È illusorio pensare che gli italiani si
siano già convertiti alla filosofia delle tasse pagate da
tutti e dellevasione come peccato
mortale.
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Da non credere, eppure è proprio così: sessanta economisti
(laburisti, chiamiamoli così) hanno firmato un documento
contro la riduzione del debito. La richiesta è rivolta a
Padoa-Schioppa, e precisa che è bene lasciar crescere il
debito alla stessa velocità del Prodotto interno lordo, vale
a dire a un ritmo di crescita di circa 40 miliardi di euro allanno.
Ciò anche perché seguire le raccomandazioni della
Commissione europea «implicherebbe tagli significativi alla
spesa pubblica e incrementi del prelievo fiscale». Misure
che, a quanto pare, non ci piacciono per nulla.
Da qualche mese, ossia da quando il ministero dellEconomia
e la Banca dItalia hanno pubblicato gli ultimi dati sulla
finanza pubblica, che mostrano un boom delle entrate fiscali nel
primo semestre di questanno, tira una brutta aria per i risanatori
dei conti pubblici. Se cè un bonus fiscale di circa
20 miliardi, perché mai dovremmo apprestarci a dispiegare
una politica di rigore?
I sindacati sono preoccupati per i possibili tagli alla spesa sociale.
I lavoratori autonomi temono un giro di vite sulle proprie dichiarazioni
dei redditi (un po bassine, a dire il vero). Confindustria
paventa laumento della tassazione sulle rendite finanziarie,
e preferirebbe ben altre misure, come la riduzione del cuneo fiscale
o la liberalizzazione degli straordinari. I ministri dei dicasteri
sociali rivendicano quattrini per le proprie politiche.
Lo stesso ministro dellEconomia, infine, dopo aver negato
che i nuovi dati spostino qualcosa, in seguito è diventato
più prudente: a quel che riferiscono le cronache, non vuol
sentire parlare di tagli.
Ovviamente, il problema sollevato dai sessanta economisti non è
di quelli che si possono affrontare dati alla mano. Lasciar correre
il debito o cercare di abbatterlo è una decisione politica,
e non cè un modo per dimostrare che unopzione
è senzaltro migliore dellaltra. La finanza pubblica
si può governare in stile Ciampi, come il nostro Paese ha
fatto nel 1992-2000, con governi di ogni colore, e come recentemente
ha fatto il Belgio, che aveva uno dei tre maggiori debiti pubblici
dEuropa. Oppure si può governare in stile Tremonti,
come lItalia ha fatto nel 2000-2006, dapprima con lultimo
governo di centro-sinistra, poi nel quinquennio di centro-destra.
E che la continuazione di quella politica generosa più
spesa sociale, pressione fiscale costante sia ora più
o meno esplicitamente invocata da economisti di sinistra non deve
stupire: stupefacente, semmai, è il fatto che quasi nessuno,
in questi anni, abbia voluto vedere i tratti keynesiani e di sinistra
delle politiche attuate dal centro-destra. Ognuno può proporre
le politiche che preferisce. Purché non ignori i dati di
fatto, e soprattutto non sorvoli sulle conseguenze delle politiche
che propone.

Chi trova troppo draconiana lazione del governo a livello
di programma economico, sebbene questo rinvii addirittura al 2009
la prima significativa riduzione del rapporto debito/Pil, (dal 107
al 105,1 per cento), dovrebbe spiegare se intenda proporre luscita
dellItalia dalla Comunità europea, o se davvero ritiene
che Roma sarebbe in grado di negoziare uno status speciale per lItalia,
lunico Paese autorizzato a non ricondurre il rapporto debito/Pil
verso lobiettivo del 60 per cento.
Ma non basta. Anche ammesso che lItalia potesse uscire dallEuropa,
o starci con speciali privilegi, qualcuno dovrebbe spiegare perché
mai sarebbe giusto scaricare sulle generazioni future il peso di
un servizio del debito crescente, e lincertezza connessa alle
fluttuazioni dei tassi di interesse: già oggi gli interessi
sul debito ci sottraggono ogni anno 70 miliardi di euro (il doppio
della manovra prevista per il prossimo anno) e, col prezzo del petrolio
in ascesa, sono destinati a lievitare ulteriormente.
Si potrebbe contro-argomentare, come fanno da qualche tempo i sindacalisti,
i politici e alcuni ministri, che proprio la crescita record del
gettito fiscale rende meno necessaria una legge finanziaria rigorosa.
Ma qui sono i dati di fatto che potrebbero far riflettere. Se non
ci si limita ai comunicati stampa, ma si legge lintera massa
di dati contenuti nellultimo Bollettino della Banca dItalia,
non è difficile accorgersi di alcuni fatti.
Primo. La crescita del gettito (+18 miliardi nel primo semestre
del 2006) era iniziata già nel primo trimestre dellanno,
vale a dire prima delle elezioni (9-10 aprile). Nel secondo trimestre,
cè stata unaccelerazione, ma il suo apporto allextra-gettito
complessivo è molto modesto (meno di 2 miliardi di euro).
Dunque è illusorio, almeno sulla base di questi soli dati,
pensare che gli italiani si siano già convertiti (o rassegnati)
alla filosofia delle tasse pagate da tutti e dellevasione
come peccato mortale, e che dora in poi le entrate affluiranno
copiose nelle casse dello Stato.
Secondo. È vero che il fabbisogno statale, ossia il deficit
netto delle Amministrazioni centrali, nei primi sette mesi dellanno
è migliorato drasticamente rispetto a quello dellultimo
anno, passando da 49 a 29 miliardi di euro. Ma non si deve dimenticare
che il 2005 è stato lannus horribilis dei conti pubblici,
e che nel 2004 i conti erano stati riportati sotto (relativo) controllo
soltanto nella seconda metà dellanno. Se il paragone
viene effettuato con il 2003 o con il 2002 ossia con due
anni definiti di follia ordinaria si vede che
il fabbisogno statale dei primi sette mesi si è semplicemente
riallineato sui suoi valori normali, vale a dire circa 30 miliardi
di euro. La realtà è che il bilancio delle Amministrazioni
centrali era andato fuori controllo di una decina di miliardi di
euro nel 2004, e di unaltra decina nel 2005: il miglioramento
dei primi sette mesi del 2006 segnala solo che i tagli della Finanziaria
dellanno in corso stanno cominciando a dare i primi frutti,
almeno sul versante delle Amministrazioni centrali.
Terzo. Ai fini del rispetto dei vincoli europei (3 per cento di
indebitamento netto) non conta solo il deficit netto delle Amministrazioni
centrali, ma anche lentità delle dismissioni e il deficit
aggiuntivo degli enti locali. Su questo versante le cose vanno tuttaltro
che bene: le dismissioni previste ammontano ad appena un miliardo
di euro, (contro 17 nel 2003, otto nel 2004, e quattro nel 2005),
mentre lindebitamento delle Amministrazioni locali sta galoppando
a ritmi forsennati, probabilmente per compensare i tagli dellultima
Finanziaria. Tanto per dare unidea: il debito delle Amministrazioni
locali, che nel 2004 era cresciuto di 5 miliardi, nel 2005 è
cresciuto di 11 miliardi, e in base agli ultimi dati disponibili
sta crescendo a un ritmo superiore a 14 miliardi allanno.
In questo aumento del debito la parte del leone la stanno facendo
Comuni e Province, il cui aumento tendenziale è attualmente
pari a 9,4 miliardi allanno.
Insomma, speriamo tutti che nei prossimi mesi le cose migliorino
ancora, ma il quadro che emerge dagli ultimi dati non è esaltante:
i conti vanno un po meno peggio che nel disastroso 2005, ma
alla fine il miglioramento nei conti dello Stato rischia di essere
neutralizzato dalle mancate dismissioni e soprattutto dallindebitamento
selvaggio di Province e Comuni (+22 per cento negli ultimi dodici
mesi). Allora, rassegniamoci ad accettare la realtà: il bonus
fiscale, almeno per ora, non ci sarà. Miracoli alchemici
a parte...
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