I Paesi della
sponda Sud del Mediterraneo hanno mancato lobiettivo
dello sviluppo,
penalizzando
lo stesso
Mezzogiorno
italiano, lento
ed erratico.
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Il male è noto: in Italia lavorano solo sei persone su dieci
(il 57,5 per cento) e molte di queste escono dal mercato del lavoro
convinte di non poterci rientrare mai più. Per contro, si
registra un calo, sia pur lieve, dei disoccupati, che nel 2005 si
sono assestati ad un tasso (medio) del 7,7 per cento, contro l8
per cento dellanno precedente.
I dati definitivi dellIstat sulla forza lavoro confermano
le difficoltà delle dinamiche occupazionali italiane e fotografano
un Paese che rimane spaccato nettamente in due.
Il Nord raggiunge tassi di occupazione più alti della media
europea (68,4 per cento in Emilia-Romagna, 67,1 per cento in Trentino
e Alto Adige, 65,5 per cento in Lombardia), mentre il Mezzogiorno
si mantiene su livelli inferiori al 50 per cento (44,5 per cento
in Calabria, 44,4 per cento in Puglia, 44,1 per cento in Campania
e 44 per cento per la Sicilia).
Sul fronte della disoccupazione, invece, in Sicilia il tasso dei
senza lavoro ha raggiunto il 16,2 per cento, precedendo nel triste
primato il 14,9 per cento della Campania. Emilia-Romagna, Valle
dAosta e Trentino sono sotto il 4 per cento, mentre la Lombardia
è al 4,1 per cento.

Per i commenti, secondo alcuni questi dati sono il riflesso di
un anno particolarmente difficile delleconomia italiana, che
ha dovuto attraversare diffusi processi di ristrutturazione e reagire
alle nuove e straordinarie pressioni competitive. Secondo costoro,
rispetto al passato il mercato del lavoro è apparso più
flessibilmente capace di includere nuova occupazione in proporzione
allandamento del Pil, sicché si può dedurre
la necessità di accelerare i processi di riforma del lavoro
a partire dalla Borsa e dai servizi privati e pubblici per limpiego.
Diametralmente opposta linterpretazione di altri, secondo
i quali i dati confermano sostanzialmente due cose: la prima è
che a fronte della diminuzione di uno 0,3 per cento della disoccupazione
il tasso di occupati rimane invece stabile al 57,5 per cento, sei
punti in meno della media europea. Questo vuol dire che migliaia
di persone hanno rinunciato a cercare unoccupazione perché
sfiduciate.
La seconda è che permane la distanza fra il Nord e il Sud
del Paese, e che chi ha pensato di risolvere i problemi riformando
il mercato del lavoro deve prendere atto del fallimento: la vera
partita sottolineano costoro è quella di far
lievitare il numero degli occupati con riforme strutturali che partano
innanzitutto da una sensibile riduzione della tassazione sul lavoro.
Leggendo i dati più in profondità, si nota come per
il quarto anno consecutivo Reggio Emilia si conferma con il 70,8
per cento la provincia italiana con il più alto tasso di
occupazione, posizionandosi davanti a Modena (70 per cento) e Bologna
(69,4 per cento). Mentre è quella di Crotone larea
con il tasso di occupazione più basso (39,6 per cento), seguita
da Foggia (40,6 per cento) e Siracusa (41 per cento). La regina
dellindustria è invece Belluno, dove il manifatturiero
ha unincidenza del 39,9 per cento sulloccupazione, seguita
da Biella (39,7 per cento), Bergamo (39,6) e Vicenza (39,1). Da
notare che Milano si ferma al 25,2 per cento, e che a livello regionale
si piazzano prima le Marche con il 31,7 per cento.
La capitale del lavoro autonomo (compresa lagricoltura) è
invece, in Piemonte, Cuneo. Qui lincidenza sui posti di lavoro
è del 39,4 per cento; seguono Grosseto (37,1) e Savona (36,8).
Tra le grandi città spicca Bologna, con il 28 per cento.
Se si esclude invece il lavoro nei campi, si nota come nel lavoro
indipendente il divario Nord-Sud si riduce con percentuali significative
per Ragusa (29,7 per cento) e Avellino (28,8).
Nelle regioni meridionali continuano invece a rimanere bassi i tassi
di occupazione femminile: in Puglia appena una donna su quattro
(il 26,8 per cento) ha un impiego, mentre in Campania si sale addirittura
al 27,9 per cento. Un divario profondo si registra infine anche
sul fronte dei laureati senza lavoro: nel Sud il 10,5 per cento
è ancora disoccupato, a fronte di un 3,8 per cento nel Nord
e del 4,3 per cento nel Centro Italia.
(Chiariamo. Non poche facce di bronzo sostengono che «cè,
ma non si vede»: nel senso che loccupazione al Sud non
è bassa, come dicono le statistiche ufficiali, le quali non
considererebbero il sommerso. Secondo costoro, chi osserva i dati
del mercato del lavoro italiano, con la profonda spaccatura orizzontale
nel Paese, reagisce distinto: i numeri sono sbagliati, la
realtà è nascosta allIstat per non rivelare
limpiego in nero; daltronde, comè possibile
che in molte zone meridionali meno di una persona su due lavori?
Ragionando strumentalmente in questo modo, il sommerso
diventa lunica plausibile riconciliazione tra il reale statistico
e il razionale dei commentatori; lo strumento di rimozione; lesorcismo
liberatorio di chi la coscienza proprio pulita non ce lha.
Peccato che le cifre Istat il nero già lo includano. E ne
danno conto: nellintera nazione un lavoro su otto è
irregolare (cioè non dichiarato al fisco), nel Sud la quota
sale a uno su cinque (uno su tre in Calabria). Il sommerso è
laltra faccia di un mercato che non funziona. E invece di
ricorrere a luoghi comuni che fanno sentire la coscienza tranquilla,
è meglio attuare soluzioni per rendere più facile
lincontro tra domanda e offerta a livello locale).
A fronte di questa situazione, è certamente ovvio notare
che negli ultimi dieci anni siano riprese le migrazioni dal Sud
al Nord, anche se è fantasioso sostenere che si tratterebbe
di cifre analoghe a quelle che negli anni Cinquanta fecero parlare
di esodo biblico, e se invece è realistico sostenere
che non si tratta più di bracciantato generico, ma di gente
con diploma e con laurea. Frutto, questo spostamento di persone,
di un mercato del lavoro che nel Mezzogiorno resta abbastanza stagnante.
Ma è anche stolto consigliare che al Sud non si paghino gli
stessi stipendi del Nord e pretendere che al Nord si paghino gli
stessi affitti del Sud: come se infrastrutture e servizi fossero
uguali, come se i trasporti e i beni civili avessero al di qua e
al di là della Linea Gustav la stessa valenza e consistenza
reticolare.

Sicuramente, il vecchio modello Sud, quello degli incentivi clientelari,
(che comunque ha arricchito anche il Nord, e oltre ogni misura),
va respinto. Ma si dimentichino strategie di rapina quali quelle
attuate storicamente ai danni delle regioni meridionali. I moralisti
della spesa pubblica quelli di sempre e quelli dellultima
ora si mettano lanimo in pace. Abbiamo combattuto per
primi e da tempo immemorabile le distorsioni e i simultanei rastrellamenti
di capitali a beneficio di territori privilegiati. Ma cè
qualcuno disposto a rispondere alla domanda: comè che
se vanno in Germania o in Francia o in Svizzera o in qualunque altro
angolo del mondo, i meridionali vengono apprezzati per le loro capacità
di lavoro, per la loro creatività, per limpegno che
profondono, mentre in Italia sono impediti a farlo? Il clima? la
pennica? il lazzaronismo? la scarsa voglia di usare lolio
di gomito? Ma fatemi il piacere...
Facciamo un discorso più serio. È stato sostenuto
che la rivoluzione digitale e i progressi nei sistemi di trasporto
hanno indotto studiosi come Frances Cairncross a pronosticare la
fine della distanza, ma le tendenze globali degli scambi
e degli investimenti smentiscono questa tesi. I motori economici
degli ultimi decenni sono un grande mercato integrato nazionale
(gli Stati Uniti) e una regione dove la contiguità geografica
ha consentito la progressiva estensione di uno spazio interconnesso
di commerci, produzione e finanza (lAsia orientale). La prossimità
ai mercati finali e ai fattori produttivi, pertanto, ha tuttora
una fondamentale voce in capitolo.
In questo scenario, il Mediterraneo rappresenta da decenni una promessa
mancata per lEuropa, e in particolare per il Mezzogiorno.
A più di due lustri dallavvio del Partenariato Euro-Med
(con la Conferenza di Barcellona del 1995) limpatto economico
è stato pressoché nullo: le indagini ci dicono che
lo iato tra il commercio potenziale (calcolato anche in base alla
contiguità geografica) e commercio effettivo tra Ue e Paesi
Med è rimasto più o meno inalterato, e che il primo
è tuttora pari a quattro volte il secondo (stime Ice). Le
uniche eccezioni sono Tunisia e Turchia, dove gli scambi effettivi
con lUe si sono avvicinati a quelli potenziali, ma con specificità
rilevanti (il turismo la prima, lunione doganale la seconda).
Anche il progetto avveniristico di realizzare unarea di libero
scambio nel Mediterraneo entro il 2010 sembra irrealizzabile. Il
2010 rappresenta forse un termine sfortunato, visto che anche la
Strategia di Lisbona per fare in quellanno dellEuropa
«larea più innovativa e leconomia più
basata sulla conoscenza» appare ormai irrimediabilmente fallita.
La rimozione delle barriere agli scambi tra Paesi della sponda sud
del Mediterraneo, che sono ancora elevate, potrebbe inoltre rivelarsi
insufficiente: gli scambi intra-Med sono ridotti anche per via della
forte somiglianza delle loro strutture produttive (il settore petrolifero;
lagricoltura mediterranea; una certa industria leggera; il
turismo).
Il problema di fondo, dunque, rimane questo: il Mezzogiorno dItalia,
cioè il cosiddetto Mediterraneo del Nord, stenta
ancora oggi a decollare anche nel contesto euro-mediterraneo. Eppure,
le nuove rotte marittime transoceaniche, che dallOriente fanno
tappa nei porti del Sud, per poi proseguire verso lAtlantico,
potrebbero stimolare investimenti aggiuntivi.
Questo è senzaltro interessante in termini di domanda
di nuovi attracchi e di intermodalità di infrastrutture nelle
regioni meridionali, intese correttamente come unica area marittima
che può attrarre parte dei traffici intercontinentali. Ma
da qui a sostenere che le infrastrutture siano di per sé
sufficienti a stimolare lo sviluppo generale del Sud ce ne passa,
a meno che esse non siano associate a un efficiente modello e a
una rinnovata competitività dei costi.
I Paesi della sponda Sud del Mediterraneo hanno fino ad ora mancato
lobiettivo dello sviluppo, penalizzando dunque lo stesso Mezzogiorno
italiano, che ha conseguito un avanzamento lento ed erratico anche
perché ha cercato i propri mercati a sud, piuttosto che in
direzione nord, verso lEuropa continentale. Dati e previsioni
di crescita, dunque, vanno aggiornati, alla luce di un progetto
complessivo che ancora in Italia non cè. Riusciremo
ad ottenerlo, entro la data fatale del 2010?
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