Tali informazioni non riescono da sole a farci
comprendere
la mancanza
di speranza
nel futuro che pare sempre più
caratterizzare
i giovani europei.
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Di recente è stato scritto che ogni tentativo di approfondimento
del concetto di precarietà deve partire dalla rilettura dei
dizionari linguistici. Il Palazzi scrive che precarietà è
sinonimo di «incertezza, instabilità, temporaneità,
provvisorietà», fornendo come esempio proprio limpiego
precario. Letimologico Zanichelli utilizza la radice latina
(prex-precis) per indicare che «si concede per grazia»,
non si mantiene per diritto.
La dimensione temporale è fondamentale per identificare la
precarietà nelluniverso giovanile del lavoro. In essa
è necessario distinguere tre elementi: i diversi periodi
storici, il fattore età, la coorte di appartenenza. Chiariamo
tutto, con riferimento allEuropa, e con particolare focalizzazione
sulle situazioni determinate in Italia e in Francia.
È senza dubbio corretto sostenere che la debolezza occupazionale
dei giovani si è aggravata: basti pensare che tra il 2000
e il 2004 la probabilità media di occupazione di un europeo
di 15-24 anni di età è diminuita, mentre nello stesso
tempo il tipo di probabilità è aumentata persino nella
fascia più anziana (55-64 anni) delle persone in età
attiva in tutti i Paesi dellUnione europea, eccetto la Polonia
e il Portogallo.

Ma è poco plausibile che questa evoluzione temporale sottenda
lattuale senso di insicurezza montante nei giovani, perché
i ventenni di oggi non hanno in genere sperimentato le migliori
condizioni lavorative vigenti in Europa cinque anni fa e quelli
di allora non si trovano più nella stessa fascia di età.
Daltra parte, Francia e Italia sono fra i pochissimi Paesi
europei nei quali la probabilità di occupazione dei 15-24enni
è cresciuta nellultimo quinquennio.
Nel secondo aspetto è vero che la posizione dei giovani nel
mercato del lavoro è molto più fragile di quella delle
persone di mezza età (25-54 anni) e addirittura degli anziani:
tutti gli indicatori disponibili lo illustrano, dal minore livello
retributivo, al più elevato tasso di povertà, alla
più forte incidenza degli squilibri. Per esempio, nel 2004
il tasso di disoccupazione giovanile della Ue superava il 18 per
cento, cioè il doppio di quello complessivo; in Francia quel
tasso eccede il 20 per cento, contro un dato medio del 9,4 per cento;
in Italia la disoccupazione giovanile è al 27 per cento,
più del triplo di quella generale nazionale.
Tra le persone di 15-24 anni nellUnione europea il 36,8 per
cento ha un lavoro, quota che scende al 30,4 per cento in Francia
e al 27,6 per cento in Italia. Sono frazioni ben inferiori a quelle
che riguardano nelle identiche aree le altre fasce di età.
Allopposto, in Europa la frequenza dei lavori alle dipendenze
di tipo temporaneo (mediamente pari al 13,7 per cento) è
tra le persone di 15-24 anni due volte superiore che tra quelle
di 25-34 anni e quasi quattro volte maggiore che tra gli anziani.
Secondo lUfficio di statistica nazionale francese (Insee),
la metà dei giovani transalpini che trovano unoccupazione
nellanno successivo alluscita dal sistema educativo
sono assunti con contratto temporaneo, contro una percentuale del
25 per cento di tre lustri fa.
Secondo la Banca dItalia, la quota dei neo-assunti italiani
di 15-29 anni con contratti temporanei è oggi il 49,8 per
cento (era il 46,4 per cento soltanto un anno fa), a fronte del
40,5 per cento tra i neo-occupati di ogni età.
Ma per quanto tali informazioni siano impressionanti, non riescono
da sole a farci comprendere la mancanza di speranza nel futuro che
pare sempre più caratterizzare i giovani europei: se esistesse
solo un problema di età difficile, per risolverlo basterebbe
aspettare con pazienza e senza soverchie paure linesorabile,
e in questa circostanza desiderabile, scorrere del tempo. Così
non è, perché sussiste anche un terzo fattore di rischio
temporale, messo in luce dai dati longitudinali riguardanti il percorso
di una coorte durante il proprio ciclo di vita lavorativa. Si tratta
di numeri scarni, complessi e talvolta inediti, come parzialmente
quelli citati più avanti. Tuttavia, è come se i giovani,
nella loro percezione della realtà, senza conoscerli, mostrassero
di introiettarli.

Secondo le cifre diffuse dalla Commissione europea nel 2004 risulta
che, di 100 europei originariamente assunti con contratto temporaneo,
dopo un anno nemmeno un terzo conquisterà un posto permanente,
44 saranno ancora temporanei, tre si saranno messi in proprio, quattro
saranno tornati agli studi, 18 saranno inoccupati. Dopo sei anni,
solo 55 saranno dipendenti a tempo indeterminato e 16 resteranno
temporanei, mentre ben 21 si ritroveranno privi di occupazione.
In Francia, dopo sei anni, il 62 per cento dei dipendenti inizialmente
temporanei godrà di una posizione permanente, il 16 per cento
sarà ancora a tempo definito, l11 per cento sarà
in cerca di lavoro, il 9 per cento sarà inoccupato in varia
forma. Nel nostro Paese, dei 100 che in origine avevano un contratto
temporaneo, dopo sei anni soltanto 47 disporranno di un posto
fisso, 18 saranno ancora temporanei, nove saranno disoccupati
e ben 16 saranno fuori dal mercato, (presumibilmente nel sommerso;
la somma delle percentuali non fa cento, perché esistono
altre tipologie di sbocchi).
È dunque comprensibile che un grandissimo numero di giovani
viva in Europa la prospettiva drammatica della precarietà:
poco più della metà in Italia e poco meno del 40%
in Francia di quelli tra coloro che entrano oggi nel mondo del lavoro
con contratti temporanei (ormai la metà dei neo-assunti)
non avrà probabilmente un posto sicuro, cioè a tempo
indeterminato, nemmeno dopo il 2010.
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