Per ritornare
a crescere è
necessario elevare la dinamica della produttività, sia nellindustria
sia nei servizi.
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Il problema più assillante della nostra economia, e più
trascurato dalla politica economica di questi ultimi anni, rimane
quello della crescita, nonostante i segnali positivi che vengono
dalla congiuntura. Un problema sottovalutato dal governo, che lo
ha ricondotto dapprima allo shock dellattentato alle Torri
Gemelle, e in seguito alleuro e alla sleale concorrenza
cinese. Non aver colto le difficoltà di fondo della nostra
economia, il tendenziale appiattimento, già da tempo evidente,
del suo reddito potenziale, ha contribuito a un lassismo nel controllo
dei conti pubblici. Si è confidato in un loro miglioramento
con una ripresa sempre di là da venire. In questo modo si
è creato un secondo problema, quello del rientro del deficit,
che allo stato attuale richiede, per affrontarlo nel modo meno traumatico
possibile, un progetto per ritornare a crescere. Non
solo lanno prossimo, come quasi certamente avverrà,
ma anche dopo.
Soprattutto di questo progetto si dovrà occupare lintero
mondo politico italiano, con risposte ai problemi della nostra economia
più appropriate di quelle che ha saputo offrire fino a questo
momento. E siccome è ormai molto diffusa nella gente lopinione,
anzi la coscienza della necessità di metter mano ai nodi
che trattengono leconomia, non sembrano più sufficienti
né le ripetute manifestazioni di ottimismo, né i contrapposti
catastrofismi. Cioè: non si può più parlar
daltro. È necessario un progetto convincente,
che si misuri con quello avversario, al fine di contrastare concretamente
il regresso economico dellItalia.
I termini del problema che va affrontato dalle opposte forze politiche
peninsulari sono presto detti. Per ritornare a crescere è
necessario elevare la dinamica della produttività, sia nellindustria
sia nei servizi. È vero che la produttività dipende
da tante cose, troppe per programmi che hanno un eccessivo sapore
elettorale. Ma le scelte di fondo sono poche.

La prima riguarda la politica industriale. La perdita di competitività
delle nostre imprese sui mercati internazionali attiva reazioni
e meccanismi di selezione che spingono verso un aumento di produttività,
promuovendo la necessaria riorganizzazione e riqualificazione del
sistema produttivo. Gli effetti di questa spinta cominciamo a vederli
nel probabile arresto della fase discendente della nostra economia.
E nel crescente divario che si rileva tra le performance delle singole
imprese non solo tra settori più o meno favoriti dalla domanda
mondiale, ma anche allinterno degli stessi settori e degli
stessi distretti che qualificano il made in Italy. Anche nei distretti
infatti contano sempre più le singole strategie aziendali
rispetto a quello che è stato in passato il punto di forza,
le economie esterne che rendevano compatibile nanismo delle imprese
e competitività.
Si tratta allora di scegliere se la politica industriale debba assecondare
o meno questa selezione della concorrenza che impone cambiamenti
profondi nel modello distrettuale. A giudicare dalla legge finanziaria,
la maggioranza sembra orientata da un lato a una politica conservatrice
dei caratteri dei distretti, e, dallaltro, a contare molto,
e forse troppo, sul sostegno alla produttività della nostra
industria derivante da unaccelerazione del programma europeo
di Lisbona.
Cè tuttavia da chiedersi se la specificità del
problema industriale italiano non richieda, per un rapido recupero
della competitività, una politica decisamente mirata a sostenere
la riorganizzazione industriale, già in atto, imposta dai
mercati internazionali. Si tratterebbe allora di accompagnare questa
trasformazione sia con adeguati ammortizzatori sociali sia con una
riforma dellintero sistema di agevolazioni alle imprese volta
a renderlo anchesso selettivo e funzionale al rilancio della
competitività.
La seconda grande scelta riguarda il settore dei servizi che può
offrire, anche per il solo fatto di costituire più di due
terzi del Prodotto interno lordo, il maggior contributo alla crescita.
Qui non si tratta di accompagnare i benefici stimoli della concorrenza,
ma di introdurli nelle vaste aree ora protette. Questo è
un problema europeo, che spiega e chiarisce il grosso del divario
di crescita con gli Stati Uniti. A differenza di quello delle merci,
il mercato interno dei servizi funziona poco e garantisce posizioni
di rendita inique. La contestata Direttiva Bolkestein sui servizi
vuole accelerare la formazione di questo mercato, cosa che andrebbe
a beneficio dellintera economia europea.
Limpegno italiano sul piano delle politiche comunitarie a
sostenere questa Direttiva e a metter mano alle regolamentazioni
corporative delle tariffe e dei prezzi costituisce un fatto eccezionale
in un governo conservatore che finora non si è molto distinto
per il favore nei confronti della concorrenza. Reggerà alla
duplice prova del confronto europeo e dei programmi previsti per
lItalia? E gli oppositori vorranno difendere il lavoratore
che produce nei settori colpiti dallacuta concorrenza internazionale
e paga cari i servizi italiani oppure lidraulico e il professionista
che glieli forniscono senza dover competere con nessuno?
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