Date le premesse, prevedere o solo immaginare
soluzioni radicali
e rapide non
sarebbe realistico e nemmeno serio.
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Il 2007, cinquantesimo dalla firma dei trattati di Roma, anno europeo
delle pari opportunità, quasi certo momento di crescita della
famiglia comunitaria da 25 a 27 membri, potrebbe essere, per lUnione,
un grande anno, lanno della resurrezione del processo dintegrazione
entrato in grave crisi nel 2005 con i referendum (francese e olandese)
che bloccarono la corsa del progetto di Costituzione.
Le premesse favorevoli non sono poche e almeno secondo gli
eurottimisti sembrano avere un notevole peso. A Berlino,
dove il 25 marzo i capi di Stato e di governo dei 25 Paesi membri
e dei 2 Paesi candidati (Bulgaria e Romania) si riuniranno per celebrare
il mezzo secolo della Comunità, nata con i trattati di Roma,
non ci sarà soltanto la solenne, commossa celebrazione di
un momento importante, forse il più importante della storia
dellintegrazione europea. Verrà annunciato e festeggiato
lallargamento della famiglia comunitaria, la crescita dei
suoi membri da 25 a 27, laumento dei suoi cittadini da 453
milioni a poco meno di mezzo miliardo. Se ci saranno, come tutti
si augurano, i primi risultati positivi dellazione di pace
che, su mandato dellONU, molti Paesi dellUnione stanno
conducendo in Libano, si prenderà atto e è
da ritenere con generale soddisfazione, dellutilità
del primo esperimento di politica internazionale comune realizzato
in cinquantanni. Si elaborerà infine una dichiarazione
sottoscritta dai rappresentanti dei 27 Paesi, in cui non ci si limiterà
ad approvare il passato e il presente, ma ci si impegnerà
per il futuro. Limpegno per il futuro, se tutto andrà
per il verso giusto, sarà la resurrezione e il rilancio dellintegrazione
da realizzare, tra laltro, portando sul traguardo, e in tempi
non biblici, la Costituzione europea.

Sarà davvero possibile questa conclusione, che potrebbe
fare del 2007 un grande anno europeo? Il momento, e lo spirito che
laccompagna o dovrebbe accompagnarlo incoraggiano
un moderato ottimismo: che è sostenuto anche dalla suggestione
che alcuni luoghi e persone dovrebbero esercitare. Berlino, sede
del vertice del cinquantesimo, fu la capitale di una sanguinaria
dittatura che tentò di soggiogare lEuropa e gli europei
con le armi e la prepotenza e oggi è la capitale di uno dei
Paesi che più hanno lavorato per unire gli europei con la
certezza della pace e la volontà di collaborare tra di loro.
La riunione sarà presieduta da uno statista, il cancelliere
Angela Merkel, che da sempre, come i suoi predecessori del dopoguerra,
da Adenauer in poi, è in prima fila nella battaglia per lintegrazione
e può contare sullalleanza con un buon numero di altri
leader europei ad esempio, il Presidente del Consiglio italiano,
Romano Prodi, che per cinque anni è stato Presidente della
Commissione europea come lei determinati a mettere in archivio
la crisi del 2005, lanno terribile dellEuropa.
Questo ragguardevole insieme di circostanze e posizioni favorevoli
non basta tuttavia a dare la certezza sullesito del risultato.
I nostalgici del 2005 sono ancora numerosi e agguerriti, come confermano
recenti proposte e ipotesi francesi, chiaramente dirette, nonostante
gli equilibrismi dialettici, ad affossare definitivamente il progetto
di Costituzione e a imporre allintegrazione un mortificante
e per molti inaccettabile passo da lumaca.
Il rischio di una dichiarazione finale fatta di uno spreco di parole
generiche, somma di compromessi che bene che vada consentano rinvii
sine die, sarà dunque sicuramente in agenda a Berlino. Gli
uomini e le donne che il 25 marzo chiederanno il semaforo verde
per lintegrazione e la Costituzione potranno, però
sempre che lo vogliano ricorrere a una sorta di asso
pigliatutto.
Questasso è lultima prodezza dellEuropa
utile alla quale, da qualche anno, su queste pagine, dedichiamo
la nostra attenzione. LEuropa utile, cioè linsieme
delle iniziative comunitarie per migliorare le condizioni di vita
dei cittadini dellUnione, ha scelto proprio il 2007 come data
di partenza per quella che finora è forse la sua impresa
di maggiore dimensione e significato: uno stanziamento di 308 miliardi
di euro da spendere, dal 2007 al 2013, per finanziare la politica
europea di coesione, cioè per ridurre i dislivelli economici
tra zone prospere e zone in fase di sviluppo, per favorire loccupazione
e migliorare la formazione professionale, per incrementare la ricerca
e per molto altro ancora, con lo scopo di permettere ovunque alla
società europea un progressivo salto nella qualità
delle condizioni di vita dei cittadini.
Nonostante limponenza della somma, questa iniziativa è
stata definita inadeguata da un buon numero di deputati europei
e ci sono dati che confermano la fondatezza del rilievo. Secondo
una ricerca della Commissione europea, i lavoratori non specializzati,
tra i quali cè, proporzionalmente, il maggior numero
di disoccupati, sono arrivati, nellUnione, a 80 milioni. Dotare
tutti loro, o gran parte di essi, di una buona formazione professionale
e facilitare il loro ingresso (o ritorno) nel mondo del lavoro richiede
una spesa da capogiro.

Enormi sarebbero anche i finanziamenti necessari per la soluzione
di altri problemi, come i seguenti, recentemente segnalati in una
dichiarazione da Danuta Hubner, commissario europeo per la politica
regionale: a) il 10 per cento della popolazione che risiede nelle
zone più povere incide soltanto in misura dell1,5 per
cento sul prodotto interno lordo di queste stesse zone; b) in 47
delle 254 regioni dellUe la spesa destinata alla ricerca e
allo sviluppo è inferiore allo 0,5 per cento, mentre la media
dellUe è del 3 per cento.
Date le premesse, di cui nelle dichiarazioni della Hubner si fornisce
solo un limitato numero di esempi, prevedere o solo immaginare soluzioni
radicali e rapide non sarebbe realistico e nemmeno serio. È
invece realistico e serio e grazie non a speranze ma ai dati
sullesito di precedenti interventi della politica di coesione
(su cui daremo qualche particolare tra poco) prevedere, non
solo immaginare, interessanti risultati intermedi in un vicino futuro
e un accorciamento sostanziale dei successivi tempi di attesa di
un bilancio positivo finale.
Dei 308 miliardi che costituiscono il totale del pacchetto delle
misure per la politica di coesione sociale nel periodo 2007-2013,
l81 per cento andrà per lObiettivo Convergenza,
cioè a favore di 84 regioni in cui 154 milioni di abitanti
hanno un Pil pro-capite inferiore al 75 per cento della media europea
e di 16 regioni, con una popolazione di 16,4 milioni di abitanti,
in cui il Pil supera di poco la soglia prima indicata (75 per cento
della media comunitaria), unicamente per gli effetti statistici
dellUnione allargata.
Il grosso, oltre quattro quinti, sarà quindi unoperazione
di pronto soccorso di cui beneficeranno, in misura maggiore, i Paesi
appena entrati nellUnione, o in fase dingresso (alla
Polonia ad esempio andranno circa 59 miliardi, allUngheria
20, alla Romania 17, alla Repubblica Ceca 23, alla Slovacchia 9,600,
alla Bulgaria 5,800), senza tuttavia ignorare le esigenze di zone
e settori in difficoltà dei Paesi considerati più
prosperi. Nel caso che ci riguarda più da vicino, quello
dellItalia, per gli stanziamenti Obiettivo Convergenza a nostro
favore sono previsti circa 19 miliardi.
Oltre alle spese per lObiettivo Convergenza (complessivamente
251 miliardi), il piano per la politica di coesione 2007-2013 stabilisce
altri interventi per favorire la crescita delloccupazione
e della formazione professionale, il miglioramento e il rafforzamento
delle collaborazioni transfrontaliere e tra le varie regioni, la
ricerca, la competitività tra le amministrazioni locali:
altri 57 miliardi, per un totale di 308 miliardi.
Quali utili ci si attendono da questo colossale investimento, il
maggiore, finora, della politica di coesione europea? In generale,
una riduzione del dislivello tra zone avvantaggiate e zone svantaggiate
economicamente, con crescite particolarmente apprezzabili (dal 7
al 12 per cento del Pil) nei nuovi Stati membri dellEuropa
centro-orientale. Poi successi sensibili nella lotta alla disoccupazione.
Si parla della creazione di 2 milioni e mezzo di nuovi posti di
lavoro. Poi lapertura di nuove vie di comunicazione, di passi
da gigante nella diffusione e nelluso delle più recenti
tecnologie. E tanto altro.
Sembrano promesse da prendere in seria considerazione? I precedenti
inducono a rispondere affermativamente. Dal 1988 a oggi lUnione
ha investito 480 miliardi di euro per la politica di coesione. La
somma, pur essendo notevole, è proporzionalmente inferiore,
considerando il periodo coperto, a quella di 308 miliardi stanziata
con il piano 2007-2013. Eppure, grazie ad essa, è stato possibile
conseguire i seguenti risultati:
a) il divario tra le regioni più povere e la media Ue si
è ridotto di un sesto e in qualche Paese si sono ottenuti
risultati ancora più apprezzabili (nel periodo 1989-1999
laumento del Pil per effetto della politica di coesione è
stato dell8,5 per cento in Portogallo e del 10 per cento in
Grecia;
b) nello stesso lasso di tempo lIrlanda è passata dalla
condizione di Paese povero alla condizione di Paese prospero (tanto
è vero che non riceverà un solo centesimo dei 251
miliardi stanziati per lObiettivo Convergenza per il periodo
2007-2013);
c) il sistema di comunicazioni interne spagnole è stato letteralmente
rivoluzionato, grazie ai fondi Ue, con la moltiplicazione di strade
e autostrade, listituzione di unefficiente rete di mezzi
di trasporto urbano e di treni ad alta velocità, permettendo
facili e rapidi collegamenti con ogni parte del Paese e unimpennata
delle presenze turistiche, fonte primaria delleconomia nazionale;
d) massicci afflussi di denaro europeo per la sostituzione di mezzi
di trasporto urbani inquinanti e per la depurazione delle acque
fluviali hanno ridato limpidezza a cieli e a corsi dacqua
in Grecia, Polonia, Lituania, Estonia;
e) in Finlandia, in Francia, Germania, Irlanda e Svezia sono stati
promossi e in numerosi casi realizzati sempre grazie alla
politica di coesione poli e imprese di alta tecnologia.
Non è poco. Ma potrà essere di più con i 308
miliardi del piano 2007-2013.
Lultima impresa dellEuropa ha dunque quanto basta e
avanza per rappresentare al vertice di Berlino, in caso di bisogno,
lasso pigliatutto, il colpo di grazia alle resistenze e alle
manovre dilatatorie dei governi e delle forze politiche che vorrebbero
rendere permanente la crisi del 2005. A condizione che di questa
carta sia reso evidente e ampiamente pubblicizzato il peso politico,
siano cioè impiegate nelle dichiarazioni e, se possibile,
con il sostegno dei principali mezzi di comunicazione, la convinzione
e lenfasi che sono assolutamente necessarie per ottenere la
vittoria e che, del resto, in un certo senso, i trattati istitutivi
dellUnione europea rendono obbligatorie imponendo ai governi
nazionali di dare la massima evidenza e pubblicità possibili
ai benefici che i cittadini ottengono dagli interventi comunitari.
Giocata la partita di Berlino, speriamo con esito favorevole, lEuropa
utile della politica di coesione dovrà poi mettersi al lavoro
per realizzare al meglio i suoi impegni per migliorare le condizioni
di esistenza nella società europea e, se sarà possibile,
anche per dare ulteriori contributi al processo dintegrazione.
Una serie di correzioni, di aggiustamenti, anche di ripensamenti
permetterà di ottimizzare la marcia verso i prossimi obiettivi.
Nella sua straordinaria e rigogliosa crescita lEuropa utile
ha ottenuto, comè stato, crediamo, documentato su queste
pagine, grandi, enormi successi che le hanno fatto guadagnare un
alto numero di consensi. Sia pure raramente, le è accaduto
però anche di impantanarsi in errori, imperfezioni, piccoli
fallimenti e delusioni che hanno, sia pure eccezionalmente, appannato
la sua immagine.
In progress, mentre i lavori per la crescita dellEuropa utile
continuavano il loro corso, i fatti e gli atti oggetti di spesso
(non sempre) giustificate critiche si sono progressivamente ridotti
di numero e di spessore. Ma talvolta, per responsabilità
delle istituzioni europee, di governi, regioni e altre amministrazioni
locali, si verificano ancora.
Guardando ai casi nostri, ad esempio, sono ben 239 le procedure
aperte nei confronti dellItalia dalla Commissione europea
per mancata applicazione del diritto comunitario e per mancato recepimento
di direttive europee. Situazioni di questo genere, che si ripetono
purtroppo in altri Paesi, costano ritardi se non lannullamento
di interventi dellUnione, in qualche caso procedimenti presso
la Corte di Giustizia, con la perdita di altro tempo e denaro (tra
laltro per le penalità che possono essere inflitte
agli inadempienti).
Non siamo più agli eclatanti e scandalosi episodi verificatisi
alcuni anni fa, quando parecchie centinaia di miliardi destinati
a diversi Paesi dellUnione, tra cui lItalia, andarono
letteralmente in fumo per errori e ritardi sia delle istituzioni
europee sia dei governi nazionali e delle amministrazioni locali.
Ma il problema, come dice il dato prima riferito, quello delle 239
procedure aperte nei confronti dellItalia, è ancora
lontano dalla soluzione.
Meno male che per avvicinarlo sempre di più alla soluzione
tutte le parti interessate si sono messe seriamente al lavoro, come
sembrano confermare una serie di recenti iniziative in gran parte
dirette a ridurre e a rendere più facilmente comprensibili
e applicabili le procedure che regolano i due binari (quello delle
istituzioni europee e quello gestito dai governi nazionali e dalle
amministrazioni locali) sui quali viaggia la collaborazione tra
i vari soggetti interessati.
Ecco, in proposito, le novità più recenti, tra cui
una, secondo noi di particolare interesse, made in Italy, più
precisamente made in Roma, a Palazzo Chigi.
La Commissione europea ha di recente annunciato di avere semplificato
e alleggerito le procedure che via Bruxelles-capitali nazionali-capoluoghi
regionali e viceversa consentono lapertura, lesame e
le decisioni sulle richieste per ottenere i finanziamenti previsti
dal Piano di Coesione. Tre nuovi strumenti di ingegneria finanziaria
faciliteranno questo dialogo-collaborazione: Jaspers
(per lassistenza a progetti in regioni europee); Jeremie
(per lutilizzo delle risorse disponibili per piccole e medie
imprese); Jessica (per assistenza alle iniziative per
lo sviluppo sostenibile delle aree urbane). Chi fosse interessato
a sapere qualcosa di più oltre agli scarni titoli da noi
forniti può rivolgersi a: http//:ec.europa/regional.policy.
E per finire, unocchiata alloggetto nostrano: il CIACE
(Centro Interministeriale per gli Affari Comunitari). Nato con una
legge di un anno fa è, si può dire, una sorta di navigatore
che assiste e consiglia uomini e istituzioni che in Italia si occupano
dellEuropa, della sua politica, anche dei suoi benefici accompagnandoli,
quando è necessario guidandoli, nei meandri degli organi,
dei meccanismi, delle leggi e delle regole dellUnione europea.
È stato definito una sorta di «cabina di regia e di
monitoraggio» del rapporto Italia-istituzioni europee. Secondo
Emma Bonino, ministro per le politiche europee, il Centro
che ha sede presso la Presidenza del Consiglio svolge un
lavoro della massima importanza «data la crescente complessità
delle tematiche trattate a livello europeo, la molteplicità
degli interlocutori, lesigenza dintervenire tempestivamente
nel processo decisionale, la necessità di definire una strategia
negoziale complessiva stringendo alleanze con gli altri partners».
Se come navigatore europeo dellItalia funzionerà
al meglio, il CIACE potrebbe forse evitarci la ripetizione di problemi
come quelli che ci sono costati le 239 procedure aperte dalla Commissione
europea nei confronti del nostro Paese. Sarebbe uno straordinario
risultato. Speriamo che sia davvero possibile.
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