Gli italiani che
discendono da quegli antichi morti di fame
approdati sui lidi americani hanno cambiato pelle.
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È stato scritto che la tradizione di un Paese e di una cultura
sta in ciò che nel Paese di quella cultura si fa. Sta, però,
anche in ciò che ne viene elaborato e prodotto altrove; e
questo è estremamente importante, in modo particolare per
un Paese come lItalia, la cui identità è tanto
(e spesso a capriccio) discussa, e che invece anche nella storia
degli italiani fuori dItalia trova molteplici conferme.

Lopera di Francesco Durante, intitolata Italoamericana, (in
due volumi, pubblicati a distanza di qualche anno uno dallaltro),
parte dagli inizi, vale a dire dal momento in cui degli italiani
hanno scritto negli Stati Uniti qualche cosa di letterario degno
di nota, e incomincia con Filippo Mazzei: ben noto alle cronache
dellIlluminismo, Mazzei si recò in America, prese parte
alla rivoluzione, (addirittura ispirò in parte la Dichiarazione
di Indipendenza) e ne fu testimone e attento resocontista in Europa.
Lantologista ne riporta alcuni brani dalle Memorie, che rivelano
una vena felicissima di scrittore; ed è, questa, soltanto
la prima di moltissime altre simili scoperte, che messe
insieme finiscono per formare un mosaico ampio, articolato, e per
molti aspetti originale.
La raccolta prosegue con quelli che, andati negli Stati Uniti dAmerica
negli anni del nostro Risorgimento, vi scoprirono realtà
inconsuete al Vecchio Mondo, e ne trassero materia per pagine di
cui ora è disponibile unampia scelta. E i nomi sono
frequentemente di primordine anche nella prospettiva italiana
(citiamo, fra gli altri, quelli di Barsotti, Gallenga, Maroncelli),
o addirittura europea (basti il grande librettista di Mozart, Lorenzo
da Ponte: che in realtà si chiamava Emanuele Conegliano,
nome ebraico della famiglia).
Cè chi ritiene discutibile il fatto che lantologista
ritenga questi degli scrittori italo-americani, con
trattino o, come usa Durante, senza trattino. Perché sarebbe
da ritenerli piuttosto, e a pieno titolo, per lo più, italiani
in America, dei quali rimangono caratterizzanti i legami con la
madrepatria. Oppure sono ritenuti spiriti avventurosi, al modo di
quel Leonetto Cipriani, un bonapartista che partecipò alla
spedizione francese in terra algerina nel 1830, rapì unodalisca
dallharem del Bey, e in terra americana tentò di tutto,
dalle speculazioni edilizie nel territorio di New York allavventura
nel Far West. Oppure come quel Di Rudio, il quale, dopo aver attentato
alla vita dellimperatore francese Napoleone III, insieme con
lo sfortunato Felice Orsini, (a Parigi, nel 1858), si rifugiò
negli Stati Uniti, si arruolò e combatté con Custer
a Little Big Horn nel 1876. Oppure come quel Charlie Angelo Siringo,
più pistolero che patriota, ma autore di A Texas Boy (1885),
uno dei primissimi best-seller della letteratura sul Far West, visto
che ebbe diverse edizioni e diffusione sullintero territorio
americano, vendendo ben un milione di copie.
Sembra fuor di dubbio che sia stata la grande immigrazione, quella
che contribuì alla nascita delle varie Little Italies negli
States, a disegnarci con maggior chiarezza la dimensione più
propria e più coinvolgente, e ad aver generato e nutrito
gli scrittori davvero italoamericani (e italo-americani) di cui
ci stiamo occupando. È proprio qui, infatti, che le scoperte
si infittiscono e risaltano con maggiore evidenza. Così è
per quel Bernardino Ciambelli, autore di voluminosi romanzi di appendice
o a fascicoli, scritti in italiano (come I misteri di Mulberry Street),
non eccessivamente rispettosi della grammatica e poco disciplinati
per lo stile, ma ricchi di descrizioni e di cose interessanti, al
punto che è stato ritenuto una sorta di via di mezzo tra
Eugène Sue e Francesco Mastriani, anche se molto meno letterato
delluno e dellaltro.

Così è per quel Carlo Tresca, che per il suo anarchismo
venne assassinato e che John Dos Passos ritenne perfettamente ispirato
ai valori americani: autore di scritti e di pezzi per
la maggior parte dei casi giornalistici, ma anche di drammi fieramente
antifascisti. Così è per diversi poeti, che offrono
una viva idea di ciò che a certi livelli è una poesia
italiana: come Antonio Calitri, autore di Canti del Nord-America
(edito nel 1925), onorati di una prefazione di Prezzolini; o come
Arturo Giovannitti, di cui The Walker (del 1912) venne giudicato
da Kreymborg superiore alla Ballata dal carcere di Reading, di Wilde.
Ed è proprio grazie a questi autori che si capisce molto
meglio la fioritura (tardiva, ma significativa) di un John Fante
(il cui Chiedi alla polvere era giudicato da Charles Bukowski come
sua personale palestra letteraria), e amplissima, ma meno meritata,
di Mario Puzo, e in genere di tutti gli autori (molto minori) che
hanno sfruttato il filone nero, quello della criminalità
organizzata (non soltanto italiana), per i loro scritti dappendice,
in non pochi casi sfruttati da Hollywood.
Dobbiamo intenderci. Le scoperte che le nuove esplorazioni hanno
effettuato in questi ultimissimi anni non possono proporre alcun
grande capolavoro ignorato o emarginato. E tuttavia esse dicono
che il quasi deserto delle scritture italoamericane canonizzato
nei giudizi decisamente negativi di un Prezzolini o di un Emilio
Cecchi è, al contrario, un paesaggio molto animato, molto
variegato, con scorci e prospettive di notevole interesse sia dal
côté americano sia da quello italiano. E ciò
tanto più, quanto quella che queste pagine di scrittori italiani
al di là dellAtlantico non è solo ed esclusivamente
una questione letteraria. Non include solo un giudizio estetico
o contenutistico. Non si ferma allanalisi formale dei versi.
È anche, e forse soprattutto, la storia dellemigrazione
italiana nel suo faticoso inserimento, delle sue lotte politiche
e sociali sia americane che italiane (vivacissima quella tra fascisti
e antifascisti), della sua parabola culturale (dalliniziale
provincialismo e subalternità, fino ai recentissimi apocalittici
e integrati), di qualche suo eccidio (a New Orleans nel 1891,
a Tallulah nel 1899, prima che diventasse tanto celebre la criminalità
dei padrini). In altre parole, si rivela in tutta la sua ampiezza
e in tutte le sue articolazioni la vita civile, in una vicenda italoamericana
quanto americana e italiana.

Per tutto questo, la raccolta antologica è davvero meritoria,
e offre lattrattiva di tantissime pagine di scritture povere,
ma molto frequentemente schiette e vive nel loro nascere al di fuori
di contesti letterari precisi, obbligati, organici. E la lettura
complessiva dimostra anche come non sia affatto vero che di tutto
questo pulviscolo di scritture nulla o pochissimo sia destinato
a rimanere, a sopravvivere. Perfino quando si leggono alcuni versi
del pugliese (di Castellaneta) e poi hollywoodiano Rodolfo Valentino
e si insinua il dubbio (a ragione, però, respinto) che a
scriverli sia stato qualche suo originale e creativo press
agent, a scopo pubblicitario.
Ad una ricognizione critica più attenta, si scopre senza
ombra di dubbio che il più matto di tutti fu Bernardino Ciambelli,
che era capace di scrivere nel breve giro di una sola notte un drammone
di cinque atti. Come era fatto Ciambelli lo rivelano subito i titoli
delle sue opere: I misteri di Mulberry Street, già citato,
e poi Amore, lussuria e morte ovvero il processo di Antonio Bianco,
La Bella Biellese ovvero il mistero di Columbus Avenue... Nato a
Lucca nel 1862 e morto a New York nel 1931, Ciambelli fu romanziere
specializzato in feuilleton, commediografo e anche giornalista,
anzi fu il reporter per antonomasia di Little Italy e, tra le altre
cose, teneva una rubrica sul Progresso italo-americano che raccontava
tutto quello che accadeva nella colonia italo-americana, e dove
ogni notizia era introdotta da un simbolo grafico: il simbolo del
cervo segnalava, per esempio, le storie di corna.
Francesco Durante, come ha osservato DOrrico, ha dedicato
anni ed energie a ricostruire la grande avventura dellemigrazione
italiana in America sotto il profilo letterario. Dopo avere scoperto,
tradotto e pubblicato in Italia John Fante, egli si chiese che cosa
ci fosse alle spalle di quel ragguardevole scrittore (e anche alle
spalle di Mario Puzo, di Guy Talese, e di tanti altri). «È
stata una follia (cose da medaglia doro), alla fine della
quale Durante ha dissotterrato un mondo intero, fatto di giornali
(tantissimi, non solo il Progresso, e vitalissimi, polemicissimi),
di cronisti, di commediografi, di poeti, di giallisti, di leader
politici, di gangster».
A proposito di questi ultimi, brilla la stella di Scarface, vale
a dire Al Capone, che rilascia interviste con lufficialità
di un capo di Stato: «Domani me ne vado a St. Petersburg,
Florida. Che i ricchi di Chicago si procurino come meglio possono
i loro alcolici. Io sono stufo di questo lavoro: nessuno che ti
ringrazi. Me ne vengono soltanto un sacco di pene... Laltro
giorno è venuto qui un tizio e ha detto che gli dovevo dare
tremila dollari. Se glieli davo, ha detto, avrebbe fatto di me il
beneficiario di una polizza dassicurazione da quindicimila
dollari, lavrebbe stipulata e poi si sarebbe ammazzato. Ho
dovuto farlo buttar fuori. Oggi mi è arrivata una lettera
da una donna in Inghilterra. Perfino laggiù ho fama da gorilla.
Quella si è offerta di pagarmi un passaggio per Londra se
le uccidevo certi vicini con i quali ha litigato...».
Ma qui non si tratta di fare colore locale, la storia delle Little
Italies è una storia sofferta e ancora in grandissima parte
da capire. Quello che è certo è che ci furono scrittori
capaci di raccontarla, capaci di riflettere sulle differenze culturali
tra Vecchio e Nuovo Mondo.
Scavo esaurito? Tuttaltro, è dato credere. Ci devono
essere filoni che ancora non è stato possibile esplorare,
e altri che non sono entrati nel circuito della conoscenza perché
ritenuti minori, ma che insieme formano una storia di mille storie,
un fiume di mille rivoli che una volta o laltra dovrà
pur rivelare i suoi camminamenti carsici e risalire in superficie.
È la brutta storia degli italiani emigrati in America: non
solo quella gangsteristica, che narrativa e cinema hanno rappresentato
(sia pure con approssimazione storica) ampiamente, ma anche quella
delle tragedie di cui furono vittime i nostri emigrati. E ci si
riferisce alle sciagure minerarie che cancellarono tanti italiani,
scomparsi nelle viscere della terra; ma soprattutto alle persecuzioni
razziali, che per un lungo periodo videro gli italiani in cima allelenco
delle tribù selvagge sbarcate dallEuropa
in suolo americano. Non per nulla il sogno di chi svolge ricerche
in questo campo, e in quello letterario e scientifico, è
quello della creazione di un istituto, di un centro, insomma di
un grande museo o archivio dellemigrazione, capace di far
vivere per sempre quellepopea che resta il più rilevante
fatto di tutta la nostra storia, dai giorni del Risorgimento agli
anni Cinquanta del secolo scorso. Chi ha visitato, col cuore stretto,
il museo di Ellis Island, angusta porta dingresso dei nostri
(e di altri) emigrati per New York, può immaginare che cosa
potrebbe essere il corrispettivo italiano.
Cè, in Italia, qualche traccia (ma si tratta di testimonianze
sparse e quasi disperse) che riguarda lemigrazione. Si tratta,
in genere, di piccole raccolte epistolari, limitate tuttavia a corrispondenti
partiti da paesi e villaggi (del Piemonte, della Lombardia, del
Triveneto, inizialmente; poi di tutto il Sud, isole comprese), con
le cerimonie degli addii, per la certezza di non tornare mai più
nei luoghi dorigine. Ed è materiale di grande interesse
storico, oltre che antropologico, mai organicamente raccolto, anche
perché edito in tirature limitate e in circostanze disparate.
Infine, ci sono le «lettere mai scritte», e dunque mai
pervenute. Si sa che le regioni più povere erano percorse
da personaggi che offrivano viaggi a basso costo per le Americhe,
dove si sarebbe fatta subito fortuna, perché il Nuovo Mondo
aveva ricchezze illimitate e offriva grandi possibilità di
lavoro. Partivano, gli esuli volontari della fame, espulsi dai campi,
dalle botteghe artigiane che non garantivano più neanche
la sopravvivenza, dalla disoccupazione endemica. E di tanti di costoro
non si sapeva più nulla. Viaggiavano su bare galleggianti,
che a volte colavano a picco alla prima tempesta, portando in fondo
al mare centinaia di vite, spegnendo non solo le speranze di chi
emigrava, ma persino la loro identità, e i segni della loro
esistenza. Di queste vittime non si sapeva più nulla. Chi
era rimasto in Italia pensava che il marito, il padre, il fratello
emigrato fosse stato colpito da improvvisa amnesia, da un oblio
che cancellava i vecchi ricordi, e i nomi dei familiari, dei parenti,
degli amici, dei paesi... Ma non vedove bianche, erano le spose
ignare del destino dei mariti, bensì vedove a lutto vero,
e orfani reali, anche se inconsapevoli: mai una lettera pervenuta,
mai una cartolina, una foto... LAmerica maledetta smemorava,
rapiva, svaporava vite, scioglieva vincoli, annullava amori, disconosceva
doveri. LAmerica, quella cercata e mai raggiunta, rimasta
profilo di sogno in un orizzonte mai valicato.
Con Mario Puzo e con la saga del suo Good Father che adombrava fin
troppo palesemente le vicende vissute dai personaggi che facevano
parte del cartello del crimine della famiglia Gambino, una delle
cinque grandi famiglie mafiose di New York, (le altre
erano quelle dei Lucchese, dei Genovese, dei Colombo e dei Bonanno),
la narrativa italoamericana divenne tout court americana, cioè
sintegrò con quel tipo di letteratura che era destinata
quasi preventivamente a trasformarsi in materia prima del cinema.
Già allepoca di Puzo, comunque, si era svegliato linteresse
per gli autori sopraggiunti dalla Penisola, alcuni dei quali avevano
scritto pagine drammatiche sul passaggio attraverso
la cruna dellisola che fronteggiava New York: là dove,
prima dogni altra cosa, si era sottoposti ad una visita medica
selezionatrice (niente malati cronici, niente portatori di malattie
infettive, niente storpi, niente omosessuali...). Sicché
poteva accadere che alcune famiglie venissero irrimediabilmente
divise, con i non abili costretti a restare nellisola,
fino a quando potevano reimbarcarsi per lItalia.
Ellis Island, dunque, divenne alla fine per gli Stati Uniti una
sorta di terra del rimorso, al punto che in anni recenti,
cessata la pratica di scarto degli esseri umani difettosi,
è stata trasformata in un unico, gigantesco museo dellimmigrazione,
con documenti autografi di tanti esseri umani lì giunti e
da lì respinti, con una sorta di crestomazia della disperazione
che non ha uguali al mondo.
Anche per questo si può dire che buona parte della storia
dei nostri immigrati, e degli scrittori che si rivelarono in terra
americana, è ancora in attesa di più articolate, profonde
esplorazioni. Perché è vero che (insieme con quella
irlandese ed ebrea) è stata la mafia italiana a scrivere
pagine terribili oltre Atlantico; ma è anche vero che (la
storia di Sacco e Vanzetti insegna) lAmerica esercitò
sui nostri connazionali tutta la ferocia di cui poteva essere capace
il mondo wasp, giungendo a dare in alcune aree, soprattutto dellOvest,
la caccia agli italiani, ritenuti carne da forca per pregiudizio
e per sommaria definizione.
Oggi, le Little Italies sono in fase di dissolvimento, divorate
dalle Chinatown che erano contigue e che non hanno mai smesso di
espandersi; così come i discendenti di quegli immigrati,
mafiosi e persone per bene, fuorilegge e onesti lavoratori, perfettamente
integrati nella società americana, non formano più
cartelli, non trafficano più in stupefacenti o in armi, non
sono più una piaga della società statunitense. Per
costoro si sono spalancate le porte della politica, della ricerca
scientifica privata, delle università, del management, delle
grandi banche, delle istituzioni internazionali attive in terra
statunitense. Gli italiani che discendono da quegli antichi morti
di fame approdati sui lidi americani dopo uno o due mesi di avventurosa
navigazione hanno completamente cambiato pelle. Sono ormai tra i
protagonisti dello sviluppo della società. LAmerica
non è più amara. Non è più un miraggio.
È la porta della casa accanto.
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