il saldo assunti/cessati si rivela positivo. Ciò
potrebbe anche essere letto come la conseguenza di unimmissione
di forze fresche che, poi, nel corso del tempo trasmigrano pro quota
verso la parte dimensionale più alta del sistema bancario
italiano.
A completamento di questa foto possiamo aggiungere la conferma della
prevalenza del contratto a tempo determinato (anche se con una lieve
flessione) tra le diverse tipologie possibili, il miglioramento
del livello di scolarità con i laureati che ormai costituiscono
il 26% dei bancari, linvarianza delletà media
(42,2 anni) e la crescita della quota rosa, cioè
di donne presenti in servizio, quota giunta ormai in prossimità
del 39%.
Questultimo dato, che costituisce la conferma di una tendenza
costantemente verificata negli ultimi anni (si pensi che il dato
della popolazione maschile assommava nel 1997 a poco meno del 69%,
quindi circa 8 punti percentuali in più rispetto alle ultime
evidenze), lo si può desumere anche scorrendo le cifre del
turnover che, se calcolato su base nazionale complessiva, parla
di 9 assunti per ogni 10 cessati; mentre nel caso del personale
femminile i neoassunti salgono a 14 unità per ogni 10 cessati.
In definitiva, il 46% delle nuove assunzioni è ormai rappresentato
da persone di sesso femminile.
Ci fermiamo qui nella convinzione che i dati e i raffronti esaminati
siano sufficienti al lettore ad orientarsi in tema di risorse umane
nelle principali dinamiche tipiche delle banche italiane. Una riflessione
che permette di osservare il cammino sin qui percorso sulla difficile
strada di un recupero di redditività e produttività
dellazienda bancaria in Italia.
Ma anche uno stimolo a proseguire su questa via in cui siamo ancora
preceduti e quindi distanziati da alcuni competitors di maggior
successo a livello sistema, oltreché di singola impresa.
Occorrono sicuramente dosi crescenti di coraggio, lungimiranza strategica,
sagacia operativa e umiltà per centrare gli obiettivi necessari
a fare dellItalia non solo un punto di riferimento dellars
bancaria maturata nella tradizione dei secoli scorsi, ma anche lesempio
puntuale di un mercato moderno ed efficiente al servizio dello sviluppo
socio-economico del Paese.
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