Tema ricorrente nei suoi scritti
è la denuncia
dei monopoli
privati, e di ogni tentativo delle
imprese private
di introdurre
restrizioni
di mercato.
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Luigi Einaudi ebbe vita lunga e attivissima. Quando pubblicò
i primi saggi, nel 1893, Giuseppe Verdi aveva appena ultimato il
Falstaff; quando morì, a 87 anni, Federico Fellini
aveva appena impressionato il pubblico italiano con La dolce
vita.
Figura di assoluto rilievo nella vita pubblica nazionale, Einaudi
credette fermamente nellinterazione tra i circoli intellettuali
italiani, europei e americani. Fu amico di personaggi quali Hayek,
Huizinga e Röpke; ebbe un ruolo fondamentale nella traduzione
in italiano di molti autori, tra cui Beveridge; e svolse unintensa
attività di consulente per la Fondazione Rockefeller, con
grande beneficio per molti giovani italiani, che poterono studiare
presso le università britanniche e americane anche durante
il periodo fascista. Per tre decenni fu corrispondente dellEconomist
dallItalia: fu dunque anche attraverso i suoi occhi che politici
e uomini daffari di tutto il mondo percepivano le questioni
italiane.
In un famoso scritto, Einaudi celebrò la «bellezza
della lotta»: lotta pacifica, sintende: tra persone,
idee e operatori di mercato; anche tra classi sociali. Lo sforzo
individuale e collettivo, la concorrenza, generano progresso; la
regolamentazione eccessiva, il collettivismo forzato, la pianificazione
dallalto lo ostacolano. Egli vedeva con favore qualunque provvedimento,
regola o istituzione che fosse volta a promuovere la creatività
umana; ma qualsiasi istituto giuridico, o daltra natura, che
rischiasse di bloccare deliberatamente o meno levoluzione
della società imbrigliando liniziativa umana, era per
lui occasione per le sue analisi accurate e pignole; finiva sempre
per metterne in evidenza tutti i limiti e i problemi. Sostenne e
difese lidea di un sistema giuridico basato su poche, semplici
leggi e sulla loro rigida applicazione.

Nonostante la sua grande autorevolezza intellettuale, non riuscì
sempre, e forse nemmeno spesso, a persuadere i legislatori e i policymaker
del suo tempo. Per quasi tutta la vita, la sua fu la voce di una
minoranza: rispettata, ma minoranza. In molti casi, la giustezza
delle sue posizioni è stata riconosciuta più tardi.
Ma la lezione è stata compresa solo a metà; in larga
misura il pensiero di Einaudi è oggi attuale quanto ai suoi
tempi. In gran parte dellEuropa continua ancora lillusoria
ricerca della regolamentazione perfetta e del piano perfetto.
Sebbene fermo nelle sue convinzioni fondamentali sul liberalismo
economico e politico, Einaudi non fu un dogmatico; per quel che
riguarda il libero mercato, la sua posizione può essere descritta
come quella di un ottimista, non di un ingenuo. Chiarì che
vedeva lidea del laissez faire non tanto come
un principio scientifico inequivocabilmente dimostrato, quanto come
una norma insegnata dallesperienza. Col tempo, gli sviluppi
delleconomia del welfare ci hanno resi più sensibili
alle esternalità e ai fallimenti del mercato di quanto lo
potesse essere Einaudi. Nondimeno, egli ebbe chiara consapevolezza
dellimportanza, per il buon funzionamento dei mercati, della
qualità del quadro giuridico e della regolamentazione. Credeva
profondamente nellidea di una parità dei punti di partenza,
e accettava che dovessero esservi forme di redistribuzione del reddito.
Scrisse che lesistenza di ostacoli allinnovazione (trincee,
così li definiva), benché ubiquitaria, in Italia era
molto più diffusa che altrove. Questi ostacoli assumono forme
molteplici: dazi doganali, norme che impediscono lentrata
di nuovi concorrenti nei mercati esistenti, leggi che pongono ostacoli
allintroduzione di prodotti innovativi, accordi di cartello
tra i produttori per limitare la concorrenza e linnovazione.
Tutto va a detrimento del consumatore. Tema ricorrente nei suoi
scritti è la denuncia dei monopoli privati, e di ogni tentativo
delle imprese private di introdurre restrizioni di mercato. Ma in
Italia per lui la fonte principale di restrizione nei mercati era,
in una forma o nellaltra, lo Stato medesimo; le posizioni
dominanti di molte imprese costituivano, in molti casi, il risultato
di normative restrittive.
Nel 1947, come membro dellAssemblea Costituente della Repubblica
di cui sarebbe poi divenuto il primo Presidente a pieno titolo,
Einaudi propose di inserire nella Costituzione una clausola anti-monopolio:
«La legge non è strumento di formazione di monopoli
economici; ed ove questi esistano li sottopone a pubblico controllo
a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta».
La sua proposta fu respinta con argomentazioni non convincenti;
una normativa nazionale antitrust arrivò molto dopo la morte
di Einaudi. Ma lalleanza tra corporazioni pubbliche e interessi
privati per creare privilegi ha perseguitato lItalia fino
ai nostri giorni.

Non mancò di estendere le sue convinzioni a favore del mercato
al settore bancario. In un articolo del 1935, egli manifestò
la propria sfiducia nei confronti delle opinioni di un personaggio
fittizio, che chiamò il razionalizzatore, secondo
il quale occorreva regolamentare minuziosamente dallalto lindustria
bancaria, giungendo fino a stabilire il numero preciso delle banche
sul mercato. Aveva anche scarsa simpatia per le numerose restrizioni
allattività bancaria (geografiche, settoriali, relative
alla tipologia di credito), che sarebbero rimaste in vigore fino
agli anni Novanta.
Per quanto riguarda la vigilanza bancaria, era favorevole a un approccio
flessibile piuttosto che a norme eccessivamente rigide e minuziose.
Scrisse che se la normativa regola troppo rigidamente, finisce con
lostacolare transazioni utili, ed è impotente a impedire
quelle pericolose. In questo modo di pensare si possono trovare
temi e orientamenti che sono stati presenti, a livello internazionale,
nellevoluzione dellattività di vigilanza in tempi
recenti.
In Italia, gran parte dellimpulso verso riforme orientate
al mercato è venuto nel corso degli anni dalle istituzioni
europee. LEuropa fu un tema ricorrente dei suoi scritti, fin
da unepoca assai precoce. Sostenne lidea di una federazione
europea subito dopo la Prima guerra mondiale. Dalle colonne del
Corriere della Sera, con lo pseudonimo di Junius, scrisse che la
Società delle Nazioni sarebbe stata inefficace perché
dipendeva troppo dalla buona volontà dei singoli Stati; perorò
la causa di una federazione delle nazioni europee.
Allepoca, questi scritti passarono virtualmente inosservati.
Tornò sullo stesso argomento verso la fine della Seconda
guerra mondiale. Quali devono essere i compiti di una federazione
europea? Su questo ebbe idee ambivalenti; gli argomenti contrastanti
che espresse ricordano certi temi del dibattito europeo di oggi.
Einaudi parla in modo chiarissimo dellurgenza di «unificare
alcune questioni economiche», tra le quali la moneta. Delegare
alla federazione la normativa sulla moneta e sui suoi sostituti
sembra indiscutibile, scriveva, (eppure, ci sono voluti 45 anni).
Elenca i vantaggi dellunione monetaria europea in termini
inequivocabilmente simili a quelli utilizzati nel dibattito sulleuro,
che ha avuto luogo quasi mezzo secolo dopo. Sostiene con vigore
che la principale virtù di ununione monetaria risiede
nel suo porre fine alla sovranità monetaria dei singoli Stati,
e ai relativi rischi di «falsificare la moneta», così
diceva, per mezzo dellinflazione o delliperinflazione.
Nel 1939 i pensieri di Einaudi sullEuropa trovarono due attenti
lettori che avrebbero poi avuto un ruolo chiave nel federalismo
europeo. Ernesto Rossi e Altiero Spinelli il primo amico
e studente di Einaudi, il secondo ex membro del partito comunista
erano stati imprigionati per dieci anni dal Governo fascista
e poi esiliati a Ventotene. Spinelli rimase immediatamente affascinato
dagli articoli di Junius; Rossi riuscì a fargli avere materiale
sul dibattito sul federalismo in Inghilterra, incluse le opere di
Lionel Robbins. Si può dire che Einaudi contribuì
indirettamente alla nascita nel 1941 del Manifesto di Ventotene,
una delle basi fondanti del movimento politico federalista europeo.
Anche se non avesse avuto alcun ruolo di policymaker,
Luigi Einaudi verrebbe ricordato come un grande comunicatore ed
educatore. In realtà, anche i successi che conseguì
nella sua attività al servizio dello Stato furono in parte
non piccola dovuti al suo modo chiaro ed efficace di scrivere e
parlare in pubblico. Il suo stile di comunicazione franco e diretto,
la sua scelta di spiegare, con linguaggio semplice, le decisioni
di policy in uno specifico capitolo della Relazione
annuale della Banca dItalia le Considerazioni finali
da lui inaugurate costituirono un significativo passo in
avanti nella direzione di una maggiore accountability
nelle scelte di politica monetaria.
Sessantanni fa Einaudi parlò per lultima volta
come Governatore della Banca dItalia. Nella democrazia italiana
allora nuova, fu sotto la sua leadership che la Banca dItalia,
già unistituzione prestigiosa e rispettata, cominciò
ad assumere un ruolo speciale, forse unico tra le Banche centrali.
Un ruolo custodito da tutti i successori di Einaudi: quello di un
consulente indipendente e fidato del Parlamento, del Governo, della
pubblica opinione.
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