Sembra infoltirsi la schiera di chi alla minaccia
non oppone né silenzi né altre omertà,
né comprensioni né complicità: al Sud la connivenza
non paga più.
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Anche agli occhi dellosservatore meno attento, e persino
condizionato da antichi quanto banali pregiudizi, non può
sfuggire un dato che emerge nel clamore che ha avvolto in questi
ultimi tempi lennesima emergenza criminale nel Mezzogiorno.
È qualcosa che va molto oltre le richieste di merito seguite
allultimo omicidio eccellente (uso dellesercito, potenziamento
degli uffici giudiziari, varo di leggi speciali) e riguarda direttamente
la cosiddetta società civile. È la voce di una nuova
generazione di imprenditori del Sud, che chiama per nome le cose:
una schiera di uomini dazienda che non gira la testa dallaltra
parte quando sente parlare di mafia; che sa di non poter soltanto
chiedere (allo Stato, agli amministratori locali, allUnione
europea); che comprende che cè qualcosa che va fatta
adesso e in prima persona; che, insomma, ritiene non solo doveroso
ma anche utile schierarsi con determinazione sul tema.

È un dato per tanti aspetti rivoluzionario, che riguarda
chi fa impresa a Reggio Calabria come a Siracusa, a Lecce come a
Caserta. Questa schiera di trentenni, comè stato rilevato
attraverso testimonianze dirette, questi giovani esenti per anagrafe
e per cultura dal vizio della rassegnazione, sembrano non accettare
più al tavolo dello sviluppo il convitato di pietra che parla
in nome dei cartelli del crimine organizzato. Sanno che farne a
meno è la condizione preliminare per creare orizzonti di
libero mercato. Sanno anche che occorrono tempi non brevi per venirne
fuori. Ma lo sanno. E si sono impegnati a percorrere la strada giusta.
È il Sud giovane che va aiutato, e non più messo in
croce, come è spesso accaduto nel passato, anche recente.
Certo: la società meridionale è ancora lontana dallessere
una società aperta, in cui siano definiti i confini per una
vera e trasparente concorrenza. Troppo stretti sono gli spazi delliniziativa
privata rispetto alla mano pubblica; il passo delle liberalizzazioni
nei servizi va ancora a rilento; sempre frequenti sono le zone di
opacità nella Pubblica amministrazione. Allargare e chiarire
le maglie in cui può avere gioco liniziativa privata
non è compito facile. Diventa impossibile se prima non si
elimina chi, in questo gioco, ha tutto linteresse a che ciò
non avvenga, per trarne un vantaggio competitivo illecito e sleale.
È ancora presto per dire se i giovani imprenditori consapevoli
di tutto questo siano maggioranza nel Mezzogiorno. Ma sembra infoltirsi
la schiera di chi alla minaccia non oppone né silenzi né
altre omertà, né comprensioni né complicità.
Perché ha compreso, una volta per tutte, che al Sud il silenzio
e la connivenza non pagano più.
Osservazioni, queste, che sono preliminari allaltro discorso,
decisamente complementare. Che è questo. La politica economica
per e nel Mezzogiorno negli ultimi quindici anni è stata
drasticamente rivoluzionata: è stato meritoriamente abbandonato
lintervento straordinario; è stata cancellata, anche
su pressioni europee, la maggiore fiscalizzazione degli oneri sociali;
sono stati introdotti bonus occupazionali e interventi mirati sul
territorio (patti e contratti vari, ovviamente rivedibili o sostituibili).
Di fronte alla fine dellassistenzialismo cè stato
dapprima un prevedibile sbandamento, nel momento in cui il divario
tra il Prodotto interno lordo meridionale e quello del Centro e
del Nord era salito (del 5,2 per cento tra il 1992 e il 1996). Poi
cè stata una reazione dimprenditorialità
e di iniziative locali proficue, anche se non uniformi.

A proposito: si dovrebbe smettere di parlare del Sud come di unarea
compatta e omogenea. È noto da tempo che ci sono molti Sud.
Premesso questo: quella reazione ha cominciato a far erodere il
divario di Prodotto interno lordo con il resto del Paese. Ciò
si è verificato fino al 2003. Poteva essere linizio
del decollo economico e del famoso riscatto civile e sociale delle
regioni meridionali. Invece lo slancio, in realtà mai dirompente,
(i tassi di crescita sono rimasti sempre modesti rispetto alle necessità
e alle potenzialità), si è spento, e dal 2004 il divario
nel prodotto, che ancora non aveva recuperato il terreno perduto
nella prima metà degli anni Novanta, è tornato ad
ampliarsi.
È evidente, pertanto, che le cosiddette nuove politiche non
sono state allaltezza. Ed è ancora più evidente,
però, che di tutto le aree meridionali hanno bisogno, fuorché
del ritorno allantico armamentario assistenzialista. Occorre
invece uno Stato che assolva in modo ordinario (e sarebbe già
un avvenimento straordinario) al suo ruolo primario, nella sicurezza
e nelle infrastrutture innanzitutto. E intanto che si afferma la
normalità, per pareggiare gli handicap competitivi di quei
territori e per attirare nuove imprese, è bene introdurre
un fisco più leggero. Più che essere un vantaggio,
compenserebbe ritardi ed errori politici commessi con sospetta frequenza.
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