Sulla scorta
dei ricordi che
investono la figura dellamico, Lala ridisegna un grosso segmento
della vita
cittadina, ne
risuscita profili umani, ne risente usi, umori
e impressioni, quasi di una Lecce del buon tempo antico.
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Lamicizia tra Francesco Lala e Vittorio Bodini, rafforzata
anche dai comuni interessi letterari, risale ai tempi della giovinezza,
allepoca della Vedetta Mediterranea (1941-1943),
e tale che neppure la divergenza ideologico-politica, dovuta a nefaste
circostanze, riuscì ad incrinare. Perciò, quando in
unedizioncina milanese fu pubblicata La luna dei Borboni (La
Meridiana, 1952), Bodini ne fece dono a Lala, a Luciano De Rosa,
a Giacinto Spagnoletti, che furono i primi a scriverne.
La recensione di Lala uscì su LItalia che scrive
(1 gennaio 1953), cui si son poi succeduti altri interventi, ben
cinque, in varie sedi, cosicché, a metterli tutti insieme
e darli alle stampe in un volumetto, costituirebbero una non irrilevante
monografia, nel novero dei numerosi altri studi venuti dopo. Diamone
lelenco: Testi di Bodini dalla formazione a Metamor,
1914-1979 (Arti grafiche, Lecce 1982, pp. 3-17); Bodini tra biografia
e memoria, 1914-1944 (in Sudpuglia, n. 4, dicembre 1986,
pp. 161-168); Gli anni ruggenti di Bodini (in Sallentum,
gennaio-dicembre 1986, pp. 181-193); Bodini tra giovinezza e maturità,
1950-1962 (in Studi Salentini, fasc. LXIII-LXIV, 1986-1987,
pp. 159-164); Testimonianze e figure della letteratura salentina
(Conversazione tenuta nellestate 1993, nellAssociazione
Lecce Nostra; relative a Bodini, pp. 52-60).
È fin troppo risaputo che i testi più significativi
di un autore, siano essi poetici siano essi narrativi, al cui valore
è poi affidata la sua fama nel tempo, non nascono ex abrupto,
per un lampo dimprovvisa genialità, ma affondano le
radici nel processo di una formazione più o meno lento o
tumultuoso, che a sua volta è venuto alimentandosi di umori
diversi, di linfe di varia provenienza, di esperienze le più
difformi e imprevedibili. Concorre anche lumanità dello
scrittore con i suoi percorsi esistenziali, con lideologia
che subisce o reagisce alla logica degli eventi, con gli ineluttabili
condizionamenti della memoria. Per una valutazione della poesia
di Bodini, da La luna dei Borboni a Dopo la luna, a Metamor, Francesco
Lala si propone di fare luce sullunderground intricato, contraddittorio,
complesso della figura di Vittorio, risalendo alla preistoria
artistica e intellettuale.

Era da sempre nota lirrequietezza picaresca di Bodini, e
non solo nella cerchia degli amici e sodali. Le sue periodiche apparizioni
nella città che lo aveva visto crescere allombra protettiva
del nonno Pietro Marti, in seguito alla prematura morte del padre,
costituivano un avvenimento per i leccesi; anche perché,
come accade, limmagine delluomo stravagante non dispiaceva
allaccigliata austerità del poeta. La preistoria coincide
scrive Lala nel saggio del 1982 (Testi di Bodini dalla
formazione a Metamor) con la davvero breve infatuazione
futurista, che percorre lanno 1932 e i primi mesi del 1933.
Bodini (nato nel 1914) varcava la soglia delladolescenza e
irrompeva, pugnace più che mai, nella stagione della giovinezza,
quando «era tutto sole il suo pensiero» (per usare la
bella metafora carducciana). Lala, con puntuali riscontri testuali,
non ravvisa di apprezzabile, nellesperienza cursoria del marinettismo,
altro che «una più pregnante virulenza fantastico-lirica».
E questa, sì, è più costitutiva, innata, in
Bodini che realmente ascrivibile al verbo futurista, la cui adesione,
tenendo presente la triste fanciullezza delluomo, assume più
una valenza ideologica che in toto letteraria: essa è in
funzione inconscia di strumentale polemica, non tanto contro fatui
ideali di passatismo, quanto contro stratificate convenzioni sociali,
ipocrisie stucchevoli, secolarmente perpetrate ai margini della
monumentalità barocca («Un frenetico gioco / dellanima
che ha paura / del tempo, / moltiplica figure, / si difende / da
un cielo troppo chiaro [...] / e come per scommessa / un carnevale
di pietra / simula in mille guise linfinito» - Lecce
in Dopo la luna). Da sottolineare la strumentalità polemica
alla luce delle radicali posizioni di dissenso rispetto alla tradizione
letteraria per una poesia nuova, di presenza e non più
di assenza, sul terreno che gli è più
proprio, ma non meno alla luce dei suoi atteggiamenti politici sul
terreno dellintellettuale impegnato: basta ricordare gli Appunti
di un volontario mancato, in quattro puntate su Libera Voce,
dal 20 dicembre 1943 al 18 gennaio 1944. E poi, è da escludere
che Bodini, già autore di scritti rivelatori di acuto senso
critico, non si rendesse conto che il futurismo quale indirizzo
poetico era morto e sepolto. Tantè che, prosegue Lala,
Nel gruppetto di sette liriche tra il 9 ottobre del 32 e il
26 febbraio del successivo, il modello non è più larte
di Marinetti, ma piuttosto talune esperienze metriche di verso libero
tra DAnnunzio delle Stirpi canore e Vittorio Locchi della
Sagra di Santa Gorizia, ma più ancora, quanto ai contenuti,
talune brevi visioni di Corrado Govoni [...], di Aldo Palazzeschi
[...], di Paolo Buzzi [...], e comunque di chi al futurismo ha aderito
senza molta convinzione o con qualche reminiscenza crepuscolare.
Ma vivo è anche il segno di Giuseppe Ungaretti, di cui, proprio
nel 1932, si pubblica Lallegria.
Per il quale ultimo, trascriviamo, con Lala, i versicoli di Cammino:
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Il mio sogno
dolcemente
conduco
per mano,
lontano;
come da una lucente
vetrina
una bambina grama.
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Resta però un dato inconfutabile: il sicuro possesso degli
strumenti espressivi, di natura linguistica, figurativa e metrica,
acquisito dal Bodini del 32 e 33.
Altro nucleo critico del discorso di Lala consiste nel ridimensionamento
del grado dincidenza dellermetismo fiorentino nella
poetica di La luna dei Borboni, tanto esigua da offrire speciosi
argomenti a Oreste Macrì di un presunto tradimento
di Bodini, non a caso abbinato a Salvatore Quasimodo. Ridiamo la
parola a Lala:
Uscita da una esperienza di intenso e talvolta alto esercizio, la
lirica italiana era giunta alla guerra con il segno dellimpoverimento.
Dalle validissime esperienze di Ungaretti, di Saba, di Montale si
arriva al rabesco raffinato del primo Luzi, al pallore
esanime di Parronchi, allesercizio di Bigongiari. Per destinata
simmetria, a un mattino chiaro pareva succedere uno scialbo tramonto.
La seconda triade diveniva esemplare duna stagione morta,
con leccezione irripetibile di Cesare Pavese e del suo Lavorare
stanca [...]. Le poesie della Luna dei Borboni, dal 39 al
41 [...] e dal 50 al 51, nascono dunque da un
clima fitto di echi di poesia.
Nei tre momenti diversi, qui segnalati da Lala (Vecchi versi,
1; Vecchi versi, 2 e Foglie di tabacco,
La luna dei Borboni), Vittorio Bodini risale ad accenti
in cui vibra «un gusto del surreale strettamente legato a
un senso umano delle cose»; gusto che ci riporta «a
un clima nuovo, dai tocchi lorchiani, tanto vivi nel poeta salentino,
come attesta lamore che lo lega come traduttore allo Spagnolo».
Ma lidolo polemico resta chi ha mosso laccusa di tradimento,
chi ha scambiato la formazione fiorentina, che ha lasciato
in Bodini «questo sì lamore per la ricerca
espressivo-lessicale, con qualcosa di essenziale o di ineliminabile».
Ciò perché prosegue Lala i versi di
Vittorio sono certo una summa di esperienze [...], ma da esse balza
vivo un continuum, almeno nelle sue cose più durevoli, che
nel Sud e nellEuropa ha i suoi nuclei dispirazione:
«Il Sud ci fu padre e nostra madre lEuropa».
Su questo continuum dello svolgimento identitario della personalità
artistica e intellettuale di Bodini, il punto di forza si rinviene
nella clamorosa Risposta a Macrì (in LEsperienza
poetica, numero 3-4, luglio-dicembre 1954), della quale Lala
riporta alcuni passaggi tra i più argomentativi e asseverativi:
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Non è certo la prima volta che questo critico
dal cui acuto intelletto avremmo avuto il diritto di aspettarci
ben altro che confusione, scambia per verità la comodità
dialettica, deplorevolmente sordo per costume a ogni contraddizione
e pronto ad arrampicarsi velocemente su tutte le tangenti che
sia dato di escogitare per allontanarsi dal semplice centro
umano dei sentimenti, |
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che Bodini invece rivendica come proprio della sua generazione,
che ha dato anche Penna, Sinisgalli e Sereni. Labbaglio di
Macrì (in Letteratura, n. 8-9, 1954), il critico
della fenomenologia metafisica, rovesciava i reali termini del provincialismo,
che non era quello che si anniderebbe nel programma di LEsperienza
poetica, bensì «quello della nuova arcadia, dellantro
pastorale fiorentino», come lo battezzava Quasimodo. Nel brano
che segue, Bodini allude a sue esperienze anteriori «di paesi
e mestieri», che rendevano dunque marginale oltre che tardiva
la sua adesione allermetismo, spoglia secca per lui: «Spettava
alle voci più mature e autorevoli denunziare il dissidio
e procurare di vincerlo [...], con una nuova dialettica del sentimento
o dichiarando il proprio fallimento», perché lanno
1943 non era un anno come tutti gli altri e che perciò impediva
il ritorno «ai vecchi giochi»; per concludere, con una
punta risentita di orgoglio generazionale: «Siamo cresciuti:
abbiamo sentito nuove sollecitazioni di poesia, vagheggiato climi
culturali che ormai rispecchiassero lesperienza da cui venivamo
e le nuove esigenze sorte in noi». È così catturante
il piglio intelligentemente polemico deltesto bodiniano che Lala
non sa ometterne le battute finali:
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Se Macrì non si fosse assunto il compito
di fare il cane da pastore del gregge ermetico, inseguendo e
abbaiando contro chi pecora non è, e ha diritto a seguitare
la propria strada, avrebbe potuto accorgersi di quanto fosse
naturale e coerente in Quasimodo il trapasso dalla pietà
pei suoi oggetti a una partecipazione umana che vale assai più
delle squallide bandiere della Assenza, segnate persino dai
venti. |
|
E Lala chiude con il rammarico che della «umorosa passione
del poeta pugliese [...] la critica ha in genere tenuto ben scarso
conto, laddove essa sarebbe servita a chiarire tante cose».
Proseguendo nellitinerario poetico di Bodini, se ne afferma
la fedeltà nel movimento con la raccolta Metamor (1962-66),
«tra lindore classico e sentimento esistenziale, tra vaga
modernità e specificità surrealista», alla ricerca
di temi nuovi, cosmopolitici, non più regionalistici, ma
con la persistenza del poetare, del filosofare,
dellinterrogare del Bodini di sempre. Questo contributo
di Lala alla storia della critica bodiniana è ancor più
prezioso perché interamente giocato su unintensa, pregnante
memoria personale, convalidata da inobliati contesti testuali dellopera
di Bodini. Memoria personale ancor più importante per la
rivisitazione delluomo Bodini, e talvolta del personaggio
Bodini, mediante lintrecciarsi e il succedersi dei ricordi,
sia nati dal rapporto diretto sia collegati alle voci, alle impressioni,
alle opinioni circolanti nel capoluogo salentino intorno alla figura
del picaro, mezzo italiano, mezzo spagnolo ma totalmente salentino
nella forma mentis.
Lo scarto anagrafico tra Vittorio Bodini e Francesco Lala è
di soli cinque anni esatti, essendo luno nato il 6 gennaio
1914 e laltro il 2 gennaio 1919, ma questa condizione favorisce
il fermentare mnemonico dellautore dello scritto Bodini tra
biografia e memoria (1914-44), che propriamente non è
un saggio critico, ma suggestivamente un testo narrativo e ben calibrato
sul binario di vite per un lungo tratto parallele. Non manca, perciò,
questo intervento bodiniano di Lala, di fremiti proustiani, nel
combinare la propria memoria con la biografia
dellamico; con punte di commozione e di rimpianti, per la
sua sparizione dalla scena della vita, amaramente prematura: Bodini
muore il 19 dicembre 1970.
La rivisitazione per anamnesi comprende linfanzia, dolorosissima,
la giovinezza «rissosa e generosa», la prima maturità,
allo sbocciare di un Bodini «cambiato», il cui spirito
polemico è divenuto «sorridente ironia». Al tempo
stesso, sulla scorta dei ricordi che investono la figura dellamico,
Lala ridisegna un grosso segmento della vita cittadina, ne risuscita
profili umani, ne risente usi, umori e impressioni, quasi di una
Lecce del «buon tempo antico», quale lo stesso Bodini
viene nostalgicamente tratteggiando nel suo romanzo incompiuto Il
fiore dellamicizia; ma senza esitare ad abbozzare anche, nelle
linee caratteriali salienti, gli archetipi di un impigrito milieu
di provincia, che farà esclamare a Bodini: «Quando
tornai al mio paese nel Sud, / io mi sentivo morire» (Foglie
di tabacco, 4). Un milieu, che non risparmia il paesaggio, riguardato
«con gli occhi incerti fra il sorriso e il pianto»,
nelle più o meno periodiche riapparizioni delleterno
fuggiasco, tra Firenze e la sua città, tra la Spagna e il
Salento, tra Roma e il vivaio del barocco:
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Qui non vorrei morire dove vivere
mi tocca, mio paese,
così sgradito da doverti amare;
lento piano dove la luce pare
di carne cruda
e il nespolo va e viene tra noi e linverno
(in La luna dei Borboni, 8)
|
|
«Ciò che incise più profondamente è
lavvio del racconto di Lala e definitivamente nellanimo
di Vittorio Bodini fu la prematura perdita del padre quando il piccolo
non aveva ancora compiuto i tre anni, e il conseguente vuoto, il
senso dangoscia esistenziale, latmosfera di dolore e
di pianto, la figura della madre nellabito nero, tutto conservato
nel tempo»: un quadro desolato che sarà poi oggetto
di rievocazione narrativa nei due racconti autobiografici Largo
dei Teatini e La Stregoneria (il corredo delle note in fondo riferisce
i relativi elementi bibliografici, riguardo anche agli altri fatti
contenuti nello scritto di Lala). Ma la sorte avversa non desiste
e torna a colpire il diciannovenne Vittorio, con la perdita del
nonno Pietro Marti, che almeno sino al 1933 aveva colmato lassenza
paterna. Gli eccessi temperamentali di Vittorio, ormai solo con
se stesso esistenzialmente, traggono origine naturale, quasi ineluttabile
da questi eventi. Non è stato uno scolaro brillante al Palmieri,
anche se si è già rivelato scrittore di un certo talento:
a conclusione dellanno scolastico 1930-31 ricorda
Lala aveva pubblicato, primissima palestra, Lo Studente
(numero unico di 70 pagine in 8° stampato dalla tipografia La
Modernissima di Lecce); «la rivistina andò a
ruba e fu molto commentata a causa della piccola fama, tra gli studenti
del liceo Palmieri, del rissoso e generoso giovane».
In verità troppo rissoso se, nello stesso 1933, lanno
della perdita del nonno, viene espulso dal Palmieri
per un diverbio con il suo professore di latino e greco e la conseguente
«formidabile scazzottatura con il compagno che lo aveva accusato».
Questa lamara chiosa dellamico: «Non vi era in
tutto questo lombra dellassenza, la rabbia contro un
destino di ragazzo privato dimprovviso della guida paterna?».
Il grande dolore, peraltro, può determinare svolte nella
più sensibile psiche umana, risvegliando un più acuto
sensus sui. Quando lo rivedono tutti in città, ancora una
volta, nellautunno del 40, dopo la fuga
nel 35 ad Asti, nel 36 a Domodossola (doveva pur sbarcare
il lunario) e nel 37 a Firenze, gli studenti del Palmieri
lo salutano affettuosamente: non è più il compagno
di scuola «rissoso», non è più lo stravagante
Futurbodini, è ormai un uomo, con una bella laurea in tasca
(sulla Teoria dellincivilimento in Gian Domenico Romagnoli),
conosce Montale che gli ha spianato la strada per pubblicare sue
liriche sulla rivista di Bonsanti, Letteratura, frequenta
le Giubbe rosse e il caffè San Marco a Firenze,
dove ha anche incontrato un amore che sperava non fugace, per linglese
Isobel Gerson («Isobel dalle braccia dolio e al polso
/ il braccialetto con le bandiere dEuropa, / come ti piacerebbe,
se fossi qui, / essere inghirlandata con ghirlande / di pomodori
rossi», in La luna dei Borboni, 2); «dove ha visto Benedetto
Croce e ne ha letto alcuni libri, sempre in un clima fortemente
idealistico e spiritualistico» (V.B. Ricordi di un Caffè
Bigio, in La Gazzetta del Mezzogiorno, 18 dicembre 1943).
Si è anche, per tempo, così scaltrito nella scrittura,
assecondato dal nonno, infilzando versi e rimasticando prosette
per Vecchio e nuovo e La voce del Salento
fra il 1932 e il 1933, come sappiamo, che Ernesto Alvino lo chiama
a lavorare per una pagina culturale di Vedetta Mediterranea,
sulla quale, dal n. 1 al n. 12 del 1941, pubblica suoi studi su
Joyce, Poe e Kafka, poesie e traduzioni da scrittori spagnoli, oltre
ad una polemica, con la rivista di Bottai, Primato,
sugli ermetici (Per scongiurato pericolo). Insomma, dal rovinio
degli avvenimenti, la rottura con Alvino, fascista della prima ora,
lo scoppio della guerra e il generale sbandamento delle coscienze,
avvertito di più in provincia, rimbalza fuori un altro Bodini.
Scrive lamico:
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Domina limmagine mitica di Benedetto Croce e del suo
splendido isolamento; essi non giungono, tuttavia, alla non
accettazione. Il fenomeno è abbastanza largo tra chi
si apre ad una cultura europea, non limitata da anguste visioni,
con letture di Freud, Kafka, Proust, oltre naturalmente quelle
italiane di Ungaretti, Montale, Campana, Svevo, De Ruggiero,
ecc. La sorte di Vittorio Bodini è quella di avere
aderito alla moda futurista, senza esserlo del
tutto, allermetismo rimanendo tuttavia in una sfera
meno assoluta e pura intrisa di sana e magica
provincialità. Tali i suoi rapporti politici; e ciò
per il suo scostante ed invincibile distacco critico con cui
egli si accostava ad ogni idea o cosa. In lui era prevalente
il giudizio estetico-morale, anche quando si interessava di
politica. Ma è da precisare subito che in Bodini gli
interessi politici sempre compresenti con quelli letterari
e artistici presero forza solo nel periodo 1943-1947.
|
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Per tutte queste circostanze, in provincia, Bodini rappresenta
un ineludibile richiamo letterario e a lui si rivolgono esordienti
e aspiranti artisti o critici, dallo stesso Lala a Luciano De Rosa
a Vittorio Pagano, per citare i nomi che, poi, lasceranno anchessi
unimpronta nella cultura salentina.
E chiudo con la ribadita fisionomia delluomo:
|
Nonostante il suo comportamentale quadro biografico, con
gli amici, in genere non ebbe motivi di rottura: si mostrava
disponibile allincontro, alla passeggiata, alla conversazione.
Preferiva circondarsi di elementi della media borghesia e
del ceto piccolo-borghese, non simpatizzando per chi, per
censo o rendite, mostrasse una vacua superiorità; del
resto lalta borghesia salentina, ai suoi tempi, era,
salvo eccezioni, immersa nellindifferenza per gli aspetti
culturali [...]. Tutto sommato, il motivo di differenziazione
tra la disponibilità verso gli amici, da un lato, e
un suo certo rigore di rapporti nel versante culturale-letterario
derivava da una sua concezione morale dellintellettuale
e della funzione esemplare di questi.
|
|
Si è già accennato al personaggio che,
imprevedibilmente, rispunta dalluomo, a qualche sua stravaganza
di bohémien, la quale, peraltro, più che offuscare
limmagine del poeta, ne fa risaltare laureola. La ricerca
delleros è perseguita «come salvataggio esistenziale»,
ma può anche trascinare a eccessi narcisistici, per occupare
da soli la scena. A riguardo così evoca Lala:
Ci torna nella memoria il poeta del 43-44 con linseparabile
amica (Giulia Massari) per le vie di Lecce, coppia un po stravagante
con un pizzico di separatezza, il cagnolino di Giulia tocco indispensabile
[...]. Ogni giorno si vedeva passare dopo il suo ritorno
da Firenze Bodini con Giulia, che gli cingeva il braccio,
verso le quattordici, attraverso lantica piazza [...] in direzione
di via Ascanio Grandi [...], e di lì verso le Scalze,
nel cui rione aveva una stanza in affitto. Era il tempo di una pausa
esistenziale [...], durante la quale seguiva il sogno gozzaniano
del vivere di vita, ridiventato cittadino anonimo.
È in via De Angelis (che ora ha assunto altro nome), via
malfamata e degradata, ma cara, nel ricordo, al poeta, sino al rimpianto.
Gli ha ispirato una poesia di intensa carica sentimentale e umana:
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La paraffina, diva del deschetto
credevo che il tuo cuore fosse di molle cera
e un secchio dacqua scura dove stanno
a mollo le tomaie, mi salutano,
e il rosso dei pomodori,
il nero
dalla cantina dei carboni. Via
senza eguali come mi canti in cuore,
e come son cresciute
le piccole figlie di puttana
che un tempo vedevo spidocchiare
con rare raucedini dalle madri
nei momenti liberi [...].
Mi guidavi lo sguardo per ogni porta
per ogni vita altrui;
ho abitato
in ogni numero civico della via
con tutti
con le rondini
coi vecchi che muoiono allalba
in una verde luce dacquario
con quelli che sloggiano
portandosi coi mobili sul carretto
i vetri della finestra
e lalbero di limone del cortile.
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Un Umberto Saba, si riscopre nel sangue, il poeta de La luna dei
Borboni; il rione delle Scalze vale il Borgo
del poeta triestino:
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Fu come un vano
sospiro
il desiderio improvviso duscire
da me stesso, di vivere la vita
di tutti
dessere come tutti
gli uomini di tutti
i giorni (in Cuor morituro).
|
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Francesco Lala insiste nel suo ritratto en plein air; non trascura
linsegnante Bodini al liceo Colonna di Galatina,
dove ebbe scolaro Donato Moro e collega Ottorino Specchia, che hanno
poi affidato alla carta stampata incancellabili impressioni, dellanticonformista
con punte eccentriche, sia nella didattica che nel rapporto con
gli alunni; «solitario e cortese», avverso al regime
(tra il 41 e il 42), di unavversione «persuasiva
perché nasceva da urgenze umane e culturali, poetiche»
(Donato Moro, in La Gazzetta del Mezzogiorno, 19 gennaio
1971).
Appunto con limmagine dellanticonformista si apre laltro
scritto bodiniano di Lala Gli anni ruggenti di Bodini: ruggenti
creativamente, operativamente su vari versanti della sua attività
letteraria, intellettuale e politica. Ha letto e riletto Benedetto
Croce, e la sua ostilità al fascismo è inizialmente
di natura morale e culturale, ossia di stampo crociano, e si adopera
come può per far risorgere a Lecce Argomenti,
la rivista di idee di Alberto Carocci, perché è convinto
che i valori di libertà e di democrazia si propugnano sul
terreno delle idee, dai bastioni di una letteratura rinnovata. Si
può parlare di un poeta-politico? Si domanda Lala riflettendo
sulle considerazioni in proposito di Fabio Grassi, nella Introduzione
allantologia di scritti civili di Bodini (I fiori e le spade).
E la sua opinione è che la poesia e la politica si muovono
su orbite naturalmente diverse, se pur, oggettivamente, non divergenti.
Ma è invece lecito sostenere la politicità di taluni
atteggiamenti pubblici di Bodini, assunti più visibilmente
alla caduta del fascismo, il 26 luglio 1943; ad esempio, organizzando
manifestazioni di sfida al decreto di Badoglio; simpatizzando col
movimento di Giustizia e Libertà; tentando di arruolarsi,
volontario, al seguito del generale Pavoni, e contribuire di persona
alla Liberazione a fianco degli anglo-americani (ne nacquero gli
Appunti di un volontario mancato); partecipando da cronista spregiudicato
alle drammatiche giornate dellArneo, e ne trae materia per
due reportages, da pubblicare nel settimanale milanese Omnibus,
diretto da Giovanni Titta Rosa: Laeroplano fa guerra ai contadini
(4 febbraio 1951) e Larneide, ultimo atto (20 maggio 1951).
Lala, sullargomento, conclude con il pensiero di Luciano De
Rosa, che puntualizza: «Bodini, pur letteratissimo, rifiutò
costantemente limmagine del letterato puro, e niente della
vita gli fu estraneo [...] tanto meno la politica» (Bodini
politico, in LAlbero, XXXVII, 70, luglio-dicembre
1983-1985).
Nello scritto di Lala, del quale ci stiamo qui occupando, in relazione
alle prove narrative di Bodini, che siano i servizi dalla Spagna
o i racconti più o meno autobiografici o di immaginazione,
tre dati a me sembrano di particolare interesse: la rilevazione
dellanalogia marcata da Bodini, tra lanima iberica e
lanima del Mezzogiorno dItalia; le forti suggestioni
proustiane nella stesura dei racconti più scopertamente autobiografici
(da Restauri, poi col titolo Largo dei Teatini, a La Stregoneria
a La coscienza di Antina); e linfluenza gogoliano-brancatiana
per testi come Il gobbo Rosario e Sei-Dita, non senza venature realistiche
di ascendenza rosselliniana. «Con Bodini conclude Lala
la satira delle manie e del velleitarismo si è trasferita
nella sua terra [...]; la mentalità e il costume della provincia
meridionale [sono] rivisitati con compiaciuta ripudiante ironia
[...]. Il binomio letteratura e vita, essenza della personalità
bodiniana, è così ad una nuova prova»: limpegno
pubblico nellinteresse della collettività. Ma già
nel 1945, nellarticolo Cultura sottovetro (in Domenica,
26 marzo), «aveva stilato il suo proposito esistenziale, aveva
preso le distanze da quella strana cosa [...] che è la [...]
cultura in assoluto, pura senza determinazioni e senza determinazioni
pratiche» (Questo articolo, come gli altri or ora citati,
nella antologia a cura di Fabio Grassi, I fiori e le spade, pp.
161-164).
Per risalire alla lunga fedeltà, giova questa
annotazione di Lala: «Chi scrive, troppo minore detà
per avvicinarlo al tempo del Palmieri, gli si era accostato
una sera del maggio 41: fu allora che ebbe inizio un rapporto
umano che doveva terminare solo con la fine del poeta» (in
Bodini tra biografia e memoria: 1914-44, p. 166). Il racconto
biografico bodiniano di Lala, che siamo sin qui venuti illustrando,
resta contributo essenziale nella storia della critica del poeta
salentino: non cè scritto di lui che Lala non abbia
conosciuto e studiato e sul quale non abbia espresso sue valutazioni.
Va perciò anche messo in conto il privilegio
di unamicizia che lo ha reso tempestivo osservatore dei vari
tempi e mutamenti dellitinerario artistico e culturale del
poeta, delluomo e dellintellettuale Bodini. Lo attesta,
ancora una volta, laltro studio di Lala Bodini tra giovinezza
e maturità, che copre gli anni 1950-1962, periodo non esaustivamente
esplorato sinora dallamico; fervido di creatività poetica
e pubblicistica, da La luna a Dopo la luna e ai numerosi scritti
civili e di costume, disseminati tra giornali e periodici; e in
misura impressionante, di attività traduttoria da autori
spagnoli di prima grandezza, Lorca (il Teatro) e Cervantes (il Don
Chisciotte), Gongora e Quevedo, Salinas e i surrealisti, sempre
corredando di ampi saggi introduttivi, tra i quali, con il sigillo
accademico, Segni e simboli nella Vida es sueño di Calderón
de la Barca. Centrale, poi, per la storia della poesia italiana
del dopoguerra, comè noto, la rivista LEsperienza
poetica, con la vigile collaborazione di Luciano De Rosa (1954-1956),
nata anche questa nella stanzetta presa in affitto in via De Angelis,
«dove appunto dagli inizi degli anni Cinquanta Bodini si è
sistemato per farne la sua fucina».
Tra i vari pezzi giornalistici, Lala dà particolare
risalto a La Puglia contro Pietro Micca (uscito sul quotidiano di
Roma Il Tempo, 6 dicembre 1952), per «leccezionale
verve che lanima», sin dal titolo «tutto bodiniano,
barocco e surrealista». Cediamo la parola a Lala: «Si
tratta di una visita a Otranto, e in particolare alla sua Cattedrale,
dove sono custodite, visibili in grandi contenitori di vetro, le
reliquie dei martiri dellincursione turca di Maometto II,
avvenuta nel 1480. Nel centro del pavimento, campeggia uno stupendo
mosaico del XI secolo». Si accompagna con Bodini, riprendiamo
riassumendo il seguito, un avvocato del luogo, che esprime il suo
indignato stupore che nei libri scolastici di storia si conceda
spazio a Pietro Micca e al Tiremm innanz di Amatore Sciesa e si
taccia invece sui «dodicimila otrantini che immolarono la
loro vita salvando lItalia e la Religione dallinvasione
turca». Lo zelo dellavvocato è irrefrenabile:
promuove con altri lAssociazione Nazionale Pro Otranto, con
i 50 articoli del suo Statuto, che prevedono «assemblee, sindaci,
probiviri, tesseramenti, tesoreria», ma, replica Bodini, «lunica
cosa non prevista è lestrema inattendibilità
che vi sia in un qualsiasi comune dItalia (Otranto compresa)
gente disposta a tesserarsi e a costituire sezioni per il conseguimento
di scopi come un film sui Martiri di Otranto e il riconoscimento
della loro importanza nei testi scolastici di storia».
In Puglia è dunque scoppiata la «rivolta contro la
Storia dItalia», è lesilarante suggello
a siffatta municipalistica rivendicazione in pieno Novecento. Certo,
gioca anche la nota insofferenza bodiniana per ogni forma di retorica
dei sentimenti e degli ideali, per il suo nativo spirito critico;
in questo caso ancor di più irritato dalla ibrida mescolanza
di verosimile e di immaginario, oltre che dal mal dissimulato disegno
di smungere «i milioni della Cassa del Mezzogiorno»
per loccasione.
Per chiudere anche noi, riportiamo un passo della Conversazione
tenuta nellestate 1993 nellAssociazione Lecce Nostra,
espunto dalle pagine qui dedicate a Bodini:
Lultimo casuale incontro nel centro di Lecce, durante il quale
rammemorammo le nostre due riviste, LEsperienza poetica e
Il Campo, da tanti anni cessate, come per rinverdire un passato
ormai definitivamente perduto. Ci fu dato di pensare alla vicinanza
ideale di quelle esperienze, che nascevano dalla comune matrice
del bisogno di nuovi orientamenti, sulle ceneri del vecchio ermetismo.
Era giunto nella sua città prediletta, già consapevole
della sua irrimediabile fine (che avverrà a Roma il 19 dicembre
1970).
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