Se siamo ancora Paese bisogna
ritrovare lo spirito dei tempi migliori, una moderna
cultura dimpresa e unaristocrazia del lavoro che abbia
voglia
di competizione globale.
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Contrordine: mai piùboiardi pubblici e privati. Il nostro
capitalismo cambia pelle. Sulle piazze vediamo crescere la presenza
di capitale straniero temperato da un capitalismo casereccio in
affanno. È già accaduto nel periodo di formazione
dello Stato unitario. Oggi è una lezione della mobilità
che potrebbe diventare anche lezione di democrazia. Un ponte per
la costruzione di una società pragmatica, meno sensibile
alla celebrazione dei culti devozionali.
Cercasi capitalista duttile, non compromesso con i meccanismi
del consenso, buon regista nella ricerca delle occasioni internazionali
favorevoli. Disposto al rischio ma non allavventura, poco
propenso a misurare lascesa con i lustrini della mondanità.
È lidentikit di un moderno capitalista in carriera,
senza fronzoli e senza frontiere, capace di gestire doveri e responsabilità
imposti dalla crescita di una società complessa. Dopo Valletta,
Olivetti, Mattioli, Mattei resta un modello difficilmente reperibile
tra le mura domestiche.
Il capitalismo italiano, attardandosi sulle politiche di tutela,
si muove con tecniche riproduttive datate, espressione di una cristallizzazione
politico-letteraria che sforna lobbisti e attori di panna montata.
Mentre nella carcassa del dinosauro si trovano aziende in buona
salute (bocconi teneri e digeribili) e conglomerati in difficoltà
(di difficile digeribilità). Offriamo al mondo una vetrina
da emporio di periferia. Vulnerabile, quando si trova qualcosa di
appetibile.

Ci vorrebbe una ventata di britishness per uscire da intrighi e
stratagemmi elusivi, dando «neutralità, professionalità
e normalità» ad uneconomia deviata dalle decisioni
delle poliarchie, una pluralità di oligarchie
che per logiche di potere e voglia di esibizione filtra e deforma
le dinamiche naturali del mercato. Con la gente che immagina squadre
di top manager impegnate in videogiochi truculenti che mandano messaggi
criptici, con echi allarmanti dinquietudine mediatica. Questi
nodi aggrovigliati del nostro piccolo mondo domestico devono poi
confrontarsi con un mercato globale afflitto da unoggettiva
svalutazione delle regole, per un complesso di circostanze riconducibili
ai sentieri della modernità. Non è casuale la forte
virata del mercato verso forme di contrattualismo esasperato.
Unaltra provocazione viene dal cyberspazio che, attraverso
la Rete, offre testimonianza quotidiana della frantumazione delle
regole. Se non si trovano pezzi di ricambio, il tempo delle regole
è finito, sopraffatto da una globalizzazione che premia il
successo dei bassi salari e dellalta tecnologia, rafforza
il potere scientifico e indebolisce i poteri della governabilità.
Sullaffievolimento del diritto come regolatore dei rapporti
economici devono essere in molti a riflettere. Non si può
sempre gridare al lupo mentre cresce di livello il fronte della
trasgressione, lasciata alle cure di specialisti che si muovono
con difficoltà in una sorta di purgatorio diplomatico.
Per i problemi di casa nostra diventa urgente restituire tranquillità
ad un tessuto economico sfilacciato e compromesso da molti comportamenti
disinvolti, ciclicamente ferito da scandali che finiscono per abbattersi
pesantemente sul risparmio delle famiglie e sulloperatività
delle imprese. Sappiamo di chiedere esercizi al limite dellacrobazia.
Ma le ragioni strutturali della crisi non lasciano più spazio
alla pazienza levantina. Sintravedono anni caldi di guerra
fredda.

Abbiamo due Paesi in uno: Nord e Sud, con forti divaricazioni di
reddito, di organizzazione sociale, di struttura produttiva, ma
con identica carica nel sollecitare lattenzione di ogni Supervolontà
tutrice. Se uno dei problemi nodali è la modernizzazione
del sistema, bisogna partire da questo storico diaframma economico,
sociale, psicologico. Non è scandaloso riconoscere la realtà
di due modelli e la necessità di un doveroso riformismo per
cercare sinergie con luso appropriato di politiche macroeconomiche.
Si avverte lesigenza di unoperazione-verità su
larga scala. Ed emerge linteresse per un nuovo tipo di concertazione,
meno rituale e meno celebrativa. Dove le ragioni di ogni conflitto
vengano stemperate in un dialogo sociale fruttifero non più
sterile per la nota incapacità di compattarsi. Sarebbe bello
vedere nelle Università un banchiere che discute con uno
studente, un top manager che parla con un giovane dei centri sociali,
un informatico che dialoga con un precario. Sarebbe forse una concertazione
bonsai, ma avrebbe il pregio di capire il capitale umano disponibile
e di parlargli. Spiegando le ragioni poco seducenti del Paese bloccato
e promuovendo il gusto collettivo della trasformazione e del risanamento.
Nella ricerca di percorsi nuovi diventa fondamentale abolire serre,
steccati e campanili e creare un forte spirito di comunità.
Consentirebbe alle associazioni professionali di diventare interlocutrici
privilegiate di Authority e mercato, assolvendo con spazio autonomo
ad alcuni livelli di regolamentazione e sorveglianza e dunque offrendo
garanzie di reputazione e di etica dei comportamenti.
Finora il nostro capitalista ha privilegiato il recinto di casa
e ha inseguito pratiche di favore stataliste e di pubblico intervento
(è nota la ricetta di un capitalismo italiano senza capitali),
anche quando sapeva di attivare procedure senza copertura (nei governi
di coalizione dormono tutti nello stesso letto ma non fanno tutti
gli stessi sogni). Ora si chiede a più voci uno scatto dorgoglio.
Noi sollecitiamo la cura delle patologie nei centri di elaborazione
della cultura (forum, università, fondazioni, associazioni)
dove scoprire lebbrezza di fare mercato, polarizzando
ogni frammento dellemotività collettiva, senza confondere
ruoli e prerogative, senza commistioni estranee alle leggi delleconomia.

Va in questa direzione quella ventata di britishness auspicata
in apertura, capace di convincere gli animal spirits delle Borse
e della finanza. Si attendono cambiamenti di natura antropologica
(ci sono studi di neuroeconomia che spiegano perché alcuni
scelgono la reciprocità, la cooperazione, la solidarietà
rispetto al profitto personale). Lo spunto buono può venire
da una decisione bipartisan, dal metodo seguito nella scelta del
Governatore della Banca dItalia. Anche per le altre necessità
si deve usare poco il giudizio di bandiera, concentrandosi sulle
esigenze concrete dei territori e dei gruppi sociali. Un problema
che attiene ai percorsi di formazione della classe dirigente (mettendo
in conto anche lesperienza di un governo di larghe intese).
Limpresa resta lo strumento principale di ogni processo di
trasformazione. Ma va interpretata come polo sociale magnetico,
non come icona di un potere che privilegia lautoreferenzialità
del management e consacra il primato dello status individuale (unOpa
non è gradita ai manager quando con il passaggio dellazienda
in altre mani possono perdere il posto o il valore delle stock option).
Si deve creare valore potenziando leconomia reale con nuovi
prodotti e nuove tecnologie, non rincorrendo larricchimento
immobiliare e finanziario, ancorato a metodi collaudati per cavalcare
linflazione. Un progetto di ricchezza senza sviluppo che sta
portando al capolinea la sperimentazione del modello post-craxista.
Un mix di liberismo industriale e di statalismo finanziario che
ha prodotto uno star system in conflitto con le capriole della povertà.
Indignarsi non basta più. Occorrono ambizioni di riforma
che ci abituino a prendere confidenza con il mercato, che ci liberino
dalle pratiche corporative e protezionistiche che bloccano la concorrenza,
arrecando danno ai consumatori-risparmiatori. Nei convegni inglesi
e americani si scava sui problemi e si offrono soluzioni. Nei convegni
italiani si stringono e si rompono alleanze.
Tutto questo è noto ai Signori che detengono allestero
metà del nostro debito pubblico e che tanta influenza hanno
sulle nostre sorti. Intercettare lo sviluppo richiede approcci culturali
diversi. Bisogna superare un difficile gioco di matrioske
per guadagnare fiducia e affidabilità internazionali. È
una questione di carisma imprenditoriale, di decisioni politiche
market oriented, di organizzazione del sistema-Paese, di seduzione
programmata di lungo periodo (ciò che stanno facendo India
e Cina). Una prova strategica dinversione di rotta, senza
macerarsi tra soprassalti nazionalisti e voglie di resa, senza sposare
i gusti discutibili dellapartheid.
Per ogni caso che produce crisi (giustizia, scandali finanziari)
si continuano a invocare nuove regole. Un metodo che consente di
sgranare rosari di retorica buttando tutto in politica, senza maturare
mutamenti di convinzioni e di comportamento. Una chiamata di correo
va rivolta alla cultura giuridica che, ancorata a logiche di sapere
tecnico-formali, resta sensibile alle sollecitazioni dei poteri
forti e della Pubblica Amministrazione, senza elaborare contributi
originali per rendere moderno il Paese e seria lazione di
contrasto della manipolazione del mercato. Un esempio concreto viene
dagli scandali Cirio e Parmalat, che confermano il distacco tra
il modello e la realtà. Le leggi e i controlli esterni delle
Autorità di vigilanza non hanno dato prova di valida deterrenza.
Ma è venuta meno anche lazione capillare di vigilanza
degli organi societari (sindaci e revisori), dei professionisti
della certificazione (generosi), dei sindacati (sempre solleciti
nel chiedere rivendicazioni contrattuali e politiche di cogestione,
ma poco sensibili verso il rispetto dei codici etici, delle procedure
di qualità e di sicurezza, del diritto dinformazione).
Non è una questione di giustizia ma di cultura giuridica
da Basso Impero. Più leggi non cambiano il costume, non creano
alcuna deterrenza quando la società organizzata chiede più
diritti, ma non ha il senso della legalità. Non assicurano
più etica ad una categoria che ora deve fare i conti con
Le crépuscule des petites dieux (si legga il bel libro di
Alain Minc). Un clima inquinato da collateralismo si
riscontra anche nellultima stagione degli scandali finanziari.
Tutti segnali di scarsa maturità sociale, che deturpano il
paesaggio degli investitori. Uniti allampliamento della forbice
debito pubblico/Pil e alla caduta di competitività, rendono
più severi i giudizi delle agenzie di rating e più
difficile il decollo del nostro capitalismo nella realtà
di uneconomia globale.
Non è casuale che ad un recente convegno sul futuro del sistema
bancario un imprenditore attento commentasse le proposte come prodotto
di fantascienza se riferite al futuro, di romanzo storico se riferite
al presente. Si respira un senso fatalistico di smobilitazione,
alternato a guizzi dimprovvisazione. Si pensi alla questione
meridionale che, dopo anni di deliberata rimozione, torna improvvisamente
alla ribalta grazie allinvenzione di una Banca per il Sud,
affidata alle cure di proconsoli blasonati (Carlo di Borbone, Presidente;
Lello Sforza Ruspoli, Vicepresidente).
Nella realtà il riordino del sistema bancario italiano non
ha esaurito la spinta verso le aggregazioni (processo di consolidamento)
in vista di una maggiore capitalizzazione a sostegno dello sviluppo
(si leggano le indicazioni del Comitato per il credito e il risparmio).
Ciò vale anche per il sistema meridionale, dove sono presenti
diverse aziende di media grandezza sparse tra Popolari e Credito
cooperativo. Questo passaggio appare prioritario rispetto ad iniziative
finanziarie ispirate alla visione di un Sud pensato ancora come
feudo prefettizio, marcato stretto da una sorta di intendenza politica
con stimmate paternalistiche fissate nel codice genetico. Mentre
si attendono formule di mercato dalta scuola per avviare lo
sviluppo di unEuropa mediterranea e dunque un proliferare
di interessi strategici per il nostro Mezzogiorno. Una pagina tutta
da scrivere, anche nei nostri confini regionali, con disegni industriali
e finanziari volti a potenziare il grado dintegrazione territoriale.
In costanza di un sistema creditizio ancorato alla rendita, poco
sensibile alla concorrenza, sostanzialmente gestito con strategie
Nord-bancocentriche (si vedano le vicende di scalate e Opa), diventa
importante per il Sud non disperdere le poche esperienze di azionariato
popolare che funzionano e rafforzano il legame credito-territorio.
Anche nei percorsi organizzativi decisi in attuazione della normativa
europea sulla libera circolazione dei capitali si dovrà tenere
conto di questa esigenza, valorizzando il patrimonio delle specificità
locali, nel rispetto dei target di efficienza imposti dalla concorrenza
e dalla standardizzazione dei costi. Va da sé che il sistema
creditizio meridionale dovrà svolgere al suo interno importanti
operazioni di aggregazione e ristrutturazione, essendo chiamato
a dare contributi determinanti alle strategie di attuazione di un
piano di sviluppo unitario, regionalmente ripartito (la litigiosità
interregionale frena la crescita di sistema).
Ci sono già precedenti illustri nelle positive esperienze
di Irlanda e Galles, che hanno saputo coniugare crescita e autonomia,
dimostrando di saper dare contenuti operativi allidea di unEuropa
delle regioni, cara alla tecnocrazia di Bruxelles.
Lattenzione va portata su un credito capace di produrre sviluppo
e dunque effetti moltiplicatori per occupazione e crescita. Sotto
questo profilo appare poco probabile che le virtù dellimprenditoria
meridionale possano trovare occasioni esclusive di rilancio nella
presenza di unaltra banca e di unaltra burocrazia (in
Puglia e Basilicata nel periodo 2002-2004 sono nate otto nuove banche,
tra Popolari e Credito cooperativo). Le complesse ragioni dinefficienza
strutturale rendono attuale un quesito già dibattuto in era
pre-fascista: se il nazional-capitalismo possa uccidere il nazional-capitalismo.
Quando non alzano barricate, le anime belle sembrano rassegnate
a praticare forme di eutanasia indolore. Cresce così il tasso
di contendibilità (incoraggia le incursioni estere), rendendo
più critico il problema di essere, dopo essere stati.
Unimmagine di efficienza attiene ad un clima di concordia
nazionale, al potere competitivo della concorrenza, a funzioni effettive
di controllo interno ed esterno alle aziende, ad una giustizia certa
e tempestiva, alle direttive degli organi associativi, alla moral
suasion del Governo. Intenti corali per una strategia. Se siamo
ancora Paese bisogna ritrovare lo spirito dei tempi migliori, una
moderna cultura dimpresa e unaristocrazia del lavoro
che abbia voglia di competizione globale. Conducendo una battaglia
determinata contro una miscela incandescente: ingovernabilità,
esasperazione conservatrice, ribellismo antisistema. A bocce ferme,
il processo decisionale resta appaltato agli appetiti dei patti
di sindacato (non solo aziendali) impegnati a sostenere lintangibilità
degli equilibri in essere.
Così, mentre si alzano i decibel sulle riforme, leconomia
continua a registrare gli impeachment dellarroganza di casta.
Consegnando agli storici il fascino di raccontare le vicissitudini
di un dirigismo crepuscolare che, sorretto da un machiavellico tatticismo
di postura, svuota pensieri e desideri.
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