Settembre 2006

Di fronte alla sfida cinese

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Competitività e flessibilità
made in Europe
Peter Mandelson Commissario europeo per il Commercio
 
 

 

 

 


La Cina non è solo una minaccia,
ma offre anche
un mercato in
crescita di molte centinaia di
milioni di persone che hanno redditi, gusti e domanda
di prodotti ormai sugli standard
europei.

 

In Italia, e più in generale in Europa, abbiamo forze potenti che spingono l’economia: la nostra creatività, il livello di investimenti, la capacità imprenditoriale, l’inventiva, e una grande capacità di commerciare. Questi elementi hanno aiutato la crescita economica e hanno aumentato il nostro livello di vita nello scorso secolo e continueranno a farlo. Dobbiamo avere grande fiducia nelle nostre capacità di competere con le economie emergenti, dunque non solo con la Cina.
Ma per far questo l’Europa deve mantenere la sua competitività, puntando anche sulla flessibilità, sulla velocità di risposta ai mutamenti, sulla capacità di portare i prodotti al mercato. Solo così potremo mantenere il nostro modello di vita e conservare anche il modello sociale europeo. Resta, e resterà sempre sul tappeto la politica di rialzi del prezzo del petrolio, che comunque colpirà l’economia globale e potrà rallentare la crescita, con ovvii effetti sul commercio.
In Europa dobbiamo essere certi di avere riserve di energia di sicurezza e dobbiamo usare i mezzi che abbiamo per stabilizzare il prezzo di questa materia prima. È un compito importante.

Fra l’altro, abbiamo firmato accordi che per la prima volta impongono alla Cina di contingentare dieci categorie di prodotti nel settore tessile. È stato, questo, un modo intelligente di affrontare la pressione immediata della crescita così veloce delle esportazioni cinesi di questo settore. E sebbene per un paio di categorie ci siano delle deroghe, non credo che l’intesa sia a rischio.
Piuttosto, io sono preoccupato per gli importatori e i negozianti europei che hanno piazzato i loro ordini di prodotti cinesi prima dell’accordo – e lo hanno fatto in buona fede – e che adesso non possono ottenere le merci. Alcuni dicono che questa è la conseguenza necessaria delle imposizioni di restrizioni fisiche, altri sostengono che si tratta di un’indebita interferenza nel libero mercato. Questo è il dilemma che dovremo sempre affrontare. Ora come ora, però, dobbiamo usare buon senso e flessibilità.
Altri problemi in agenda e altre situazioni che richiedono estrema vigilanza: ritengo che quella delle contraffazioni sia una questione estremamente importante, che rientra nella difesa della proprietà intellettuale. I cinesi rispondono che esistono le leggi per proteggere la proprietà intellettuale, ma la mia richiesta è che queste leggi vengano applicate con assoluto rigore. Non penso che si stia facendo abbastanza per usare il volano della legge in tutta la sua efficacia, al fine di proteggere chi ha dei diritti. Questo è uno degli argomenti che non cesseremo di tener vivo nei confronti della Cina.
Sia detto con estrema chiarezza: vorrei anch’io che fossero rispettate le regole che difendono marchi come il Made in Italy; ma va sottolineato che in casi come questo occorre tutta la forza di pressione della Commissione europea, insieme con l’accordo di tutti gli Stati membri.
Intanto, abbiamo persuaso i cinesi ad adottare restrizioni quantitative sulle loro esportazioni, un principio che all’inizio non volevano accettare. Abbiamo avuto in questo campo maggior successo degli Stati Uniti, e anzi il rappresentante commerciale Usa sta trattando un accordo simile al nostro.
Poi, bisogna convincersi che la Cina non è solo una minaccia. Già molte industrie europee hanno spostato alcune produzioni in Cina, integrando le loro attività con quelle dislocate nel Vecchio Continente. La Cina offre un mercato in crescita di molte centinaia di milioni di persone che hanno redditi, gusti e domanda di prodotti ormai sugli standard europei. Noi dobbiamo fornire quel mercato, pensando in termini di lungo periodo. In Europa si ragiona sui sei mesi o sui prossimi due anni, ma i tempi in Cina sono molto più lunghi. Il compromesso può essere difficile adesso, ma occorre stare attenti a non mettere in pericolo i nostri interessi a lungo termine, i nostri rapporti commerciali con una Cina in inarrestabile crescita.
Inoltre, va sottolineato che il Doha Round ha riflettuto tra diversi interessi economici, tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, ma anche all’interno delle stesse categorie di Paesi. Un compromesso è sempre difficile. Credo anche che il Wto, come organizzazione, non abbia fornito le strutture e i meccanismi negoziali che erano indispensabili per portare avanti questi negoziati multilaterali così complessi.
Infine, i grandi problemi del commercio mondiale oggi sono due: il primo è la riduzione delle barriere tariffarie che ostacolano l’accesso al mercato, specialmente importante nel contesto delle trattative multilaterali; se si guarda alle relazioni tra Europa e Stati Uniti, l’altro problema è quello degli ostacoli regolamentari che frenano investimenti e commercio tra le due sponde dell’Atlantico. E sono questi ostacoli che devono essere obbligatoriamente abbattuti.

 

   
   
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