Nel post-Concilio
i liturgisti hanno
chiuso le porte
a qualsiasi dialogo
con la musica colta contemporanea
e ciò ha prodotto canti molto poveri.
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Gesù molto probabilmente non rideva, come asserì
una corrente teologica antica, ma quasi certamente cantava. Non
possiamo sapere se fosse intonato, oppure no. Però il rotolo
di Isaia nella sinagoga di Nazareth quasi sicuramente Cristo non
lo ha letto, bensì cantillato, come aveva imparato
a fare da buon ebreo e come era normale nel mondo orientale antico:
con una linea melodica più vicina al parlato e al canto tradizionale
yemenita o polinesiano, che alla salmodia oggi usata nella liturgia
delle ore.
Durante la Passione ci sono poi riferimenti al canto dellhallel
e la citazione del Salmo 22, (Dio mio, perché mi hai
abbandonato), quello dei morenti. «Anche se non mi spingerei
a dire che Gesù in croce labbia cantato», sostiene
don Luigi Garbini, nella sua dotta Breve storia della musica sacra,
pubblicata di recente.
La musica dei primi cristiani è difficile da ricostruire.
Se vale la tripartizione di inni, salmi e cantici spirituali citata
da san Paolo, dobbiamo pensare che si usassero sia salmi biblici
sia canti di nuovo conio, ma rifatti su quel modello. Per quel che
riguarda gli stili corali, semplificando ne rinveniamo due: la ripetizione
della formula proposta da un solista, oppure lalternanza di
due gruppi che si rispondono a vicenda.
La ritmica non esisteva, il canto era semplice. Ma spesso vi si
aggiungeva lo jubilus, vale a dire il vocalismo o melisma
di un solista che si lasciava andare a una sorta di grido sonoro,
quasi presenza strumentale sulla vocale finale: uno spazio libero
del suono sulla parola.

Nel testo di don Garbini non è citato il celebre (e usato
a piene mani) detto di santAgostino: «Chi canta prega
due volte», perché lAutore lo ritiene, come slogan,
poco scientifico, e dichiara di non sapere nemmeno se sia di Agostino.
Il cui problema era semmai «lambivalenza della musica:
egli ne sentiva fascino e potenzialità, però era preoccupato
di organizzarne il metro per dare preminenza e intelligibilità
alla parola».
E qui il santo di Tagaste venne aiutato da santAmbrogio, che
inventò gli inni, ma «copiandoli», come insinua
il saggista. In effetti, Ambrogio pescò da Efrem il Siro
e dalla Scuola di Emessa (ambiente scismatico dove recuperava uninnodia
adatta a far fronte proprio agli eretici...). Però a questa
fonte si mescolavano variabili occidentali, come Ilario di Poitiers
ed Eusebio di Vercelli. Di sicuro, comunque, con la presenza del
metro versi uguali nel numero di sillabe e con un ritmo identico
nelle strofe la musica sacra guadagnava un altro modo di
organizzarsi e uno spazio più vicino alla nostra sensibilità.
Daltra parte, non va dimenticato che Ambrogio venne contestato
da san Gerolamo, che lo accusava di portare in chiesa «musica
moderna». Cera polemica tra i due, e linno ambrosiano
rimaneva fuori dagli ambienti romani a lungo: era uninnovazione
troppo radicale.
Nello stesso tempo, tuttavia, sappiamo quanto fu prezioso per forgiare
una partecipazione tra le comunità cristiane. Era un modulo
che funzionava. Il gregoriano fu anche uno strumento importante
che Carlo Magno utilizzò per unificare lEuropa. In
un certo senso, dunque, non fu canto monastico, ma romano.
Questo, non per la sua origine che scaturiva dalla fusione
tra varie tradizioni (gallicane, romane
) e da un reticolo
monastico che diffondeva andamenti differenti ma per lattribuzione
a Gregorio Magno. Il richiamo al papa servì infatti da autorità
per legittimare la revisione e la sintesi di un repertorio sviluppatosi
in vari centri e città del continente europeo, nel momento
in cui lImpero carolingio cercava fusione e ordine.
Quello gregoriano è un canto a voce nuda. Anche perché
ci fu una forte avversione agli strumenti musicali (le percussioni,
il flauto
) in chiesa; si arrivava persino agli anatemi di
certi Padri della Chiesa, perché, nonostante il riferimento
ideale alla liturgia del Tempio di Salomone (dotata di corredo strumentale),
in pratica la strumentazione era ritenuta simbolo di paganesimo.

Persino lorgano non era affatto considerato sacro,
perché accompagnava feste molto pagane. Però aveva
potenzialità molto più vicine alla voce umana e questo
gli permise di restare nel mondo liturgico. Lentrata in pompa
magna dellorgano tra le navate avvenne intorno al Duecento,
a Parigi, mentre la sua riforma risaliva allItalia ottocentesca,
quando lo strumento si arricchì di registri sempre più
contigui ai timbri orchestrali con potenzialità incredibili:
lorgano diventò il teatro dellopera
per i poveri.
In sintesi, e semplificando, possiamo dirlo: il Concilio di Trento
cercava di ridimensionare la musica per rendere i testi più
comprensibili, visto che la complessità della polifonia oramai
complicava ludibilità delle formule della fede.
La mitologia sostiene che Pierluigi da Palestrina convinse i padri
conciliari a trovare una via moderata per unire contrappunto e rispetto
dei dogmi. La sua opera ha determinato, direttamente o indirettamente,
i maestri della musica sacra seguente e, in momenti di crisi, il
richiamo a lui equivale ad aggrapparsi a qualcosa di sicuro. Ma
attribuire al solo Palestrina la salvezza della polifonia non corrisponde
al vero: cera Orlando di Lasso, poi ci fu Monteverdi... Infine,
cè stato Perosi, definito dallAutore «ultimo
giardiniere della musica sacra», proprio perché è
stato lultimo a riuscire a vivere il suo tempo tra
Wagner e il modernismo con la professionalità necessaria
per produrre una letteratura di successo popolare duraturo. Dopo
di lui, non ce ne sono stati altri, anche perché nel post-Concilio
i liturgisti hanno chiuso le porte a qualsiasi dialogo con la musica
colta contemporanea, e ciò ha prodotto canti molto poveri,
oppure volontarie auto-esclusioni oppure corrivi esilii di autori.
Se poi ci si chiede in che modo riproporre oggi gregoriano e polifonia
alla partecipazione popolare, la risposta è univoca: occorre
prendere atto che un repertorio, generato dalla Chiesa, paradossalmente
non viene più tenuto in considerazione, se non in minima
parte. Mentre il canto con la chitarra non dialoga con nessuno,
neanche col mondo della musica pop, ormai molto variegato. Così
in questi nostri tempi il canto cristiano, in pratica, semplicemente
non esiste.
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