Concorrenza,
innovazione,
cultura dei servizi restano parole
magiche.
Nel nostro
vocabolario
della crescita
acquistano
il sapore
del miracolo.
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La crescita? Dipende da quanti Draghi abbiamo. In questa battuta
ci sono tutte le incognite del caso Italia. Dovremo prendere ancora
laperitivo nel deserto se continua a prevalere il volontarismo
nichilista che ha scritto le ultime pagelle del letargo italiano
e consacrato una lunga stagione di bassa congiuntura politica.
La domanda urgente è quella di sempre. Quando la smettiamo
di farci male, di collezionare perle di autolesionismo? Continuiamo
a restare al palo mentre si fa grande abuso di parole come rinnovamento,
competitività, riforme. Ricche di significato ma povere di
contenuto. Il fare è problematico perché intacca la
mappa dei poteri consolidati, la credibilità delle piccole
nomenklature con storie di arroganza senza volto. Le riserve indiane
del consenso politico. È in discussione la via italiana alla
moderazione, il sacrario del conservatorismo istituzionalizzato
che ora va anche in piazza facendo confusione tra lotta, spettacolo
e parata.
Intendiamoci. Non diamo voce ad una pastorale laica. Vogliamo solo
segnalare i guasti di un lungo percorso involutivo e le buone ragioni
di un cambiamento necessario (si leggano le riflessioni di Roberto
Vannucci e Raimondo Cubeddu in Lo spettro della competitività,
ed. Rubettino). Abbiamo voluto e ottenuto il cambio della guardia.
Come ogni inizio carico di aspettative è avvolto in un alone
mistico e misterioso, mentre permangono le turbolenze politiche
e crescono le rissosità sociali. Il governo è stretto
in una morsa: tra le pressioni dei mercati competitivi e le aspettative
di un elettorato spaventato e deluso. È la gravità
delle contraddizioni e delle sfide che porta la classe politica
verso un disegno progettuale condiviso. Un parto doveroso delle
Nazioni Unite del cortile Italia, per dare passo parlamentare e
profilo strategico allimpegno politico. Quando i nodi vengono
al pettine, la cultura del buonismo diventa suicida.

Come dicono i francesi, arriva un momento in cui non si può
più avere il puro e il denaro del puro.
Tutti i fari restano accesi sullagenda di lavoro del governo.
Il conflitto gridato sulla reciproca delegittimazione maggioranza/opposizione
si trasforma in conflitto di posizione tra conservatori e progressisti,
riformatori e tradizionalisti. Con incognite che creano pause
di riflessione da brivido.
A fronte dei numerosi cartellini sabbatici staccati dalla politica
spira ancora unaria di reducismo che tiene in
scacco prospettive e strategie, lasciandoci sospesi tra vecchie
macerie e nuove speranze, offrendo qualche ragione di scrivania
a chi chiede governi di decantazione nazionale e locale. Tutto è
appeso al filo di ingarbugliate liasons dangereuses che non consentono
di togliere i sigilli al pignoramento delle volontà e delle
emozioni. Lunico segnale chiaro riguarda laccentuata
personalizzazione della politica e dunque laccentuata difficoltà
a cogliere linteresse generale. Resta in circolo il demone
del sospetto che inchioda tutti a vecchie e logore contrapposizioni,
alla partitura Caino/Abele che blocca ogni ipotesi di lavoro dei
cadetti della modernità.
In Italia, era solito ripetere Flaiano, «la linea più
breve tra due punti è larabesco». Mentre il confronto
brutale con le cose che producono crescita piatta e difficoltà
di stabilizzazione richiede decisioni coese ed energie full immersion.
In attesa di aprire cantieri per allevare una generazione post-resistenziale
la politica delle cose scivola via in silenzio.
Il riformismo di cui tutti parlano da ragionieri di unutopia
è in realtà una categoria dello spirito, un percorso
della cultura per produrre vento nuovo nella società, nelle
istituzioni, nella Pubblica Amministrazione. La scommessa riguarda
la creazione di un italiano atipico, arricchito di nuovi caratteri
antropologici. Non può essere un prodotto confezionato dal
moviolista di fiducia. Lo stato di emergenza dovrebbe rafforzare
il grado di intimità nazionale, promuovendo una sensibilità
diffusa per le tematiche etico-civili e il dialogo sociale. Un collante
necessario per traghettare verso nuovi traguardi uomini, idee, programmi;
per confrontarsi con il mercato, il merito, lefficienza.
Poca attenzione viene data alle ragioni psicologiche del disagio.
È ancora tutta da scrivere lanalisi dei mutamenti intervenuti
nellorganizzazione sociale con il passaggio da una società
di classi ad una società di ceti. Certamente ha accentuato
il diffondersi dei personalismi dando sepoltura alla dialettica
dei blocchi. Aprendo le porte a circoli e circoletti che fanno tendenza
e appartenenza, ha messo al rogo i valori forti aggreganti e ha
allargato il diaframma dellincomunicabilità, rendendo
difficile veicolare dialogo e idee, confronto e cambiamento.
Manca una seria riflessione sui guasti prodotti da una società
dissociata (cosa diversa dalla società plurale), sui mutamenti
intervenuti nei rapporti fiduciari, sul diverso atteggiarsi degli
attori collettivi di fronte ai soggetti istituzionali e ai meccanismi
normativi. Pesanti situazioni di scollamento non registrate hanno
creato una cultura della devianza che abbassa il tasso di legalità,
anche in sede legislativa.
Si pensi alle vicende del falso in bilancio e dellinquinamento
delle acque (mari e fiumi). Una legge che nei controlli fissava
il limite in ragione di un numero determinato di bacilli è
stata abrogata da una legge successiva che ha abbassato la soglia
del divieto. Resta il dubbio che linteresse per i bacilli
sia stato offuscato dallinteresse per la balneazione e luso
delle acque. Doni e condoni per i poteri forti, per le prevaricazioni
dei gruppi organizzati.
Cè poi il capitolo della formazione. Se ne parla da
anni con grande confusione. Nel caos generalizzato spicca un punto
fermo: le convenzioni tra la Pubblica Amministrazione e le Università.
Per sovvenzionare queste ultime e produrre titoli morbidi
che agevolano la carriera dei dipendenti pubblici. Intanto, la questione
formazione resta una scatola vuota. Per tutti.

Il fascino dellindividualismo esasperato sta producendo una
sorta di atonia sociale, unindifferenza sostanziale verso
il darsi e il ritrovarsi nelle istanze collettive. Ma la modernità
non può essere imbarbarimento, mancanza di centri di mediazione
tra lindividuo e le cellule sociali, tra la fotografia del
reale e il precetto normativo. Resta difficile pensare ad istanze
di libertà quando continuano a diffondersi pratiche di colonizzazione
della coscienza del lavoro, con la società civile impigliata
nel dilemma certezza del lavoro salariato/incertezza delle prestazioni
senza status e senza garanzie. Con i giovani che devono affrontare
scelte drammatiche: flettere o riflettere in famiglia.
Si avvertono preoccupanti situazioni di stallo nellarticolazione
delle relazioni industriali, che producono disfunzioni gravi nella
rete delle interazioni aziendali e sociali. Cè una
questione sindacale aperta poiché rimangono inalterate tra
le Confederazioni le diverse visioni su risanamento e sviluppo,
sul modello contrattuale centralizzato (Cgil) o decentrato (Cisl,
Uil), rendendo precario un dialogo intersindacale che diventa moltiplicatore
di precarietà.
Il transito delle grandi trasformazioni dovrebbe indurre a rimuovere
le interpretazioni storicizzate del pensiero liberale e marxista
per offrire nuovi approdi ideali ad un modello occidentale di società
multietnica integrata, ad un agire politico liberato dalla soggezione
al consenso recintato.
Vorremmo più politici di strada, attenti alle ragioni silenti
del disagio. Un altro problema sottostimato riguarda i caratteri
didentità e appartenenza che gli enti minori, diversi
dallo Stato, sono in grado di suscitare e la loro capacità
di coesistenza con lidentità nazionale. Nella nostra
storia cè più memoria di divisioni che di unioni.
Sono tematiche che non creano problemi di frontiere ma alimentano
significativi processi di confronto/scontro con lAltro, il
Diverso attiguo. Sappiamo bene che gli enti minori (Regioni, Comuni)
esprimono qualcosa meno di una nazione e qualcosa più di
unassociazione, ma manca lungo il percorso delle deleghe (poteri
e risorse) un serio approfondimento delle specificità territoriali
che non vuol dire restauro dei gabellieri e delle garitte doganali
o rassegnazione ai fermenti di società senza approdo.
Le identità non sono immutabili, soprattutto quando i cittadini
mal sopportano intrecci e condizionamenti reciproci. Questo problema
è stato avvertito per la crisi della famiglia (listituzione
di un ministero è segnale di attenzione). Ma la crisi è
più ampia, interessa il mondo del lavoro e la vasta gamma
delle relazioni sociali. Offre tracce evidenti di mutamenti sostanziali
che forniscono materia per un case study. Cosè lItalia,
oggi? Cercando risposte in linea con gli obblighi di sistema imposti
dagli impegni europei, dalla globalizzazione dei mercati, dai doveri
dintegrazione etnica e tecnologica. Prima di parlare di riforme,
anche di quelle costituzionali, bisogna dissodare questo terreno,
prendendo coscienza delle devianze, dei fermenti, dei mutamenti
in corso.
Lobiettivo prioritario non è più laccrescimento
di ricchezza, ma la necessità di rendere il futuro meno incerto.
Con questa chiave di lettura le ragioni del confronto non possono
essere solo economiche, dovendo dare risposte convincenti allinquietudine
generalizzata, alle paure dei diseredati e dei disadattati. Lo stesso
concetto di valore-lavoro, oltre ad esprimere con il suo movente
economico prestigio e grado sociale, si arricchisce sempre più
di fattori etici che esaltano il ruolo sociale delle responsabilità
manageriali. Così si colorano di luce diversa anche le urgenze
attuali: il bisogno di dare slancio alle strutture materiali e immateriali,
di restituire fiducia al risparmio, di riportare sotto controllo
il debito pubblico, di abbattere le rendite monopolistiche e lincidenza
sullinflazione delle tariffe e dei prezzi amministrati, di
dare credibilità alle istituzioni e agli organi di controllo,
di riposizionare in sede internazionale un sistema economico declassato.
Leconomia è ricerca di equilibrio attraverso aggiustamenti
delle convenienze relative. Una ricerca profondamente radicata nel
sociale, che diventa sempre più complessa in una realtà
di mutamenti rapidi, dominata da fatti nuovi e rilevanti connessi
alle migrazioni di persone e capitali (negli anni Settanta le multinazionali
in Italia erano il 20%, oggi sono oltre il 55%). Negli studi recenti
cè un filone importante che attiene alla neuroeconomia.
Registriamo intanto un significativo spacchettamento delle competenze
nei dicasteri economici deciso dal nuovo governo. Oltre a rendere
omaggio alla zona grigia degli equilibri di potere è auspicabile
che produca slancio e funzionalità nella definizione e gestione
delle politiche dindirizzo. Colpisce lo scorporo di alcune
competenze del ministero dellEconomia. Lunificazione
Tesoro-Bilancio sembrava una conquista della volontà di ridurre
le tensioni tra le politiche di entrata e di spesa.
Adesso si volta pagina, questo ministero viene a perdere petali
importanti. Perde il Dipartimento per la Coesione (ex ministero
del Bilancio, con incluse le competenze per il Mezzogiorno), trasferito
al ministero per lo Sviluppo. E perde anche il Cipe, trasferito
alla Presidenza del Consiglio e affidato alle cure di un Sottosegretario.
Sono scelte che impoveriscono il ruolo del ministro dellEconomia
nella gestione della politica economica e della politica industriale.
E la necessità di più concerto ministeriale potrebbe
procurare ritardi nella definizione e attuazione di quel disegno
strategico (per risanamento e sviluppo) su cui sono concentrate
le aspettative dei mercati.
Registriamo invece in positivo il metodo di consultazione settimanale
del ministro dellEconomia con il Governatore della Banca Centrale,
sullesempio dei weekly meetings americani. E lattenzione
riservata alle esperienze dei magistrati esperti in reati finanziari,
che possono fornire utili contributi nella ricerca di una buona
governance pubblica. Al Festival dellEconomia di Trento (giugno
scorso) ha fatto scalpore la notizia che su 3,5 miliardi di euro
sequestrati alle cosche mafiose nel periodo 1992-2005 ne siano stati
confiscati dallo Stato solo 700 milioni.
Comunque, non era necessario questo dato per avvertire la presenza
di una criminalità economica diffusa (ivi incluso il sommerso.
Anche qui cè bisogno di invertire la rotta per costruire
una economia della reputazione.
Aprendo spazi di libertà e di trasparenza in un mercato rispettoso
delle regole, affrancato da un contrattualismo che sconfina nellarea
buia del non-diritto (nomadismo di ventura, per gli americani incursioni
rock around the stock). Questione criminale e questione
sindacale sono due grossi macigni sulle scelte di governance, sul
perseguimento di una crescita non drogata, agganciata alle correnti
di sviluppo delleconomia internazionale.
Concorrenza, innovazione, cultura dei servizi restano parole magiche.
Nel nostro vocabolario della crescita acquistano il sapore del miracolo.
Ma un nuovo miracolo economico non può decollare se liniziativa
politica, oltre a tenere aggiornata lanagrafe delle grandi
e piccole eccellenze, non riesce a rimuovere linsofferenza
verso il cambiamento, assecondando la parcellizzazione di una realtà
sociale molto esposta su posizioni di rendita usuranti. Il buon
governo dellordinaria amministrazione non basta più.
Attendiamo gli araldi di uninversione di tendenza, per riciclare
il costume lassista in dovere etico verso la legalità.
A chi ha responsabilità di governo ricordiamo un motto popolare
tra gli eschimesi: la velocità della slitta è data
dal cane più lento. Per fortuna abbiamo bambini che ancora
fanno Ohh.... Anche quando i grandi hanno perduto voglia
e capacità di stupire.
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