Fino a tempi
abbastanza recenti, lEuropa era il centro che faceva del resto
del
pianeta una
periferia.
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Oggi il nostro pianeta non è accogliente per lEuropa.
Noi europei viviamo questa scarsa accoglienza come un problema,
cioè come una deviazione da ciò che ci si potrebbe
legittimamente aspettare, unanomalia che è necessario
rimettere a posto. Dico rimettere, perché in
passato, presumibilmente, ci sentivamo chez nous sul pianeta: pensavamo
che la sua accoglienza nei confronti nostri e delle nostre audaci
imprese ci spettasse per diritto, e davamo per scontato che quel
sentirsi a casa nostra sarebbe durato come se fosse
nellordine naturale delle cose. Lospitalità veniva
talmente naturale da non balzarci mai allocchio come un problema
che richiedesse una particolare attenzione.
Ryszard Kapuscinski fa notare un cambiamento molto gravido di conseguenze,
ancorché surrettizio e sotterraneo, intervenuto nellumore
del pianeta. Nel corso degli ultimi cinque secoli, il dominio militare
ed economico dellEuropa ha teso ad essere accompagnato dalla
posizione indiscussa dellEuropa stessa come punto di riferimento
per giudicare, esaltare o condannare tutte le altre forme, passate
e presenti, di vita umana, e come tribunale supremo in cui tali
giudizi venivano autorevolmente pronunciati e resi vincolanti.
Era sufficiente essere europei, dice Kapuscinski, per sentirsi padroni
e dominatori in ogni altro luogo. Persino una persona mediocre,
di umile condizione e di reputazione discutibile nel suo Paese natale
(purché europeo!), poteva assurgere ai massimi livelli della
società non appena sbarcata in un Paese come la Malaysia
o lo Zambia... Ma ora, osserva, non è più così.

Lepoca attuale è contraddistinta dallautoconsapevolezza
sempre più sicura di sé e più esplicita da
parte di popoli che, appena mezzo secolo fa, si genuflettevano ancora
dinanzi allaltare di culti cargo, mentre oggi dimostrano un
senso sempre più marcato del proprio valore, e unambizione
sempre più evidente di conquistare e conservare un ruolo
indipendente e di peso in questo nuovo mondo, sempre più
policentrico e multiculturale. Un tempo, chiunque abitasse una contrada
lontana poneva domande sullEuropa, mentre adesso non lo fa
più nessuno. Oggi i nativi hanno compiti e problemi
loro, che esigono la loro attenzione, e soltanto questa. Nessuno
sembra più attendere con impazienza notizie dallEuropa.
Che cosa mai potrebbe accadere in Europa che possa cambiare qualcosa
nella loro vita? Eventi davvero significativi possono verificarsi
ovunque: lEuropa non è più un luogo preferenziale.
La presenza europea è sempre meno visibile: sul
piano fisico, come su quello spirituale.
Ma nel pianeta è intervenuto anche un altro profondo cambiamento
che ci rende apprensivi e che ci mette a disagio. Oggi il vasto
mondo là fuori (allaltro capo di un volo
a lungo raggio da Roma, Londra, Parigi e Amsterdam) ci appare di
rado, per non dire mai, come un parco giochi, un territorio avventuroso,
irto di sfide emozionanti, ma sicuro con un lieto fine certo e garantito.
A meno che il volo in questione non rientri in uno di quei pacchetti
vacanze tutto compreso, che ci conducono nelle località preferite
dai turisti, i luoghi che si trovano allaltro capo
ci appaiono più come un deserto disseminato di pericoli non
detti e indicibili, un po come le zone interdette, no-go,
off-limits, che gli antichi romani contrassegnavano sulle loro mappe
del mondo con la scritta Hic sunt leones...
Questo è un grande cambiamento: è abbastanza scioccante
e traumatico da mandare in pezzi la sicurezza di sé, il coraggio
e lardimento degli europei.
Effettivamente, fino a tempi abbastanza recenti (i più anziani
fra noi li ricordano ancora), lEuropa era il centro che faceva
del resto del pianeta una periferia. Nella brillante formulazione
di Denis de Rougemont, lEuropa ha scoperto tutte le terre
della Terra, ma nessuno ha mai scoperto lEuropa: essa ha dominato
tutti i continenti, uno dopo laltro, ma non è mai stata
dominata da alcuno di essi; e ha inventato una civiltà che
il resto del mondo ha tentato di imitare, mentre non è mai
avvenuto (almeno finora) il processo inverso. Potremmo aggiungere:
le guerre degli europei, e soltanto quelle, sono state guerre mondiali.
Fino a tempi abbastanza recenti, lEuropa si poteva ancora
definire come Rougemont suggeriva non molto tempo fa, vale a dire
in base alla sua funzione globalizzante. Per gran parte
dei suoi ultimi secoli, lEuropa è stata un continente
diverso da tutti gli altri per la sua natura singolarmente avventurosa.
Infatti, dopo essere stata la prima ad abbracciare lo stile di vita
che successivamente è stato etichettato come moderno,
lEuropa ha creato localmente problemi che nessuno al mondo
aveva mai sentito nominare e che nessuno aveva la minima idea di
come risolvere. Ha anche inventato il modo di risolverli, sebbene
si trattasse di un modo inidoneo ad essere universalizzato e utilizzato
da tutti coloro che sono stati investiti da questi problemi originariamente
europei.
LEuropa ha risolto i problemi da essa stessa creati trasformando
altre parti del pianeta in fonti di energia o di minerali a basso
prezzo, di manodopera poco costosa e docile, e in discariche per
i suoi prodotti (e i suoi abitanti) ridondanti e in sovrappiù.
In sintesi, lEuropa ha inventato soluzioni globali a problemi
prodotti localmente, e ciò facendo, con la pratica, ha costretto
tutti gli altri a ricercare, disperatamente e invano, soluzioni
locali ai problemi prodotti globalmente.
Adesso tutto questo è finito: di qui lo shock e il trauma,
lansia e la perdita di fiducia. È finito perché
le soluzioni globali ai problemi prodotti localmente sono disponibili
soltanto per pochi abitanti del pianeta, e solo finché questi
godono di un privilegio di potere sul resto, in quanto beneficiano
di un differenziale di potere abbastanza cospicuo da restare indiscusso
(o, almeno, messo in discussione in modo inefficace) e ritenuto
indiscutibile, e che costituisce perciò un fondamento apparentemente
affidabile e rassicurante per un futuro lungo e sicuro. Ma lEuropa
non gode più di tale privilegio, né può seriamente
sperare di recuperare ciò che ha perduto.
Di qui, un brusco calo della sicurezza di sé dellEuropa,
la subitanea esplosione di un acuto interesse per una nuova
identità europea e per una ridefinizione del
ruolo dellEuropa nel gioco planetario, in cui le regole
e le poste sono drasticamente cambiate e continuano a cambiare,
sebbene non siano più sotto il controllo dellEuropa,
anzi subiscano un influsso tuttal più minimo da parte
sua.
Di qui anche unondata di sentimenti neotribali che singrossa
da Copenhagen a Roma e da Parigi a Praga, amplificata e alimentata
da allarmi e timori per il nemico alle porte e per le
quinte colonne, e dallo spirito da fortezza assediata
che ne consegue e che si manifesta nel rapido aumento di popolarità
delle frontiere strettamente sorvegliate, dei muri rialzati e dei
cancelli sprangati.
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