Settembre 2006

Il corsivo

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A Sud del Sud
Aldo Bello  
 
 

 

 

 

 

 

In uno dei giorni non lontani in cui era “first lady”, la signora Franca in Ciampi aveva osato dire: «La gente del Sud è più buona e più intelligente». E subito l’allora ministro leghista Calderoli, bergamasco chirurgo maxillofacciale, le aveva dato della razzista, perché Frau Ciampi avrebbe lasciato intendere che la gente del Nord è per lo meno cattiva e scema. Altra colpa grave della signora, l’avere usato per ben due volte “più”, seguito da aggettivo. Calderoli avrà immediatamente pensato: sono due comparativi di maggioranza, dunque la “first lady” aveva messo a confronto due gruppi, la gente del Sud e quella del Nord; dopo di che, avrebbe collocato il primo gruppo sugli altari, e il secondo nella polvere (qualcuno giunge perfidamente a dire: di polenta).
Ma pensava davvero, costei, alla gente del Nord? Ce l’aveva in qualche modo con i padani? Certo, era abituata a stare a Roma e a Livorno, che è la città del marito. Poi era andata a Napoli in vacanza, e aveva visto che laggiù sono «più buoni e più intelligenti», tacendo il secondo termine di paragone, che sarà stato magari qualcosa come: “rispetto ai romani e ai livornesi”.
Allora, che cosa c’entrava il Nord? Nulla, come al solito.
Il fatto è, a dirla tutta, che i leghisti non si rassegnano di fronte alla realtà nuda e cruda, secondo la quale anche le radici del Settentrione sono romane. Infatti, esso trae origine dall’espressione latina “Septem triones”: indicava i sette buoi da lavoro (“triones”) con cui si identificavano le sette stelle dell’Orsa, cioè la costellazione che indica il Nord. Da “Septem triones” è derivato un aggettivo che in italiano ha preso la forma “settentrionale”.

Il latino aveva anche l’aggettivo “meridionalis”. Era un derivato di “meridies”, che significava “mezzogiorno”: veniva infatti dall’incontro di “medium” con “dies”; la prima “d” era poi divenuta “r”, per dissimilazione.
In italiano l’aggettivo è rimasto quasi uguale. Invece “meridies” è continuato da “meriggio”, che si usa raramente: si preferisce “mezzogiorno”, che ripropone, aggiornata, la struttura originaria della voce latina.
In questa situazione, “meridionale” si sentiva discriminato: c’era la coppia “settentrionale-settentrione”, che andava benone. La lingua trovò allora la soluzione: per analogia con la coppia rivale, si creò il sostantivo “meridione”. Questo sostantivo è dunque sorto per imitazione di “settentrione”, che a sua volta deriva – ripetiamo – dal latino, lingua di Roma.
La prima attestazione di “meridionale” è nel Vocabolario di cinque mila vocaboli toschi del napoletano Fabrizio Luna, pubblicato nel 1536. Il termine si trova solo nella prefazione, là dove si elencano i punti cardinali: “Levante, ponente, settentrione e meridione”. Secondo Aldo Gabrielli, si tratta di un vocabolo di uso dialettale meridionale, rimasto per secoli nell’uso locale e diffusosi in tutta la Penisola dopo l’unificazione, «attraverso le scritture dei burocrati, e ripreso poi nelle cronache dei giornalisti».

Ai puristi questa parola dispiaceva: preferivano “Mezzogiorno”. Oggi, però, “Meridione” è accettato senza riserve nei vocabolari. Tuttavia, i politici pare restino affezionati alla purezza (ovviamente, della lingua): si parla di interventi straordinari “per il Mezzogiorno”, e non “per il Meridione”. Nel lessico presidenziale, invece, il “Mezzogiorno” e il “Meridione” subiscono la concorrenza di “Sud”, che la stessa signora Ciampi si era compiaciuta di impiegare. Chissà: forse anche per fare un bel dispetto al marito livornese!
Livorno, appunto. Città assurta agli onori delle cronache, (comprese quelle calcistiche), non solo fino a che Ciampi rimase al Quirinale, ma oltre, per una polemica che la dice lunga sui luoghi comuni che farciscono storie patrie e storie letterarie del cosiddetto Bel Paese.
Ultima vicenda nota: in una commemorazione di Carlo Coccioli, fatta da Mario Fortunato sul quotidiano “La Stampa”, si legge che lo scrittore, emigrato da gran tempo in Messico, e saltuariamente presente in Italia, «era livornese e per niente italiano». E qualcuno, insieme con noi, si è sentito in dovere di chiedersi che cosa possa mai significare essere livornesi e non essere italiani, e che qualità abbiano mai i livornesi che sono fuori dalla portata di chi è nato, ad esempio, in Messapia o nella Calabria Ulteriore, a Girgenti o in Maremma, in Val di Sangro o in quel di Chioggia, in Brianza piuttosto che nelle Langhe o nella Riviera di Ponente... E, per contro, quali mai sono gli orrendi difetti del restante popolo italico, da cui i soli livornesi sarebbero immuni.
Insomma: chi sono i livornesi, e chi sono gli italiani? (Domanda che Sebastiano Vassalli trova ardua, e non priva di risvolti metafisici). Il marito della signora Franca, cioè l’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi, ora senatore a vita, che è nato a Livorno, e in quanto Capo di Stato e primo cittadino di questa Repubblica aveva accettato di rappresentare tutti gli italiani anche all’estero, si sarebbe dovuto sentire una sorta di traditore della patria livornese solo perché non era andato a vivere nel Messico e, oltre che in italiano, non aveva scritto, come faceva Coccioli, anche in francese e in spagnolo? E gli italiani che non sono nati a Livorno non potranno mai aspirare a vivere almeno un metro sopra il limo dei luoghi comuni che li affliggono, primo fra tutti quello del localismo più becero e insensato?
(Recenti di cronaca: un ex ministro leghista ha scoperto che della squadra italiana che ha vinto i campionati di calcio del mondo facevano parte, purtroppo, dei «meridionali bravi», come Gattuso, e addirittura il capitano della comitiva azzurra, Cannavaro! E ha dovuto prendere atto che anche altri campioni, come Totti o Materazzi o Grosso, proprio padani non erano, e che altri ancora un po’ di sangue contaminato da avi di varia origine e di eccentrica etnia regionale ce l’avevano incorporato da una o due generazioni di emigrati. Deduzione: niente “Va’ pensiero”, inno adottato dalle tribù leghiste, ma l’estraneo “Fratelli d’Italia”, che può accomunare tutti, meno gli adoratori del dio Po e i seguaci delle orde di Obelix-Vercingetorige. Avrebbe detto Totò, napoletano verace e cittadino del mondo: «Ma mi faccia il piacere!»).

 

   
   
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