Col tempo
questo incubatore
tecnico-scientifico è riuscito
ad attrarre molte aziende straniere, che hanno deciso di insediare
qui le proprie
succursali e i propri laboratori
di ricerca.
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In lingua cinese li chiamano hai gui, cioè rimpatriati
da oltreoceano. Ma la pronuncia suona esattamente anche come
tartarughe di mare (in inglese, sea turtles),
perciò è stata scelta questa espressione più
poetica per descrivere le migliaia di cinesi che, dopo aver studiato
e lavorato in America, sono tornati nella madrepatria per aprire
nuove attività e per fondare nuove imprese.
Sono proprio queste testuggini dagli occhi a mandorla ad aver contribuito
allo sviluppo veloce e poderoso della Zhongguancun, la versione
cinese della Silicon Valley californiana, dislocata nellarea
nord-ovest di Pechino, nel distretto di Haidian, non lontano dal
Palazzo dEstate degli antichi imperatori della dinastia Qing
e a quindici chilometri appena dalla celebre Piazza Tienanmen.
Nata come esperimento statale negli anni Ottanta, quando il governo
cinese decise di far le prove controllate delleconomia di
mercato, la Zgc (in questo modo viene chiamata più semplicemente
dagli occidentali) ha avuto il suo pioniere in Chen Chunxian. Nel
1980, ispirato da una breve visita alla Silicon Valley californiana,
lasciò il laboratorio di fisica nucleare allAccademia
delle Scienze per impiantare la prima organizzazione privata di
Pechino in ambito tecnico-scientifico.

Dopo di lui, assecondando la parziale apertura del pugno socio-economico
da parte del governo, studenti e docenti cominciarono a fondare
piccole società nei dormitori e nelle aule in disuso, con
la speranza di attrarre investitori stranieri e grandi aziende.
Nel 1988 nasceva così ufficialmente la Zhongguancun Science
& Technology Zone, il primo parco tecnologico a livello nazionale,
che decollò definitivamente con larrivo delle sea-turtles
provenienti dagli Stati Uniti, ricche di esperienze sul campo, ma
anche di capitali propri e di ventura.
Come Charles Zhang, che dopo essersi laureato al Mit, nel 1994 tornò
in Cina per lanciare, con un centinaio di migliaia di dollari, Sohu.com,
il portale Internet, con servizi che vanno dalle agenzie immobiliari
virtuali ai giochi di ruolo on line, e oggi vale 500 milioni di
dollari; o come Ying Wu, che dopo essere sbarcato negli Usa nel
1985 con ventisette dollari in tasca, essersi laureato al New Jersey
Institute of Technology e aver lavorato come senior manager presso
i mitici Bell Labs della AT&T, tornò a Pechino per fondare
la UTStarcom, definita oggi da Finance Asia una delle dieci più
importanti aziende di telecomunicazioni del continente asiatico.
Un flusso letteralmente esplosivo: già nellormai lontano
2002 le tartarughe di mare rimpatriate avevano fondato
circa 1.900 nuove imprese.
Allinizio cè stato chi dubitava che uniniziativa
partita e promossa dallo Stato potesse dare dei frutti, ma era sfiducia
mal riposta. Oggi la Zgc, oltre a trentanove istituti accademici
scientifici e 213 centri di ricerca, vanta la più alta concentrazione
di aziende hi-tech del Paese: 14 mila imprese nel settore dellinformation
technology, così come nel biomedicale e nel biotech, che
danno lavoro a mezzo milione di persone, di cui 100 mila sono ricercatori
e scienziati, con unetà media di 29 anni.
Nel 2005 hanno generato introiti per 480 miliardi di yuan (48 miliardi
di euro), «il 97,1 per cento in più rispetto allanno
precedente», come riferisce un blog statunitense interamente
dedicato alle evoluzioni della Zgc. Aziende piccole, medie e grandi,
tutte impegnatissime a fare concorrenza alle varie Silicon Valley
del mondo, da quella californiana della Bay Area a quella indiana
di Bangalore.
È qui che sono nate alcune stelle nel firmamento dellhi-tech
made in China, come Legend (oggi nota come Lenovo, il maggior produttore
cinese di Pc, recente acquirente della divisione computer di Ibm),
ma anche Stone e Founder, nata sotto lala delluniversità
di Pechino e creatrice del primo sistema di composizione a laser
degli ideogrammi. È sempre qui che hanno preso vita megagruppi
oggi in testa nella corsa a Internet, come Sina (il primo portale
nazionale come numero di utenti) e Baidu (il più celebre
motore di ricerca cinese); oppure nei videogames, come Ourgame.com
(70 milioni di registrazioni e picchi di 600-800 mila giocatori
impegnati contemporaneamente on line). «Non a caso le aziende
che operano nella Zgc detengono il 40 per cento del mercato nazionale
legato alle applicazioni software e il 50 per cento del mercato
dei computer», dice Adam Segal, autore di Digital Dragon:
High Technology Enterprises in China.
Inizialmente, le start-up nate fra le strade polverose di questo
distretto suburbano ad alto tasso di cervelli erano tutte made in
China e pescavano neolaureati dai due vicini colossi accademici,
lUniversità di Pechino e la prestigiosa Tsinghua University,
che ogni anno apre le porte solo a duemila nuovi selezionati fra
i sette milioni che sostengono gli esami di ammissione. Un binomio
che sembra replicare laccoppiata vincente californiana, con
le università di Berkeley e di Stanford, pronte a sfornare
materia grigia per la Valle. Tantè vero
che col tempo questo incubatore tecnico-scientifico è riuscito
ad attrarre molte aziende straniere, incluse multinazionali come
Microsoft, Sun Microsystems, Intel, Siemens, Mitsubishi, Nokia,
Motorola, che hanno deciso di insediare qui le proprie succursali
e i propri laboratori di ricerca e sviluppo. Negli ultimi dieci
anni il processo di crescita della Zgc è stato addirittura
frenetico. Interi palazzi di vetro e acciaio sono sorti come funghi
nel giro di brevissimo tempo, ridisegnando il profilo dellarteria
principale, la Zhongguancun Electronics Street, lunga dieci chilometri.
In pratica, unintera città si è sviluppata,
e continua ad espandersi intorno alle prime start-up e ai vecchi
edifici universitari, riposizionati in questa zona della città
negli anni Cinquanta per creare una piccola Cittadella della Scienza,
ad emulazione del modello sovietico. «E pensare che proprio
qui venne messo a punto nel 1977 il primo prototipo di microcomputer,
addirittura quattro anni prima che Ibm decidesse di entrare nel
mercato dei Pc», racconta con rammarico Jingjing Zhang, ricercatore
cinese presso il Georgia Institute of Technology, «ma allora,
prima della svolta riformista di Deng Xiaoping, la maggior parte
dei prototipi che uscivano dai nostri laboratori di ricerca e sviluppo
rimaneva tale e non raggiungeva nemmeno i test di prodotto per colpa
della rigida pianificazione centrale».
«Dal 1950 al 1978 lAccademia cinese delle Scienze, che
era proprietaria di tutti i brevetti, non vendette nemmeno un prodotto»,
sostiene Segal, «ma dallinizio delle riforme oltre 40
mila prodotti sono passati in mani private per essere immessi sul
mercato». Ora in Electronics Street e nei grandi outlets adiacenti
si trova la maggior concentrazione di apparecchi di elettronica
dellintera Cina, dai cellulari alle videocamere professionali,
a prezzi imbattibili. È bastato togliere il tappo per dare
la stura allenergia repressa per tanto tempo: «A dispetto
di decenni di maoismo e comunismo, i cinesi restano imprenditori
nati, natural born entrepreneurs», si sostiene nella californiana
Silicon Valley. «Anche nei primi anni Ottanta, quando liniziativa
privata era stata solo in parte legalizzata a titolo di prova, si
respirava spirito imprenditoriale ovunque. Sebbene non fosse ancora
chiaro cosa fosse permesso, i venditori di strada arrivavano a sciami
dalle periferie e aprivano piccoli banchetti fin sotto ai fucili
della Guardia Rossa. Ora lo spirito imprenditoriale cinese è
irrefrenabile».
La Chinese Valley è ormai una punta di diamante della ricerca
anche in settori quali le biotecnologie, la biomedicina e i nuovi
materiali, sostiene Henry S. Rowen, docente emerito alla Stanford.
«Laggiù in questi tempi fanno sul serio: progettano
il futuro» . E che ci provino è fuor di dubbio, come
lascia intuire la grande scultura al centro del parco intorno al
quale sono sorti negli ultimi ventanni i vari edifici della
Zgc: unenorme doppia elica del Dna.
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