Settembre 2006

Rotte dell’Immigrazione clandestina

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Sui tratturi
del Mediterraneo
Monica Marano - Alberta Marescalchi
 
 

 

 

 

Il fatto che ci siano così tante etnie
è un buon segnale di apertura della società, ma rende anche necessarie
e non rinviabili
politiche
d’integrazione e di coesione sociale.

 

Forse era pakistano. Forse aveva da ventiquattro a ventisei anni. Certamente aveva viaggiato per mesi prima di arrivare sulle coste della Turchia, dove era riuscito a imbarcarsi per raggiungere l’Europa. Ma nelle acque della bellissima isola di Chios il piccolo gommone che divideva con altri cinque compagni di sventura si era capovolto ed era irrimediabilmente affondato. Quei clandestini erano ad appena trenta metri dalla riva, a trenta bracciate di mare azzurro della Grecia. Ma lui non sapeva nuotare.
Il suo corpo senza nome e senza vita è uno dei 5.208 clandestini morti dal 1998 mentre tentavano di penetrare nella “Fortezza Europa”: una guerra quotidiana che si svolge in gran parte in silenzio; una guerra che ha fatto molte più vittime di quella del Kosovo, ma della quale spesso neppure abbiamo coscienza. Perché siamo come mitridatizzati: i numeri ci sconvolgono sempre meno!
I dati più completi sulle vittime di questa guerra sono raccolti da un sito specializzato, fortresseurope.blogspot.com, che fa riferimento soltanto alle morti rintracciate attraverso centinaia di articoli dei principali quotidiani e periodici del mondo. Sono sicuramente dati sottostimati, perché un cadavere in mare non rientra nelle statistiche. Nessuno, pertanto, saprà mai quanti corpi custodisce il “cimitero Mediterraneo”. Secondo alcuni dati recentissimi, dal 1990 hanno perso la vita per annegamento lungo i “tratturi mediterranei”, cioè lungo le rotte solcate dalle bare galleggianti dei clandestini, qualcosa come 4.800 persone su 6.336 complessivamente perite nel tentativo di raggiungere il sogno dell’ingresso eslege nel Vecchio Continente. E i Paesi della morte sono Italia e Spagna.

Il Mare Nostrum, nell’ultimo decennio, è stato la principale porta d’ingresso clandestino, ma negli ultimi tempi a scegliere questo canale sono stati i migranti più disperati, quelli che non potevano permettersi un viaggio in aereo con documenti falsi, più costoso e più sicuro. Con settemila dollari, da uno scalo africano si raggiunge un aeroporto europeo, con meno di tremila e un tempo infinitamente più lungo si arriva per mare.
Gli sbarchi dall’Adriatico sono notevolmente diminuiti. I barconi stracarichi di albanesi sono ormai solo un ricordo, il canale d’Otranto, che era la via d’accesso più semplice, non è più utilizzato. Resta il canale di Sicilia, molto più pericoloso, soprattutto se affrontato con barche di fortuna. Ma l’immigrazione irregolare, che oggi è diventata in gran parte quella dell’Europa orientale, si avvale spesso di normali visti turistici rilasciati dalle varie ambasciate, quella tedesca in testa.
Gli arrivi per mare sono diventati pericolosi anche per i maggiori controlli. Così i trafficanti sono costretti verso rotte più insicure, spesso con “navi a perdere”, al loro ultimo viaggio, senza alcuna strumentazione, destinate ad essere abbandonate con il loro carico di disperati in vista della terra. Gli sbarchi si sono progressivamente spostati verso ovest, in direzione della Sicilia e delle nostre isole mediterranee, dove, secondo una rigorosa ricerca, da 353 morti (1996-2000) si è passati a 1.186 nei quattro anni successivi. Agli albanesi e ai curdi si sono sommati o sostituiti i migranti dal Maghreb, dal Corno d’Africa, dalle martoriate Liberia e Sierra Leone. E si registra una crescita notevole di iracheni e di palestinesi, profughi dalle rispettive guerre.
Sembra un paradosso: mentre gli arrivi di clandestini sono diminuiti, soprattutto per il contrasto delle autorità di controllo marittimo, i naufragi sono in aumento. Dal 1990 sono morte almeno 2.284 persone che cercavano di entrare in Italia, raccontano alla comunità di Sant’Egidio, che si è sempre interessata al fenomeno della migrazione clandestina. E aggiungono: «È un fenomeno molto simile a quello della frontiera messicana: tanto più difficile è passare, tanto più i rischi aumentano, tanto più è facile morire».
Sul Rio Bravo (o Rio Grande), confine tra Messico e Stati Uniti, transitano illegalmente ogni anno circa 500 mila messicani, e sono più di trecento quelli che perdono la vita. Ma la “guerra del Mediterraneo” ha numeri ancora più spaventosi. Secondo un rapporto della Guardia Civil al governo di Madrid, datato alla fine del 2005, solo a dicembre un numero imprecisato di africani (da 1.200 a 1.700), partiti dalla Mauritania alla volta delle Canarie, è affogato.
L’annegamento nelle acque del Mediterraneo è sicuramente la principale causa di morte per gli immigrati. Ma questa guerra dimenticata non fa morti soltanto in mare. Si muore anche nascosti nei tir o nei container imbarcati sui mercantili diretti nei porti europei: 213 corpi sono stati trovati così nei porti in Albania, Grecia, Inghilterra, Spagna, Olanda, Italia. Oppure si muore di stenti attraversando il Sahara, dal Sudan verso la Libia, dal Mali e dal Niger verso l’Algeria: 133 vittime del deserto, disidratate, sono il bilancio ufficiale, ma anche in questo caso è la punta dell’iceberg.
E si muore sotto il fuoco dei militari, come è accaduto a Ceuta e Melilla, enclaves spagnole in Marocco, dove la Guardia Civil ha sparato e ucciso sedici migranti, e nei campi minati della Grecia, annegati nei fiumi tra Croazia e Bosnia. E poi si muore di fame e di assideramento nell’attraversamento delle montagne lungo le frontiere della Grecia, della Turchia, della Slovacchia, dell’Italia. Come è successo a due coniugi iraniani mentre tentavano di varcare il confine turco a piedi, di notte, in pieno inverno. La donna, dice il rapporto di polizia di frontiera, aveva abiti troppo leggeri ed era morta di freddo tra le braccia del marito, il quale, incredulo, aveva continuato a tenerla stretta, portandola per chilometri, fin oltre il confine.

Allora: che fare? Sono state prospettate due soluzioni: o seguire il modello spagnolo, chiudendo un occhio sugli ingressi irregolari (forse in questo modo ci sarà qualche morte in meno) e facendo regolarizzazioni continue e striscianti invece che grandi sanatorie; oppure, se il mercato è libero per le merci, lo sia anche per gli uomini: così si sconfiggerebbe la criminalità organizzata.
Anche se a parecchi queste soluzioni piacciono moralmente, se ne vedono le contraddizioni. Il mancato controllo delle frontiere nazionali non è compatibile con la presenza nell’Unione europea. Quello che fa la Spagna ha inevitabilmente un effetto a livello degli Stati membri. Se si regolarizzano i clandestini, questi poi possono circolare ovunque. Non si possono avere flussi limitati e circolazione libera.
Come in tutte le guerre, ci sono anche effetti collaterali. Nello studio L’Italia promessa del CESPI, il Centro studi di politica internazionale, si scopre che sui barconi provenienti dai porti turchi i migranti sono trattati come merci: chiusi nelle stive, cibo e acqua razionati. Di frequente, all’arrivo, sono riscontrati casi di abusi sessuali subiti dalle donne durante la traversata. E molti portano i segni di recenti operazioni chirurgiche, testimonianza atroce della pratica di vendita degli organi per trovare i soldi per il viaggio.
Intanto in Libia, a prepararsi all’esodo, sarebbero oltre un milione e mezzo di migranti arrivati da tutta l’Africa. L’informativa è dei nostri servizi segreti. La Fortezza europea dovrà farci i conti.
Anche nel 2005 (ultimi dati disponibili) la crescita demografica dell’Unione europea ha segnato il passo e solo gli immigrati hanno contribuito a un lieve aumento della popolazione. È quanto rileva l’Eurostat, ufficio statistico europeo, che ha misurato il flusso migratorio netto, vale a dire il numero di immigrati meno quello degli emigrati in ciascun Paese.
Secondo i dati raccolti, l’Europa a Venticinque ha raggiunto 461,5 milioni di abitanti, con un aumento dello 0,44 per cento. Senza l’effetto dell’immigrazione la crescita demografica sarebbe stata di appena lo 0,07 per cento. A livello Ue, l’afflusso migratorio netto ufficiale è stato di 1.691.500 persone. Spagna, Italia e Regno Unito hanno fatto da traino, totalizzando, da sole, un afflusso migratorio netto di un milione e 180 mila persone.

In Italia, il saldo fra immigrati ed emigrati è stato di più 338.100 persone, il che ha portato la crescita demografica a un più 0,53 per cento.
Sempre restando ai dati analitici di Eurostat: a metà secolo il numero di italiani scenderà a 52,5 milioni di abitanti. Non solo. Entro quella data ci saranno due persone in età di lavoro (tra 15 e 64 anni) per ogni pensionato, a fronte delle quattro attualmente registrate. Un dato che deve impressionare, perché rivela come il prossimo futuro sarà caratterizzato sempre più da una popolazione anziana. Nel cinquantennio preso in considerazione, si prevede in sostanza che ci saranno circa 20,5 milioni di nascite a fronte di oltre 31,5 milioni di decessi, con un saldo negativo di 11,2 milioni. Il calo netto della popolazione italiana sarà tuttavia mitigato dall’afflusso di oltre 5,5 milioni di immigrati nella Penisola.
Sempre secondo i dati Eurostat, il saldo negativo dell’Italia è dal punto di vista numerico il secondo più marcato di tutti i Paesi dell’Unione. Peggio di noi, solo la Germania. Le previsioni per il 2051, infatti, prevedono un calo in questo Paese di ben otto milioni di cittadini.
Per quanto ci riguarda, il dato più impressionante resta l’anzianità sempre più evidente che si registra. Scenario che si concretizza con il rapporto di uno a due: ovvero, per ogni pensionato avremo due persone attive in età di lavoro. Rapporto che, ribaltato, dice che per quell’epoca a ogni persona che ha superato l’età lavorativa corrisponderanno appena due persone in età attiva dal punto di vista del lavoro. Nella visione d’insieme, infine, il forte calo demografico dell’Italia, secondo l’Ufficio statistiche dell’Unione, verrà controbilanciato dagli aumenti demografici previsti soprattutto in Francia (+5,7 milioni) e in Gran Bretagna (+4,5 milioni). Una situazione che porterà l’Europa a registrare un calo per il 2051 di appena otto milioni e mezzo di persone.
Un melting pot che cresce costantemente e che conta ormai 184 diverse etnie nel Lazio, 178 in Lombardia e 172 in Piemonte: è questa la novità più rilevante che emerge dalla ricerca sugli immigrati regolarmente residenti in Italia, secondo una mappatura preparata dal veneziano Centro Studi Sintesi.
In base all’elaborazione dei dati rilevati dall’Istat e dal ministero dell’Interno, gli stranieri che attualmente risiedono nella Penisola superano quota 2,4 milioni: in media, 41 ogni mille abitanti. Le cifre mostrano che, rispetto all’anno precedente, il numero di immigrati registrati all’anagrafe è aumentato a livello nazionale del 20,7 per cento. La crescita, in linea con la tendenza degli ultimi anni, è stata più forte nelle regioni del Nord-Ovest, come Lombardia e Liguria, ma anche nel Mezzogiorno. Il Sud ha conosciuto un incremento record in Campania (i residenti stranieri sono cresciuti del 31,2 per cento in un solo anno) e in particolare a Salerno e a Caserta (rispettivamente 44,8 e 38,7 per cento in più), spiegabile con il forte afflusso di braccianti agricoli. Meno numerosi gli immigrati residenti nelle due isole maggiori (la crescita è contenuta ad appena il 10,8 per cento).
Passando alla distribuzione geografica, per quanto più massiccia in alcune regioni, i 184 gruppi etnici censiti dall’indagine appaiono dislocati a macchia di leopardo sul territorio. Gli immigrati tendono a stabilirsi di più nelle aree a connotazione agricola e in quelle delle microimprese a causa dell’offerta di lavoro. Sicché la mappa regionale vede i romeni concentrati in Piemonte, i marocchini in Val d’Aosta e in Molise, gli ecuadoriani in Liguria, gli ucraini in Campania, gli albanesi in Basilicata. In Lombardia, nel Lazio e in Veneto, invece, ci sono presenze straniere molto polverizzate: solo a Roma si contano 183 diverse etnie; a Milano 165; a Venezia, infine, 139.
Questa frammentazione incide poco a livello nazionale. Le prime cinque comunità straniere residenti rappresentano più del 44 per cento del totale degli abitanti senza cittadinanza italiana, (nell’ordine: albanesi 13,2 per cento, marocchini 12,3 per cento, romeni 10,4 per cento, cinesi, 4,7 per cento e ucraini, 3,9 per cento; le altre etnie, 55,6 per cento).
Ma le differenze si sentono nelle città: a Roma sono più numerosi i romeni, a Milano i filippini. A Genova gli ecuadoriani, a Cremona gli indiani, a Catania quelli che arrivano da Mauritius. Sembra che in Italia si stia verificando quanto è già accaduto nel Regno Unito, in Francia e in Germania: il fatto che ci siano così tante etnie è un buon segnale di apertura della società, ma rende anche necessarie e non rinviabili politiche d’integrazione e di coesione sociale. E siccome i dati variano molto da regione a regione e da provincia a provincia, gli interventi andranno calibrati in base alle diverse esigenze.
In chiusura, un’ultima notazione. Il rapporto maschi/femmine non è sempre equilibrato. Sono in prevalenza maschi albanesi, macedoni, serbi e immigrati africani come marocchini, tunisini, egiziani e senegalesi. C’è una sostanziale parità fra sessi tra gli immigrati dall’Est. L’elevato livello di ricongiungimento familiare si spiega con l’occupazione femminile delle numerose badanti e collaboratrici familiari provenienti dall’Europa centro-orientale. Ma anche con la maggiore somiglianza della cultura europea, e, dunque, con una più agevole integrazione.

I giorni in bilico

Riportiamo una breve serie di temi trattati da ragazzi e ragazze di diversa origine, approdati in Italia insieme con i genitori dopo lunghi “viaggi della speranza”. I giovani (scolarizzati) sono alle prese con problemi esistenziali, oltre che di conoscenza dei luoghi, della lingua, delle consuetudini, insomma dei modelli di vita (e di pensiero) della “Terra promessa”, quella vista in televisione, oppure raggiunta da chi si faceva esule volontario della fame, o infine cercata disperatamente per sfuggire alle persecuzioni, alle guerre d’ogni tipo, alle malattie e a destini senza futuro.

Ricordo un momento della mia vita che i miei genitori avrebbero dovuto fare una festa per me. Ero contenta per questa cosa per il mio istinti mi dicevano di non fare niente. Alla mia festa dovevano venire tutti i miei parenti e amici. Prima che comprassero le cose che occorrevano mia madre mi chiese se io ero pronta per questa festa, io gli dissi che non dovevano fare tutto questo, all’inizio mia mamma non era d’accordo ma pian piano acetto la mia idea. Dopo 2 mesi era arrivato il mio compleanno e mia mamma mi preparò una cena. Ero contenta perche i miei per regalo mi avrebbero mandata a Bologna da i miei cugini che non vedevo tantissimo tempo. Il giorno dopo la mia festa era arrivata una chiamata da mia zia dicendo che mio cugino era morto in un incidente d’auto. Tutti eravamo dispiaciuti e tristi. Mio padre appena senti questa cosa comincio a piangere, in quel momento mi ero sentita delusa perche ci tenevo tanto a vedere lui e ogni altri parenti. I miei erano tornati dopo 3 giorni e mi raccontarono che i suoi genitori stavano “malissimo” per questa scomparsa.
Dopo 7 mesi io mio fratello e mia sorella eravamo andati da loro per vedere se stavano un po meglio e infatti fu cosi, i momenti passati con loro sono stati bellissimi e indimenticabili per questo ritorneremo da loro. Il destino è stato così crudele perche mi ha portato mio cugino, ho aspettato tanto tempo per vedere i miei parenti e soprattutto mio cugino e adesso che non lo vedrò più mi sento male...

Ana Paula


Il momento della mia vita in cui ho sentito più vivo il bisogno della mia famiglia e dei miei amici è stato quando sono arrivato in Italia. Non ho mai pensato che alontalando di Capo Verde, sarebe stato cosi doloroso di sopportare.
Ogni giorno ho sentito e resentito la mancanza della mia famiglia dei miei amici ed inimice. Al inicio è stato più doloroso forse perché non volevo rimanere in un paesi non mio, quando vedevo una persona italiana mi ricordava di qualcuno di Capo Verde, ho forse volevo che mi ricordava qualcuno di Capo Verde, cosi mi sentivo meglio.
Chui sono con la mia madre e soltanto adesso vedo il quanto è importante il mio padre per mi. Ho conosciuto con la mia nonna, il mio padre ecc. e soltanto desso vedo il quanto è indispensabile una famiglia unita.
Quando chiamo a Capo Verde e mi dicevano che qualcuno è caduto o è malato grave rimango un puo spaventato perché avevo paura che fosse una persona vicino a me. Una cosa che mi manca di Capo verde è la “libertà di vivere” (perche tutti conosciamo tutti) è facile fare amice qui. Volevo essere spontaneo quai come sono a Capo Verde, ma non lo sono perché ho paura delle reazione degli altri. Ho tanti momenti belli nella mia vita, ma oggi posso dire che il momento più bello della mia vita è stato 3 asnni fa quando siammo riuniti tutti le famiglia (perché la mia famiglia ci giunse tutti in europa) per fare la festa di compleani 90 anni a la mia nonna.
Credo i penso che un giorno noi Capo Verdini non siammo “obrigati” a spostare in europa, ha procura di una vita meglio, che questa vita meglio sara posible fare nel nostro paesi.

Rober

Tutto comincio quando miei genitori partirano per Italia. In quel momento ho sentito un vuoto dentro di me fino ad allora non gli sentivo cosi atacatti a me, ma vedendogli salire su quela machina che gli doveva portare in Italia e ho cominciato a piangere e glio pregati di non lasciarmi solo ma loro mi avevano promeso che ci rivedemo presto. A quel tempo ero soltanto un ragazzino di “10 anni” che vedeva i suoi genitori andare via capivo più di tanto, ma qualcosa dentro di me mi facendo male il quadro non era perfeto senza i miei genitori. I miei belli genitori che andavano in Italia per rendere a noi la vita più facile. E io sono rimasto con i miei nonni che adeso mi mancano tanto. Ero soltanto un mabino che pensava che ho perso i miei genitori dopo una settimana e sceso una cosa. Era domenica mi ero apena svegliato quando senti il telefono scuilare rispose e senti una voce che mi aveva acarezato il cuore.
Era mia mamma che ci aveva telefonato per comunicarci che aveva trovato lavoro e mi aveva promeso che presto mi portera anche a me. Mi mancava cosi tanto i suoi abraci e i suoi sorisi. Erano 6 mesi da quando i miei genitori erano partiti in fine sono venuto pure io in Italia. Ad un certo punto la machina si fermo e quardai sul finestrino vedevo mia madre e mio padre con gli ochi pieni di lacrime che atendevano il mio arivo. Non potro mai scordare questi momenti.

Jerzi

Caro Marian, Ti informo che mi trovo molto bene qua in Italia. Ti ho scritto questa lettera, perche ho bisognio di parlare con qualcuno e ho deciso di parlare con te perche ho molta fiducia in te. Ti volevo racontare delle picole cose sono succese dopo il mio arrivo in Italia.
Sono andato a scuola, ma non conoscevo nessuno, però sai come sono fatto e sono andato a parlare con dei ragazzi che ho sentito parlare la mia lingua. Ero molto contento perche non mi sentivo più solo sapevo che potevo avere anche qua in Italia degli amici, però devi sapere che mi mancate tanto tutti voi.
La vita in Italia non è come pensavo pero piano piano se sai come condurla diventera più facile è difficile di capire pero non te la poso spiegarla, meglio, devi venire tu a vederla con i tuoi stessi occhi. Spero che la tua famiglia sta bene e trasmetterli tanti saluti da parte mia e della mia famiglia qua in Italia non esco molto perche non ho tempo di tornare in Romania per divertirmi un po. Che poso dirti di piu, sono contento che adesso posso comunicare con te perche sia un grande amico e mi sei stato sempre vicino. Stami bene e ci risentiamo presto,

Sorin

Nella vita ci sono delle cose belle e quelle brutte. Ame sono capitate sia quelle belle e sia quelle brutte, con quelle belle vorrei tanto raggrupparci e fare un libro di stori tratte da me. Per me essere figlia unica significa: rimanere tutto il tempo dasola (con i genitori) senza un fratello e una sorella. Quando avevo 5 anni mio padre parte per l’Italia, io sono rimasta con mia madre; dopo qualche mese sentivo molto la sua mancanza, anche se ero è sono molto attaccata molto a mio padre che era in fianco a me. E menomale il ritorno di mio padre è stato dopo 7 anni, io avevo 12 anni e per dire la verita quando lo visto davanti alla porto non lo riconosciuto neanche che era mio padre. In tutti quei anni che mio padre era fuori, io ho passato dei anni pieni di rancore e malinconia. Dopo 9 anni finalmente siamo partiti tutti 3 per l’Italia. È stato veramente una esperienza bella per me e la mia famiglia.

Joana

Cara Ana, Sono molto dispiaciuta che non siamo vicine per parlare come prima, però ti scrivo questa lettera per informarti che io sto bene e per raccontarti delle cose che sono accadute da guanta sono arivata in Italia. Quando sono andata a scuola non conoscevo nessuno, mi sentivo troppo estranea, perché tutti parlavano un’altra lingua che non la capivo molto bene e per guesto non potevo conversare con loro. Però per la mia fortuna ho sentito dei ragazzi che parlavano la mia lingua e così ho fatto amicizia con loro. Certo mi sono vergognata un po però guella situazione lo superata. Adesso sto migliorando e sono amica con più persone. La mia famiglia stà bene, però gli mancate tutti voi che state a Romania.
Ma, tu come stai? Cosa è successo dopoche io sono partita? Se vuoi puoi rispondermi cosi mi racconti anche tu un po’ qualcosa di te. Non scordarti ti voglio tanto bene e mi manchi tanto. Come va a scuola, abbi cura di tè, e studia!!! A presto mia cara cugina. Un bacio,

Andreea

Io sono venuta quà perche mie genitore lavora in questa paese e ha qualche dificolta con salute, di più per questa caso ho arrivata io quà. Quando ho arrivata in questo paese no creduto che deve stare per di più tempo, adeso che no sono tutti compagni, e tutti parente mi manca molto. Ad prima, quando redita ad questa schola, ho avuto un po di paura perche no lo sapevo che direm actuali compagni; che sono straniera, che no lo so parlare, oppure un’altra cosa. Però da primo giorno di schola ho scoprito che in classe con me ce la compagni Romeni, questo ma fato un po felice, con tempo mi sono abituata, ho conosciuto un po bene compagni e professore, precisamente sono con tutti buoni con me, io ho creduto che mi fara respingere che sono straniera, nel caso no cce statto così. Provare con pesante di studiare questa lingua, mia compagnia Romena mi aiuta anche lei quando forse.
Adesso mi piace questo paese, perche no e cosi bruto come io mi sono imaginata, ho creduto che no mi farla mai amici qua di più scelto che no sono di paese mio. No lo so di ci sono grandi diferenze in Romeni ed Italiani in fari che parlamo in diverse lingue; Italiani sono ad genere di rispecto come siamo noi. No ce aviamo ho vestito diverso, tradizione no ci sono uguale, quando e capodanno a la Romania su casa veni agenti in specialmente giovani vestiti e mascherato brutisimo con un naso lungo, pantaloni straciato anche la maglietta, con la maschera per faccia, questi un po più grandi veni a la luoro finanzate e farla una augurio longo, e dopo con permiso di la parenti di ragazza la prendo e andarci a la discoteca od amico di ragazza sta in casa di ragazza e fiesta. Questi altri ragazzi piccoli andare e fare augurio a l’agenti è regalare soldi e altri regali. Questa tradizione si tenere specialmente all campagnia. Ci sono altri tradizi che Italiani e altri paese non ce la, anche la Pasqua ce una tradizione importantissima per noi Romeni. Altri diferenze ci sono all’a schola, noi aviamo un taccuino dalla schola dove si mete tutti le notti, e professori ce lo un solo catalogo (grande registro), aviamo di più materie e non ni serve dificolta una straniera, quando ariva in un altro paese, ed si ricordo di sua casa. autorizzazione ad justificazzione, maggioranza Romeni sono ortodosso ed aviamo la Pasqua dopo cattolico; no aviamo la Befana ed altra cosa veni prima di Babo Nattale ed si chiama, “vecchio Nicolae”. In riferimento di me questi sono diferenze ed

Jolena

 

   
   
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