Settembre 2006

Europa alla prova-Libano

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Le insidie della pace
Mikhail Gorbaciov  
 
 


La presenza delle truppe dell’Onu
in Libano
può trasformare
la guerra in
un’avventura
sanguinosa,
che metterebbe l’Europa in una
situazione tragica. .

 

L’Europa ha compiuto un serio passo avanti, assumendo in Libano il ruolo di protagonista principale. Il Vecchio Continente ha dimostrato disponibilità ad esercitare un’influenza superiore a quella che è stata caratteristica nel passato. Gli effetti di un augurabile successo dell’iniziativa europea possono assumere un carattere davvero storico.
Ma, come dice un proverbio russo, ciò che è liscio sulla carta può apparire irto di difficoltà lungo il cammino. E queste difficoltà sono ancora tutte da superare. Gli strumenti di cui l’Europa dispone non le consentono di esercitare pienamente le sue intenzioni e – cosa più importante di tutte – non c’è una piena unanimità. Per questa ragione è decisivo che, in una situazione che implica un alto grado di rischio, suppliscano saggezza e capacità di decisione. In caso contrario, le perdite possono essere anche molto rilevanti. Siamo di fronte a una verifica dell’unità europea e a un’occasione unica per la politica e la diplomazia europee.

L’efficacia delle forze internazionali di interposizione non sarà misurata sulla striscia di terra nella quale sono state dislocate le forze dell’Onu, bensì negli sforzi politici e diplomatici degli europei sia nelle immediate vicinanze dei confini del Libano, sia molto lontano da essi. Certo è che gli europei, se vorranno evitare di essere trascinati in combattimenti sanguinosi, dovranno coinvolgere nel dialogo non soltanto Israele e il governo libanese, ma anche la Siria, l’Iran e i Paesi Arabi.
In particolare, è essenziale far capire a Damasco e a Teheran che le forze dell’Onu non sono impegnate contro di loro, così come non lo sono contro altri Stati; e che contribuire al successo della missione è anche nel loro interesse.
Non meno importante, e perfino forse decisiva, sarà la qualità del rapporto tra i “caschi blu” e i libanesi. È chiaro che, a questo scopo, si richiederà una stretta collaborazione tra l’Italia, la Francia e la Spagna, e grande attenzione. A questi tre Paesi è affidato il compito essenziale di esprimere nel modo migliore e più costruttivo gli interessi europei. Ed è interesse precipuo dell’intera Europa che nel Vicino Oriente vi sia la pace.
Per quanto riguarda il disarmo di Hezbollah, è necessario non dimenticare che questo movimento ha profonde radici nella società libanese e che la grande maggioranza dei soldati libanesi è sciita, come lo è Hezbollah. La riorganizzazione dell’esercito libanese è possibile soltanto insieme a Hezbollah e alle altre forze politiche libanesi. L’unica saggia e possibile linea di condotta sarà quella di coinvolgere nel processo tutti, senza escludere nessuno.
È evidente anche che la pace non potrà essere raggiunta senza una fattiva cooperazione con gli Stati Uniti. Il sostegno palese che essi hanno dato all’attacco israeliano ha gravemente compromesso – e temo che lo sarà per un lunghissimo tempo – ogni possibilità di un loro ruolo di mediazione nell’area. Un ruolo al quale gli Stati Uniti hanno sempre attribuito grande importanza. Tutti ricordiamo che, subito dopo l’inizio dell’offensiva israeliana, fu proprio Condoleeza Rice a dichiarare che Washington interpretava la nuova situazione come un passo ben definito verso la costruzione di un «nuovo Medio Oriente», sotto forma di una forte accentuazione della pressione contro Siria e Iran.

L’iniziativa europea è dunque, da questo punto di vista, anche un aiuto agli Stati Uniti d’America. Questo aspetto è ben compreso dagli Usa, oppure l’iniziativa europea viene percepita come una diminuzione della loro influenza nello scacchiere? Lo si vedrà nelle prossime settimane, quando si potrà capire se gli Stati Uniti lavoreranno effettivamente con gli europei, convincendo Israele a tornare al tavolo negoziale con i palestinesi. In questo modo anche per Israele si aprirà la possibilità di cominciare un dialogo con i vicini.
Oggi numerosi osservatori europei scrivono che a Washington e a Tel Aviv ci sono forze che coltivano l’idea di «un secondo round di guerra». Io non ritengo che sarà questo lo scenario reale di sviluppo degli eventi. La presenza delle truppe dell’Onu in Libano trasformerebbe la guerra in un’avventura sanguinosa, che metterebbe l’Europa in una situazione tragica. E non soltanto l’Europa. Si provi a pensare che cosa ne sarebbe dell’intero Vicino Oriente.
No, non è questo che dobbiamo pensare. La comunità internazionale è vitalmente interessata al successo dell’iniziativa europea, poiché essa risponde all’interesse di tutti i popoli. Anche la Russia guarda con attenzione estrema a questo successo, in quanto strettamente legata dal punto di visto storico e politico a tutti i Paesi della regione mediorientale.

 

   
   
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