Stando ai calcoli elaborati dagli ispettori fiscali,
con questi e con altri ingegnosi
sistemi in quattro anni sono volati via oltre 2 miliardi di euro.
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Fin dallinizio, per ottenere gli sgravi fiscali erano sufficienti
pochi clic. Ci si collegava al sito dellAgenzia delle Entrate
(ministero dellEconomia), si scriveva il proprio nome, si
dichiarava di avere unattività imprenditoriale al di
sotto del Tronto e del Garigliano, si giurava solennemente di non
aver mai evaso le tasse e frodato il fisco, si promettevano degli
investimenti. Dopo di che, si poteva passare allincasso. O
meglio: si incamerava il bonus fiscale, che poi era la medesima
cosa.
In pratica, si otteneva una cospicua riduzione delle tasse, cioè
lequivalente di un finanziamento a tasso zero. Una volta tanto
la burocrazia ministeriale si palesava amichevole, immediatamente
disponibile: non pesava come una palla al piede sullo sviluppo e
non faceva la faccia truce con gli imprenditori.
Allora, tutto ok? Un po sì, un po no. Sì,
perché il sistema funzionava spedito e questo era un dato
positivo, non fosse altro che da un punto di vista tecnico. E, almeno
in teoria, non era una bestemmia sostenere con agevolazioni gli
investimenti nelle regioni meridionali e nelle aree economicamente
svantaggiate. DallIrlanda alla Lituania, dalla Grecia al Portogallo,
in Europa era e resta un metodo diffuso, rodato ed efficace per
stimolare la crescita. E, anche in Italia, proprio gli sgravi fiscali
alle aree depresse hanno storicamente prodotto buoni frutti, incoraggiando
investimenti per 11 miliardi di euro e contribuendo a creare circa
120 mila posti di lavoro.
Ma nel nostro Paese la questione del bonus presenta risvolti piuttosto
sgradevoli e imbarazzanti, con il lato nero delle truffe, che insieme
hanno dato luogo ad una frode sistematica e gigantesca. Secondo
una proiezione elaborata dagli ispettori dellAgenzia fiscale
sulla base di unindagine condotta sul campo, circa un imprenditore
su due ha incamerato il beneficio e ha rinunciato agli investimenti.
Si sostiene nellinchiesta: «Si è in presenza
di unalta percentuale di uso non corretto dello strumento».
Parola dei magistrati della Corte dei Conti. Il che significa che
su 31.365 controlli effettuati sono state riscontrate bel 16.207
irregolarità (il 52 per cento).
Nella maggior parte dei casi esaminati (65 per cento) gli investimenti
sono rimasti allo stato di promessa; nel rimanente 35 per cento
gli ispettori si sono visti esibire fatture false oppure sottodimensionate,
o ancora hanno riscontrato che gli acquisti effettuati erano sostanzialmente
diversi da quelli annunciati. In altri termini, invece di trasformare
il risparmio fiscale in nuovi macchinari, in attrezzature, in impianti
e in posti di lavoro, come solennemente dichiarato, decine di migliaia
di industriali avevano preferito utilizzare quei quattrini per scopi
ben diversi, tuttaltro che produttivi, anche se più
divertenti: il fuoristrada che va tanto di moda, la palestra domestica,
la terza o la quarta casa per le vacanze, lennesimo viaggio
alle Maldive, la trentesima crociera mediterranea o, infine, nel
migliore dei casi, il mini-villino a Cap Ferrat.

Questo del bonus non è solo un caso di bassa moralità
imprenditoriale, è un affare molto serio per tutti: le cifre
in ballo sono state e restano notevoli (in media, circa 500 milioni
di euro allanno), e coinvolti non risultano soltanto gli imprenditori
meridionali, ma di tutta Italia. Anche se condizione essenziale
per lottenimento del beneficio, infatti, è la presenza
fisica di unattività imprenditoriale in zone svantaggiate,
gli ideatori delle truffe in molti casi hanno agito in aree ricche
del Paese. Tanto che la maggior parte delle irregolarità
sono state scoperte dagli investigatori nelle sedi provinciali dellAgenzia
di Milano, di Torino e di Roma, città dove imprenditori medi
o anche grandi hanno prima ottenuto il bonus per i loro stabilimenti
meridionali, e poi gli investimenti li hanno fatti altrove, quando
li hanno fatti. E a riprova che limbroglio è diffuso
e ultra-regionale cè Napoli, che, secondo il luogo
comune, dovrebbe essere la capitale italo-europea della truffa,
mentre si piazza solo al quinto posto, preceduta dalla Città
Eterna e da altre tre città del Nord.

I sistemi escogitati per frodare il fisco sono spesso ingegnosi
e pittoreschi. A Marcianise, un gran paese in provincia di Caserta,
un tale che si è presentato come imprenditore cartario ha
ottenuto circa 40 mila euro di sgravio per sistemare condizionatori
daria e tende allinterno del suo stabilimento, con lintenzione
dichiarata di far lavorare meglio i dipendenti. Quando successivamente
i dirigenti della locale Agenzia delle Entrate hanno chiesto
qualche ragguaglio sugli investimenti effettuati, si sono visti
recapitare un elegante dépliant con le foto dellazienda
ingentilita dai condizionatori e dai tendaggi. Ma dalla conseguente
verifica è emerso non solo che quegli investimenti vantati
non erano stati realizzati, ma che non esisteva nemmeno lo stabilimento.
A Quarto di Napoli, area industriale che si trova dalle parti di
Pozzuoli, più di un giovane imprenditore ha provato
ad incassare il bonus, che tuttavia allultimo momento è
stato negato perché gli ispettori si sono accorti che le
varie ditte richiedenti erano state fatte nascere soltanto sulla
carta e con lunico obiettivo di incamerare il beneficio fiscale.
E spesso il bonus ottenuto, (particolarmente al Nord), è
servito allacquisto di Suv, quei pesanti macchinoni fuoristrada
che da qualche tempo a questa parte hanno fatto impennare le vendite
di alcune case automobilistiche straniere: sembra infatti che sia
abbastanza facile da un punto di vista documentale presentare il
Suv come un bene strumentale, una sorta di autocarro
necessario per le esigenze di trasporto e di carico aziendale.
Stando ai calcoli elaborati dagli ispettori fiscali, con questi
e con altri ingegnosi sistemi in quattro anni sono volati via oltre
2 miliardi di euro. Tasse che lo Stato ha rinunciato ad incamerare,
ma che per far quadrare i conti pubblici qualcun altro, volente
o nolente, ha dovuto pagare al posto degli industriali truffaldini.
Soldi che in teoria il potere centrale potrebbe ora riottenere,
aprendo un contenzioso con i contribuenti infedeli, anche se si
sa come spesso vanno a finire queste faccende: tra ricorsi e commissioni
fiscali passano anni, poi magari sopraggiunge il colpo di spugna
di un condono.
Il rubinetto del bonus, intanto, resta aperto ancora, dopo che era
stato rifinanziato con oltre 850 milioni di euro previsti da una
norma inserita nella Finanziaria 2005: una cifra inferiore a quella
degli anni precedenti, ma comunque abbastanza elevata.
La trovata del bonus fiscale ha molti estimatori trasversali e un
padre certo, Vincenzo Visco, il ministro delle Finanze che nel 2000
decise di sostenere così limprenditoria meridionale
e gli investimenti nelle regioni del Sud.

I beneficiari, secondo la legge (art. 8 della Finanziaria 2001),
sarebbero stati «i soggetti titolari di reddito di impresa
che effettuano nuovi investimenti destinati a strutture produttive
situate in aree territoriali individuate dalla Commissione europea
come aree svantaggiate»: in sostanza, lintero Mezzogiorno,
più qualche altra zona colpita, ad esempio, da calamità
naturali, come alluvioni o terremoti.
Venne previsto un sistema automatico: in pratica, le imprese potevano
autoridursi le imposte, a patto di utilizzare il benefit per incrementare
la produzione attraverso lacquisto di attrezzature e di macchinari.
Lo Stato stanziava un plafond, e tutti coloro i quali dichiaravano
di possedere i requisiti necessari potevano chiedere e ottenere
il beneficio fino ad esaurimento della cifra stanziata: chi arrivava
tardi e restava a mani vuote non doveva disperare, potendo mettersi
in lista dattesa per lanno fiscale successivo.
Fin dalla prima edizione lidea ebbe un grandissimo successo
dal punto di vista della partecipazione, tanto che venne replicata
negli anni seguenti. Le domande piovvero a migliaia sullAgenzia
delle Entrate e, a conti fatti, soltanto dal 2001 al 2004 erano
stati concessi crediti per 4,6 miliardi di euro a circa 200 mila
imprese, il 90 per cento delle quali dislocate nel Sud: il 25 per
cento in Campania, il 22 per cento in Puglia, il 16 per cento in
Calabria, il 12 per cento in Sicilia.
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