In unottica
nazionale si registra un marcato calo della propensione
a possedere
strumenti finanziari
più rischiosi,
conseguenza diretta di alcuni noti crack industriali.
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Sono più ricche o più povere le famiglie italiane
rispetto allimmediato passato? E ancora: quali sono i livelli
di distribuzione e di concentrazione della ricchezza delle famiglie
in Italia? Sono solo alcuni degli interrogativi più frequenti
che ci si pone quando si analizzano i comportamenti e gli stili
di vita di quella che ben a ragione viene considerata la spina dorsale
della società.
Ad orientarci nella scelta di metodologie di analisi e nelle modalità
di approccio alla soluzione di questi interrogativi e degli altri
ancor più numerosi che ne costituiscono il logico corollario
giunge la recente ricerca della Banca dItalia 1, che con cadenza
biennale offre una fotografia nitida e dettagliata delluniverso
familiare del Paese, stimolando valutazioni utili a meglio comprendere
il recente passato e a delineare più compiutamente il nostro
futuro prossimo.
Laccuratezza dei questionari che sorreggono limpianto
di campionamento prescelto e la raffinatezza delle elaborazioni
derivanti dai risultati acquisiti sul piano finanziario e reale
costituiscono una garanzia fondamentale per laffidabilità
e, quindi, per il valore da attribuire a questa indagine2. Unindagine
che scava nella realtà rappresentata da oltre 22 milioni
di nuclei familiari,3 con una localizzazione geografica che pende
decisamente a favore del Nord (47,7%). Una realtà, peraltro,
non statica, ma in continuo movimento, come testimoniato dalla vertiginosa
crescita del peso delle famiglie formate da un solo componente:
dal 9,7% del 1977 ad oltre un quarto del numero complessivo nel
2004. Alla radice di questo fenomeno dalle dimensioni vistose cè
la crescente presenza di persone anziane rimaste sole e in prevalenza
di sesso femminile; ma cè anche sicuramente il marcato
aumento della quota di persone separate e divorziate under
50, che ha portato questo particolare tipo di nucleo familiare
a più che quadruplicarsi nello stesso periodo (da meno del
2% all8).

È, in definitiva, proprio questa la principale novità
che emerge sul piano strutturale della famiglia italiana in confronto
con le precedenti indagini, in quanto risultano, invece, confermate
altre principali caratteristiche morfologiche, tra le quali la dimensione
della famiglia, che è sempre maggiore al Sud e nelle Isole,
con un valore medio di 2,87 componenti, e il numero di percettori
di reddito, che mediamente è più alto al Nord con
1,7 componenti. Superata questa prima tappa di definizione del nucleo
familiare, puntiamo allora verso gli aspetti economici che caratterizzano
i bilanci delle famiglie italiane. Si può cominciare questa
ricognizione dal livello del reddito, che mediamente supera i 29.800
euro su base annua con una crescita rispetto al biennio precedente
del 6,8% in termini nominali e del 2% in termini reali. La disaggregazione
di questo dato su scala territoriale evidenzia, comunque, delle
dinamiche reddituali differenziate a seconda delle aree considerate.
In particolare, il Centro si segnala per la vivacità e per
lampiezza del fenomeno con un +8,5% rispetto alle variazioni
del Sud (+2%) e del Nord, dove addirittura si registra un segno
negativo (-1,7%). La spiegazione di questo andamento si trova principalmente
nellaumento dei redditi da capitale reale connessi con la
crescita dei prezzi degli immobili.
E qui sembra opportuna lapertura di unapposita finestra
di considerazioni sullaspetto immobiliare che riveste, come
facilmente intuibile, un ruolo preminente nella composizione del
patrimonio familiare. Un primo dato che colpisce è la vocazione
proprietaria con oltre i due terzi delle famiglie italiane (67,7%)
che vivono in abitazioni di proprietà; la quota residua,
inferiore al 22%, si avvale di abitazioni in locazione.

Un secondo dato riguarda il valore medio dellabitazione di
residenza che si colloca tra i 172.000 e i 173.000 euro, pari a
1.728 euro per metro quadro. Naturalmente, non mancano le oscillazioni
rispetto a questo valore medio con riferimento sia allarea
geografica, sia alla dimensione demografica del comune di residenza:
con il Nord che primeggia in questa particolare classifica e il
Sud e le Isole a fare da fanalino di coda.
Quanto al prezzo a metro quadro, non si può non notare che
se nel biennio al quale si riferisce lindagine lincremento
è stato del 29% in termini nominali, qualora si dilati il
periodo del raffronto alla metà degli anni 90 il valore
di crescita sale vistosamente al 76% (38% in termini reali). Prima
di chiudere questa finestra sullimmobiliare ancora una curiosità:
la dimensione media dellabitazione di residenza risulta di
circa 100 metri quadri, un dato che, però, risulta dalla
ponderazione delle dimensioni delle abitazioni occupate direttamente
dal proprietario (mediamente più grandi con 109 metri quadri)
e di quelle in affitto (mediamente più piccole con 77 metri
quadri).
Tornando ad esaminare gli aspetti reddituali, lanalisi della
Banca dItalia offre altri spunti di sicuro interesse: a cominciare
dalla composizione del reddito, la cui quota più cospicua
rimane attribuita al lavoro dipendente (40,7%), mentre i redditi
da libera professione e impresa si attestano poco al di sopra del
15%. E in tema di conferme va segnalato landamento della curva
di concentrazione dei redditi, che non registra scostamenti significativi
rispetto alla precedente rilevazione: nel dettaglio, il 10% delle
famiglie a reddito più basso percepisce il 2,6% del totale
dei redditi prodotti, mentre il 10% delle famiglie a reddito più
alto percepisce il 26,7% del monte redditi complessivo.
Un altro aspetto che merita una sosta di riflessione riguarda la
destinazione del reddito, in particolare per la quota assorbita
dalla spesa per consumi, ossia circa i tre quarti del reddito familiare
su base nazionale. Ma anche qui, scavando in profondità,
emergono differenziazioni legate allimportanza del titolo
di studio del capofamiglia, alla dimensione della famiglia e alla
collocazione geografica. Su questultimo parametro balza allattenzione
il fatto che la quota destinata alla spesa per consumi risulta marcatamente
più elevata al Nord rispetto al Sud (precisamente oltre 24.000
euro contro 17.400 euro, rispetto ad un valore della media nazionale
pari a 22.138 euro).
E a questo punto, prima di passare agli aspetti di ricchezza, viene
comodo aprire una seconda finestra, dedicata in questo caso allindebitamento
delle famiglie italiane. Loccasione è fornita dallesame
di alcuni dati resi noti in un momento successivo sempre dalla Banca
dItalia 4. Utilizzando una dimensione di raffronto decennale,
si scopre così che tra il 1995 e il 2004 la quota di famiglie
italiane indebitate è cresciuta di un punto percentuale,
toccando il 22%; mentre lammontare medio dei finanziamenti
per nucleo familiare indebitato è raddoppiato in termini
nominali ad oltre 27.000 euro (in termini reali lincremento
è stato del 60% circa).
La crescita dellindebitamento la si può valutare anche
dal raffronto con il Pil: a settembre dello scorso anno il valore
di questo rapporto si situava al 30% contro il 18% di dieci anni
prima. Allorigine di questo andamento va certamente iscritto
il ruolo di crescente importanza del finanziamento per lacquisto
di abitazioni, sospinto da una forte riduzione dei tassi di interesse
nominali e reali e dallampliamento strutturale dellofferta
di mutui da parte delle banche.
Ci stiamo, pertanto, avviando pericolosamente al livello di guardia
dellindebitamento? E quanto dobbiamo preoccuparci di questa
crescita? Domande alle quali lanalisi di Via Nazionale risponde
pacatamente sottolineando che «lindebitamento delle
famiglie non è elevato in rapporto ai livelli di ricchezza
e reddito» 5. Infatti, a fine 2004 i debiti per mutuo ascendevano
al 14,4% delle attività reali e finanziarie (9,1% nel 1995);
mentre alla stessa data la quota dei debiti per finanziamenti al
consumo sulle sole attività finanziarie si collocava poco
oltre il 38% (37,1% nel 1995).

Riprendendo il viaggio attraverso le cifre dei bilanci familiari
si arriva così alla tappa della ricchezza, il cui valore
mediano si situa poco oltre i 125.000 euro con una crescita superiore
in termini nominali al 22% se raffrontata agli esiti del precedente
biennio.
Ma lanalisi della ricchezza non si esaurisce certo in questo
dato e soddisfa anche altre curiosità: prima di tutto si
ha la conferma che lindice di concentrazione della ricchezza
registra un livello maggiore rispetto allanalogo dato del
reddito: infatti, il 10% delle famiglie più ricche detiene
il 43% dellintera ricchezza netta delle famiglie italiane;
un valore, in realtà, molto alto, anche se in flessione di
un paio di punti percentuali rispetto ai risultati dellindagine
precedente. E, inoltre, rimane assai pronunciata la divaricazione
Nord-Sud con un indice di concentrazione della ricchezza che al
Meridione si colloca su valori ben superiori alla media del Paese.
Da ultimo, un po di attenzione va spesa verso le attività
finanziarie, il cui peso condizionato dai parametri già osservati
per altre grandezze risulta particolarmente contenuto al Sud, dove
una famiglia su due ne detiene per un controvalore che non supera
i 2.833 euro. Inoltre, in unottica nazionale si registra un
marcato calo della propensione a possedere strumenti finanziari
più rischiosi, conseguenza diretta di alcuni noti crack industriali;
il ripiegamento è di 3,5 punti percentuali e si segnala come
inversione di tendenza significativa rispetto agli incrementi registrati
ininterrottamente dal 1991.
Un invito alla riflessione giunge, poi, dalla diminuzione del numero
di famiglie in possesso di Titoli di Stato e di depositi bancari
contestualmente alla crescita segnata da depositi postali e buoni
fruttiferi postali. E in tema di deposito bancario, purtroppo, si
registra unulteriore divaricazione Nord-Sud con il livello
più basso di famiglie con deposito bancario al Sud (53%)
contro l80% delle famiglie del Centro e il 92% di quelle del
Nord. Una divaricazione che puntualmente si ripresenta e per di
più accentuata nel caso di altri strumenti finanziari, quali
le azioni e i Titoli di Stato, la cui diffusione al Sud è
pari ad un settimo del valore registrato al Nord.
Un fenomeno che è anche frutto di una formazione culturale
nutrita dallavversione al rischio e dallo spiccato orientamento
al contante: basti pensare al livello di scorte di liquidità
tenute in casa, che al Sud e Isole raggiunge i 477 euro (contro
i 400 della media nazionale) o anche al numero di persone che sempre
in quellarea geografica ancora chiedono di percepire le proprie
entrate direttamente in contanti (il 35,5%).
Continuando nella elencazione dei fattori critici, non può,
infine, non preoccupare il dato dellelevato numero di intervistati
(65%) che candidamente dichiara di non dedicare tempo a raccogliere
informazioni comunque utili a gestire i propri investimenti; una
percentuale che sale ulteriormente al Sud, superando i 4/5 delle
famiglie.
Come si vede, alla conclusione di questo viaggio nelle pieghe dei
bilanci familiari gli interrogativi ai quali prima si accennava
trovano risposte autorevoli e soddisfacenti. Peraltro, sembra giusto
mettere in evidenza che lesame dellindagine di Via Nazionale
sollecita una seconda chiave di lettura che non risulta legata alle
riflessioni sul momento contingente, ma spinge a collocarsi su un
piano prospettico altrettanto significativo. Ove sembra imporsi
la necessità di un sentiero virtuoso da percorrere sia a
livello di nucleo familiare, sia di aggregati regionali e sovraregionali
per favorire una crescita non solo economica ma anche sociale del
Paese. Unesigenza particolarmente sentita in alcune aree come
il Sud e le Isole, che appaiono ancora fortemente in ritardo o penalizzate
da fattori esogeni. Con unavvertenza finale: che è
vitale avere piena consapevolezza che qui non si sta formulando
un semplice auspicio, ma una condizione sine qua non.
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