Per una società aperta
e competitiva
cè bisogno
di innovare nei contenuti della
politica, uscendo dal pantano
che ci obbliga
a galleggiare
tra patriottismo
di partito e oblio della nazione.
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«Colui che non prevede le cose lontane si espone a infelicità
ravvicinate». Dedichiamo questa massima di Confucio alle armate
della conservazione, ai nuovi gladiatori, custodi dei diritti
acquisiti. Il canovaccio non cambia. Con ogni maggioranza
di governo vince sempre il partito del rinvio, la vocazione a scaricare
sulla maggioranza di riserva lonere impopolare del cambiamento.
Impopolare per carenza di messaggio e di coinvolgimento.
Gli italiani della mia generazione hanno trascorso gran parte della
loro vita a confrontarsi e dividersi tra un Dio-Capitale e un Dio-Stato,
cercando di accaparrarsi una tranquilla collocazione nel conflitto
quotidiano tra le classi marxiste. Questo spartito è ingiallito
ma non defunto, scavalcato da un pluralismo borghese che essendo
chiamato ad elaborare nuovi punti di equilibrio tra welfare e workfare
usa ancora cornice politica, organizzazione e registri di comunicazione
ancien régime. Non cè più la guerra ma
neanche la pace, domina il cinico disincanto delle rivoluzioni mancate.
Senza martiri, senza eroi, senza fedeli. Le liberalizzazioni imposte
dalla globalizzazione hanno ibridato i motivi di divisione e annacquato
il confronto. Ma lo spartiacque resta quello di sempre: da una parte
i promotori di una volontà riformatrice, dallaltra
i sostenitori dellordine costituito che vedono in ogni tentativo
di mutamento un vulnus tecnico e giuridico, cioè un attacco
al feudo dei micropoteri.

Si usa dire che la società civile viaggia con passo più
spedito della società politica. Questo luogo comune trova
lultima smentita nelle grida manzoniane di tassisti, notai,
avvocati, farmacisti e altri aderenti a gruppi e ordini professionali.
Su questo nuovo e inedito fronte caldo lumore popolare resta
neutro, essendo tutti abituati a subire con distacco le anomalie
prodotte dalle logiche di apparato.
Se questo è il menu occorre lavorare parecchio per dare concretezza
alla mission impossible, alla necessità di creare le infrastrutture
del cambiamento superando lennesimo nulla di fatto. Il governo
ha provato a gettare un sasso nello stagno, ma si è trovato
subito sul tavolo un contenzioso insidioso. In termini di sistema,
gli ordini professionali sono corporazioni importanti sotto il profilo
organizzativo ma modeste rispetto ai potentati che gestiscono i
servizi pubblici essenziali (acqua, luce, gas, trasporti). Sono
il fiore allocchiello di una società parcellizzata,
la proiezione fedele di un centralismo interessato al controllo
di ogni interesse organizzato. Si capisce perché la decretazione
durgenza (un ukase a freddo) abbia prodotto effetti traumatici
introducendo nel sistema politico-istituzionale fantasmi lasciati
sempre fuori dalla porta.
In verità, bisogna ancora vederci chiaro. Bisogna capire
se liniziativa del governo è dettata da unesigenza
catartica dovuta a crisi di coscienza, con virata decisa verso schemi
organizzativi di società aperte e competitive, o se si tratta
di un semplice tassello della comunicazione per dare forza al messaggero
più che al messaggio.
Comunque, non si può chiedere improvvisamente di diventare
eretici agli iscritti e ai responsabili degli ordini professionali.
Il campanello dallarme dovrebbe però allertarli, portandoli
a fare qualche riflessione sul tasso di rendimento sociale dei loro
organi istituzionali.
La responsabilità distituto dovrebbe poi sollecitare
queste cittadelle ad aprirsi ad un forte dibattito interno per valutare
a mente fredda vantaggi e rischi di una navigazione in mare aperto.
Elaborando istruzioni per un ammaraggio morbido degli iscritti e
una sorta di agenda della pace da discutere con linterlocutore
politico. Potrebbero gestire in prospettiva importanti centri di
formazione, elevando il livello delle qualità professionali,
assumendo il ruolo inedito e prestigioso di key manager.

Manca la sensibilità per qualcosa che Guido Calogero chiamava
«civiltà del dialogo».
Linteresse del governo è un segnale importante se si
legge nella prospettiva di una svolta di costume. Perciò
ha destato la nostra curiosità, subito raffreddata da forti
perplessità di metodo. Lapproccio a questa riforma
(le altre sono meno visibili) risulta palesemente maldestro se ha
per obiettivo la rimozione di un simbolo dellItalia parcellizzata.
In una democrazia complessa i problemi di metodo sono questioni
di sostanza. Con lavvertenza che il mito della concertazione
non può essere applicato a senso unico, come una sorta di
sindacalizzazione permanente del percorso di formazione delle regole.
Nelle società competitive sono salvaguardati pluralismo e
autonomia degli attori sociali che li portano a costituirsi in lobby
(negli Usa non esiste la Confindustria-Sindacato come noi la conosciamo,
ma tante libere lobby industriali che fanno sentire la loro voce,
ma non hanno incidenza diretta sulle decisioni dellEsecutivo).
Il cambiamento resta stella polare di ogni strategia di governo
e pone tutti davanti ad un bivio. O viene imposto in modo ruvido
dalla esasperazione delle diseguaglianze, oppure viene pilotato
assicurando crescita, efficienza ed equità al sistema. Nel
contesto di un radicalismo economico globalizzato il fare
niente, immaginato con ottimismo, può condurre solo
ad un Paese più ricco, con gente più povera (accade
già con la delocalizzazione). Occorrono nuove sensibilità
non abituate agli alambicchi del collage, per una cabina di regia
coesa nelle finalità e nelle strategie.
A noi pare di vedere in ogni tentativo di nuovi percorsi politici
lipotesi di vecchie incrostazioni. Un esempio è dato
dalla voglia spasmodica di rivalsa. La regola Papa bolla,
Papa sbolla ha vissuto intimi travagli conciliari e prudenti
valutazioni di lungo periodo. Un segnale di continuità è
sempre manifestazione di maturità nellarte di governo.
Andrebbe valutato con attenzione dalle nostre truppe parlamentari,
facili prede del protocollo riforma/controriforma.
La pluralità degli interessi e dei centri di potere è
fuori discussione, è un dato fisiologico delle moderne democrazie.
Lanomalia italiana nasce dal fatto che il dato fisiologico
non coincide con quello funzionale, insidiando e rallentando sotto
ogni bandiera lazione di governo. La società civile
usa ancora il noi e il loro rendendo difficile
lapprodo a logiche razionali di comportamento dove il disincanto
non sia sinonimo di disimpegno.
Un altro esempio riguarda le difficoltà di comunicazione
e le metafore di effetto sullimmaginario. Un tema per linguisti
e cultori di semiologia. Imposte e tasse procurano afflizione e
senso dimpotenza, un impatto deprimente per il cittadino.
Lidea di un fisco tradizionalmente vessatorio potrebbe essere
sostituita da altre idee più educative. Si potrebbe parlare
di quote associative e si potrebbero costruire utili
relazioni tra ricchezza tassabile e impegno sociale (musei, sanità,
scuole, ecc.).
Per una società aperta e competitiva cè bisogno
di innovare nel linguaggio e nei contenuti della politica, degli
interessi e della solidarietà collettiva, uscendo dal pantano
che ci obbliga a galleggiare tra patriottismo di partito e oblio
della nazione.
Qualche animo nobile sostiene che per andare in questa direzione
si deve liberalizzare il bipolarismo, in vista di un cartello
civico che esprima una leadership con caratura diversa dallattuale
formula di concerto dei capipopolo. Non sappiamo se questa sia la
strada da battere. Possiamo solo testimoniare che nei salotti smart,
una sorta di Olimpo de noantri, frequentati da vogatori
della politica e da borghesi in blazer, trovi sempre un bue che
dà del cornuto allasino offrendo il brivido di una
mondanità di quartordine e la certezza di rissosità
e spaccature insanabili.
La modernizzazione può attendere se le riforme brillantemente
disegnate quando approdano in Parlamento (caso ancora raro) entrano
in groppa a un dromedario ed escono in groppa a un cammello. Non
a caso il pensiero sociologico ci cataloga tra i nuovi ultimi quando
studia lantropologia della globalizzazione. Sempre in bilico
tra peccato e santità, assimilati ai bari del Caravaggio
più che ai tranquilli paesani di Cézanne.
Il primato del cittadino-consumatore resta una conquista lontana
in una società in cui è più facile parlare
di marchi che di persone, di evasione fiscale più che di
erosione sociale. Far passare il messaggio di una natura plurale
e non corporativa dei gruppi organizzati che danno vita al mercato
e alle nostre istituzioni è compito della politica. Come
il chirurgo estetico che di fronte ad una bella donna segnata dal
tempo per avere successo deve trasformarsi in medico dellanima.
Nei corpi sociali un sentimento collettivo conta più delle
utopie politiche.
Ancora una volta ha ragione il saggio per il quale non contano le
carte che si hanno ma come si gioca la partita. Previsioni per il
futuro? Citiamo un pensiero che Norberto Bobbio era solito ripetere
spesso: «Non tutti gli ottimisti sono imbecilli, ma tutti
gli imbecilli sono ottimisti».
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