Per investitori ed esponenti politici, il pericolo
economico più
insidioso che corre oggi il mondo resta quello
di una ripresa
dellinflazione.
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Qual è la soluzione dellattuale paradosso di una crescita
accompagnata da bassa volatilità in una situazione di squilibri
globali? Sono due le risposte possibili. La prima è che le
regole delleconomia globale sono fondamentalmente mutate,
non per effetto di una qualche irenica riprogrammazione dellarchitettura
finanziaria internazionale, ma per effetto dei cambiamenti di rotta
delle politiche nazionali adottati sulla scia delle crisi finanziarie
del 1997-1998 in Asia. Questa è una tesi che assume diverse
forme.
Una variante, sostenuta da economisti come Michael Dooley, David
Folkerts-Landau e Peter Garber, suggerisce che siamo entrati in
una nuova era delle relazioni monetarie mondiali, unera che
i tre studiosi definiscono Bretton Woods 2, (anche se,
in realtà, le somiglianze con il sistema originale di Bretton
Woods, nato dopo il secondo conflitto mondiale, sono soltanto epidermiche).
Secondo loro, le economie dei Paesi in via di sviluppo si sono rese
conto che è troppo pericoloso fare affidamento sul capitale
estero per finanziare la propria industrializzazione, perché
ciò le rende troppo vulnerabili ai deflussi di capitale a
breve termine e alle crisi valutarie.
I Paesi in via di sviluppo attualmente puntano invece ai surplus
commerciali, e fanno ricorso a sistematici interventi valutari per
ancorare le proprie valute al dollaro a un tasso di cambio relativamente
favorevole, che faccia da stimolo allexport. Leffetto
è nello stesso tempo quello di rafforzare le esportazioni
delle economie asiatiche che adottano questa strategia, e di finanziare
il deficit delle partite correnti americane, che in effetti è
un corollario del tutto indispensabile della loro crescita stimolata
dalle esportazioni.

Una seconda variante è quella proposta in due diverse forme
da Ricardo Haussman e Richard Cooper. Secondo Haussman, il deficit
delle partite correnti, così come viene calcolato ufficialmente,
è una statistica fuorviante, perché apparentemente
in contraddizione con i dati delle variazioni dello stock di attività
e passività esterne. Haussman sostiene che gli Stati Uniti,
soprattutto quando effettuano investimenti esteri diretti, esportano
quantità non calcolate di materia oscura, che
potrebbe essere definita più prosaicamente know-how. Per
lAmerica, i profitti derivanti dallesportazione di metodi
gestionali sono molto alti: da volumi molto più contenuti
di investimenti esteri, gli Stati Uniti sono in grado di generare
gli identici profitti che gli stranieri ricavano da investimenti
molto più cospicui in attività americane.
Cooper sostiene una tesi analoga, affermando che gli Stati Uniti
sono tranquillamente in grado di finanziare un disavanzo, quale
risulta dai dati, tra il 6 e il 7 per cento del Prodotto interno
lordo, grazie ai numerosi benefici che offrono agli stranieri che
acquistano titoli in dollari, non da ultimo la sicurezza. Dal mio
punto di vista, sono convinto da tempo che gli Stati Uniti, nel
loro ruolo di impero globale dominante, siano in grado di gestire
indebitamenti colossali, mantenendo tassi dinteresse relativamente
bassi. Il fatto che le Banche centrali asiatiche siano disposte
a detenere grandi quantità di valuta denominata in dollari
e a basso rendimento può esser essere letto in termini simil-imperiali.
È una specie di tributo che la periferia paga
alla capitale dellimpero, non troppo diverso dalle tasse che
venivano corrisposte in passato alle autorità imperiali.
Visto dallalto, stiamo attraversando unepoca di impressionante
crescita degli investimenti esteri negli Stati Uniti. Le attività
controllate da stranieri negli Stati Uniti ormai superano, sommate
insieme, gli 11.600 miliardi di dollari (88 per cento del Pil),
per un passivo netto con lestero di 2.500 miliardi di dollari
(circa il 20 per cento del Pil).
Il significato di tutto questo può apparire abbastanza paradossale.
In sostanza, i risparmi dei cinesi e di altri popoli asiatici finanziano
i consumi statunitensi. Certo, il cinese medio è molto più
povero dellamericano medio: il reddito nazionale pro capite
in Cina è di circa 1.740 dollari, secondo la Banca Mondiale,
mentre lamericano medio ha un reddito annuo di 43.740 dollari,
venticinque volte di più. Ma lamericano medio non mette
da parte nulla, mentre il cinese medio risparmia circa un quarto
del proprio reddito. La logica, apparentemente perversa, del povero
che presta al ricco funziona per due motivi.

Il primo è che, considerando che gli interventi valutari
hanno finito col rallentare lapprezzamento della valuta cinese,
il flusso di fondi ha avuto come effetto di mantenere le esportazioni
cinesi verso gli Usa a livelli più alti di quelli che avrebbero
raggiunto in caso contrario. La strategia sta funzionando, dato
che il rapporto fra il reddito americano e quello cinese si è
fortemente ridotto, passando da 73:1 nel 1990 a 25:1 nel 2005.
Il secondo motivo, forse il più importante, è che
su questa strada il mondo riesce ad allocare il capitale in modo
più efficiente. Perché? In passato, quando i capitali
affluivano dai Paesi ricchi verso i Paesi poveri, spesso andavano
sprecati per via della corruzione nelle alte sfere e della mancanza
di trasparenza nel settore privato. Oggi, i capitali affluiscono
dai Paesi poveri verso i Paesi ricchi, finendo in investimenti relativamente
sicuri: titoli di Stato americani e società blue chip. Nello
stesso tempo, peraltro, il capitale affluisce dai Paesi ricchi verso
i Paesi poveri attraverso queste stesse società.
Laspetto che spesso viene trascurato è che una larga
fetta delle principali società americane, grazie agli investimenti
esteri diretti e alloutsourcing, hanno una presenza importante
nei Paesi emergenti dellAsia. Investire nelle aziende dello
S&P500, dunque, garantisce unesposizione indiretta ai
mercati emergenti, ma con i maggiori livelli di responsabilità
e di trasparenza tipici della corporate governance a stelle e strisce.
Altamente significativo, in questo contesto, è che il 63
per cento del recente incremento delle esportazioni cinesi sia da
ricondursi alla voce Imprese con presenza estera. Tra
queste imprese cè la Wal-Mart (colosso della distribuzione
Usa, N.d.R.) , che ha forti e crescenti insediamenti manifatturieri
nella Cina centrale.
Esiste una seconda spiegazione per il paradosso della crescita robusta,
accompagnata da bassa volatilità, in una situazione di squilibri
globali e di rischio politico. È la liquidità. I tassi
overnight sono aumentati, sicuramente, ma per le principali economie
mondiali rimangono significativamente al di sotto dellultimo
picco, che è stato raggiunto nel biennio 2000-01. Anche i
rendimenti obbligazionari sono più bassi dei livelli che
avevano raggiunto nel 2000, oscillano in un range del 4-5 per cento
nel caso dei T-bond decennali americani. La crescita dellofferta
di moneta, nelle sue accezioni più larghe, in generale rimane
vivace.
Il rilassamento delle condizioni monetarie chiarisce due cose. Innanzitutto,
spiega perché il mercato immobiliare americano abbia rallentato
senza subire un tracollo. In secondo luogo, una moneta relativamente
abbondante consente allinnovazione finanziaria globale di
proseguire a ritmi sostenuti, tanto da amplificare gli effetti di
liquidità. Lintermediazione finanziaria, secondo quasi
tutti i parametri, è a livelli da primato. Per questo motivo,
il pericolo economico più insidioso che corre oggi il mondo
resta quello di una ripresa dellinflazione. La sfida per gli
investitori e gli esponenti politici in questo anno sarà
capire quale sia il modo migliore per monitorare questo risveglio
dellinflazione.
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