Settembre 2006

Narrando l’epopea dei nostri

Indietro
Il pane amaro
degli emigranti
M.B.
 
 

 

 

 

 

 

Per ciascuno di quelli che in un modo o nell’altro si sono arricchiti, ci sono stati migliaia di emigranti partiti poveri dal nostro Paese e tali rimasti oltreoceano, o tali ridiventati, con il saldo negativo dello spaesamento, dell’estraneità, della difficoltà della lingua, dell’assenza della famiglia, degli amici, dei luoghi cari, della memoria generatrice di incancellabili nostalgie. E altri innumerevoli – anche questo si sa, pur se non esistono indagini specifiche e numeri certi in proposito – morirono già nel corso della traversata, oppure poco dopo, falciati dagli incidenti sul lavoro, in quanto manodopera a bassissimo costo (nelle miniere, in modo particolare, e nei cantieri di strade e di ferrovie), senza alcuna forma di protezione, esposta ad angherie, soprusi d’ogni sorta e persecuzioni razziali che portavano al cospetto di tribunali per sommari giudizi e per morte per linciaggio.
Nello sterminato archivio delle storie di emigrazione, Elena Pianini Belotti ne ha colto una, così come, per una qualche ragione, si coglie un filo in particolare dentro una grossa matassa. È la vicenda di Gildo, sedicenne figlio di contadini impoveriti della zona di Albino, in Val Seriana, provincia di Bergamo, costretto a partire, ai primi del secolo scorso, insieme con il padre, per cercare fortuna in America.
Della sua vicenda l’autrice ha fatto romanzo, ragion per cui non è dato di sapere se, al filo della vita di Gildo, ne abbia mescolato qualche altro: ciò non è sufficiente, tuttavia, a consolarci di fronte alla tristissima parabola del giovanissimo contadini emigrato contro la sua volontà, in quanto i fatti narrati da Pane amaro sono comunque veri, né è possibile rincuorarsi – come magari capita di fare al cinema, vedendo certi film crudelissimi – pensando che soltanto di invenzione, in fondo, si tratta.

Il protagonista di una vicenda come quella narrata in Pane amaro può senz’altro non chiamarsi Gildo, può non essere nato in Lombardia ma in Trentino, in Campania, in Puglia o in Sicilia, può non essere finito negli Stati Uniti bensì in Argentina o in Svizzera, in Francia o in Belgio o in Australia, ma non c’è dubbio che sia esistito, che la sua vita sia andata press’a poco come è riferito qui e che, di altri, simili a lui, fratelli, gemelli, anzi, suoi, ne siano esistiti a centinaia, o a migliaia.
Come lui, costretti a partire dalla miseria e dalla mancanza di lavoro, convinti a tentare le fortuna dagli amici, dai familiari e, non di rado, dalle mitiche foto giunte dall’America, raffiguranti paesani vestiti elegantemente alla guida di qualche lustra macchinona: spesso e volentieri, un fotomontaggio con fondale di cartone dipinto, dove l’unica cosa vera è la faccia del paesano, finta, ovviamente, l’automobile e finti, a volte, persino gli abiti.
Tutto nel Nuovo Mondo andrà male a Gildo, timido, mite, impacciato, condannato ad essere un eterno perdente; e anche la musica, che per un momento sembra promettergli riscatto e vita diversa, grazie al suo talento per la fisarmonica, si rivelerà un buco nell’acqua: non ultimo, perché gli verrà rubata, e perché, avendola acquistata a credito, e non potendo più pagare, finirà in carcere, con qualche anno di manicomio in più.
Fin dall’inizio, di romanzo corale si tratta, nel senso che il pane è amaro per molti, e che all’esistenza di questo personaggio si affiancano e si mescolano quelle di tanti altri come lui, a volte un po’ più fortunati, ma, più di frequente, anche meno, e non è difficile immaginare che questo significhi – per loro – la morte. Accanto al protagonista salgono sul palcoscenico, dunque, alcuni per rimanerci fino alla fine, altri soltanto per un breve passaggio, i suoi familiari, i parenti, gli amici vecchi e i pochi nuovi, i datori di lavoro, gli intermediari, i preti, i rari personaggi buoni e i molti cattivi, i senza scrupoli, gli imbroglioni, gli sfruttatori e i taglieggiatori di ogni sorta.
Grande merito quello di aver fatto di una storia vera una narrazione, di un saggio un romanzo, senza che il lettore noti mai le rugosità di una qualche giuntura, il passaggio da un genere ad un altro. La scrittura smussa ogni cosa, amalgama il materiale, sicché le numerose vicende scorrono al modo di un fiume nel quale le acque provenienti da sorgenti diverse si fondono perfettamente.
E il dettaglio storico, accurato, sulla vita degli emigranti italiani in America ai primi del Novecento, oltre che sui luoghi di provenienza, sull’esistenza grama dei contadini di montagna, continua a riportare alla memoria, con forza, che l’invenzione può al massimo riguardare i dialoghi. Tutto il resto è specchio di vite realmente vissute.

 

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2006