Se vogliamo
scomodare parole nobili, parliamo pure di
federalismo.
Ma quello che si profila non lo è.
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«Uno Stato plurale, in cui ciascuna Regione gioca un ruolo
fondamentale nellequilibrio del Paese»: entusiasmo leghista
dopo lapprovazione della devolution? No. Semplicemente parole
di Zapatero in difesa del nuovo Statuto catalano, che attribuisce
alla nazione della Catalogna un grado di autonomia senza
precedenti.
Posizioni assolutamente rovesciate, dunque: in Italia, i conservatori
attuano la devolution, e i progressisti parlano di Costituzione
deformata; in Spagna, la maggioranza progressista (ma
qualcuno è perplesso) cede ai catalani, mentre è lopposizione
conservatrice a parlare di «rischio reale di frattura nazionale»
e a lamentare la violazione della Costituzione.
Domanda dobbligo: ma la devolution è di destra o di
sinistra? Probabilmente, in Italia come in Spagna, essa è
semplicemente il frutto di interessi contingenti e di squilibri
di potere: qui, il presidente del Consiglio ha saldato il conto
al leader della Lega; lì, Zapatero ha pagato il prezzo agli
indipendentisti catalani, che gli sono indispensabili per rimanere
in sella alla Camera dei Deputati. Sarebbe allora divertente un
dibattito sul federalismo tra popolari (italiani e spagnoli) da
un lato, e socialisti (italiani e spagnoli) dallaltro: i popolari
italiani, quanto meno quelli oggi al governo, dovrebbero schierarsi
con i socialisti spagnoli; e viceversa.
È il frutto di una politica sempre meno ancorata ai princìpi
e sempre più indifferente alle identità ideologiche
(che non sempre sono un male), ridottasi a un grigio pragmatismo
che sconfina spesso nel territorio del cinismo. Purtroppo, questa
angustia della politica, in Italia come in Spagna, si manifesta
ora su un tema essenziale non solo per la tradizionale identità
statuale dei due Paesi, il che sarebbe il meno; ma anche, se non
soprattutto, per le condizioni stesse del loro sviluppo e della
loro competitività.

Come infatti è stato più volte ricordato dagli osservatori,
il nesso tra istituzioni e sviluppo è strettissimo. Addirittura,
il sistema elettorale concorre a motivare gli eletti verso comportamenti
più o meno virtuosi, in modo particolare in materia di spesa
(e noi stiamo imboccando la strada peggiore). Le riforme istituzionali
andrebbero perciò maneggiate con molta cura: e non certo
in omaggio a una presunta sacralità delle Carte costituzionali
che, quanto più vogliono regolare tutto (lo Statuto catalano
ha ben 220 articoli), tanto più sono soggette agli insulti
del tempo.
Liberali e cattolici dovrebbero allora ricordare che federalismo
e sussidiarietà sono due loro conquiste. Quanto più
lesercizio del potere resta vicino a chi lo detiene
i cittadini tanto più questi decidono, controllano
e restano liberi. Il punto è che il modello nato qualche
mese fa da noi ha ben poco di autenticamente federale: a partire
dalla mancanza di qualunque seria prospettiva di federalismo fiscale,
senza il quale le autorità decentrate non hanno nessuna reale
autonomia (se non, in tempi ormai remoti e irripetibili, quella
di spendere a iosa).
LItalia ha bisogno di autonomia e di sussidiarietà:
se vogliamo scomodare parole nobili, parliamo pure di federalismo.
Ma quello che si profila non lo è. E non gioca a favore lesperienza
delle Regioni, la cui istituzione ha aggiunto, e non ridotto, imposte
e balzelli, tributi e burocrazie.
Come cittadini, avremo modo di approfondirne tutti gli aspetti.
Ma già ora sarebbe opportuno che il dibattito si ancorasse
un po meno agli interessi di brevissimo periodo, e un po
più alle esigenze di un grande Paese che ha bisogno di diventare
più libero, più efficiente e più competitivo.
Chi è contro questa devolution dica se il suo
no sia un sì allo Stato centralista,
ovvero se abbia in mente un tipo di Stato diverso, e quale. Chi
è favorevole, come pensi di governare un Paese bloccato da
meccanismi decisionali inceppati e da potenzialità di conflitto
permanenti.
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