Marzo 2007

Futuro dell’Europa

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Libera
dalla sindrome cinese
Giordano Carena  
 
 





Quel che sta
accadendo in Asia non ha precedenti storici nello
scacchiere:
non c’è uno Stato egemone, o una grande potenza.
Ce ne sono tre.

 

Il Vecchio Continente tende a guardare l’Asia con un solo occhio alla volta. Negli anni Ottanta vedeva la minaccia giapponese per l’industria europea, dagli anni Novanta in poi ha visto la minaccia (o forse l’opportunità) cinese per l’industria europea. Negli ultimi due anni la visione si è un po’ allargata, perché è andata a comprendere l’India tra le minacce (o tra le opportunità), perché alcuni hanno incominciato ad apprezzare l’idea che la Cina sfidasse l’egemonia americana, e perché si è diffusa la vaga consapevolezza che il Giappone si stia riprendendo da una stagnazione economica durata più di un decennio. In realtà, quel che sta accadendo in Asia è di portata molto più ampia, e l’Europa deve prenderne consapevolezza, tenendo bene aperti entrambi gli occhi. Ne sono parte i tre grandi Paesi: Giappone, Cina e India.

Pensiamo alla storia dell’Asia. Per centinaia di anni la Cina aveva prevalso in quell’area. Poi, tra Settecento e Ottocento, il suo sistema imperiale cadde in un declino fatto di autocompiacimento e di chiusura. La sua posizione dominante venne soppiantata da potenze esterne, dall’Europa e da ex colonie europee: soprattutto dalla Gran Bretagna, ma anche dall’Olanda, dalla Francia e infine dall’America. Verso la metà del XX secolo il Giappone fece il tentativo di estromettere gli europei e di diventare il Paese egemone dello scacchiere, ma non vi riuscì, e questo fallimento è segnato, simbolicamente, dalle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945. Da allora, la potenza egemone in Asia è stata l’America.
Osserviamo che cosa sta succedendo ora. La visione limitata ancora diffusa sia in Europa sia in America presume che la nuova Asia sarà incentrata sulla Cina, che tornerà ad emergere come nazione dominante, dotata di economia, di forza militare e di popolazione superiori a tutte le altre. Questa visione ignora, però, le altre due grandi potenze economiche, che hanno entrambe forza militare e idee ambiziose sul loro ruolo internazionale e regionale. Almeno una di esse ha una popolazione che tra qualche decennio con tutta probabilità supererà quella della Cina. Questi Paesi sono, ovviamente, l’India e il Giappone. Quel che sta accadendo in Asia non ha precedenti storici nello scacchiere. È una situazione in cui non c’è uno Stato egemone, o una grande potenza. Ce ne sono tre.
Molto di quel che avviene in Asia diventa comprensibile quando si considera questa triplice rivalità. In dicembre il governo giapponese ha fatto approvare dal Parlamento un decreto secondo il quale le scuole dovranno insegnare il patriottismo e i valori tradizionali nipponici. Perché? Perché il timore di essere dominati dalla Cina induce i politici conservatori a incentivare il nazionalismo. Un mese prima, quando i leader cinesi e indiani stavano per incontrarsi in un vertice, l’ambasciatore cinese a Delhi aveva scandalizzato i suoi ospiti dicendo che la Cina continuava a rivendicare la sovranità sull’intero piccolo Stato indiano di montagna di Arunachal Pradesh, un’area per la quale Cina e India avevano fatto una guerra nel 1962. Perché? Per mostrare all’India, che recentemente ha cercato di allargare la propria influenza politica in Asia orientale, oltre l’Oceano Indiano, che con la Cina non era consentito scherzare.

In altre parole, tra queste tre grandi potenze c’è una rivalità naturale, di cui esse sono profondamente consapevoli. Non è una rivalità che porterà a un conflitto a breve termine. Cina e India hanno innanzitutto un estremo bisogno di crescere economicamente per sollevare le rispettive popolazioni dalla povertà. È, però, una rivalità che rende la regione vulnerabile nel caso dovesse verificarsi qualche altra crisi inattesa: il crollo del regime nord-coreano, per esempio, un rovesciamento del governo pakistano da parte di terroristi, o una forte recessione in America che provochi una crisi economica in Cina. Perché questa regione non ha una solida rete di trattati e di istituzioni in cui incanalare le dispute. E le rivalità politiche fra le tre grandi potenze potrebbero facilmente trasformarsi, in circostanze del genere, in aperta ostilità.
Quali sono le implicazioni per l’Europa, se sa guardare l’Asia con gli occhi aperti? La prima è cogliere le opportunità: il Vecchio Continente non deve essere succube nei confronti dell’emergente potenza cinese.
Invece, dovrebbe essere consapevole dei propri punti di forza, dato che tutte e tre le rivali hanno bisogno del suo sostegno, della sua tecnologia e dei suoi investimenti. L’altra è trasmettere la propria esperienza: ciò di cui l’Asia ha bisogno è di replicare i successi europei del dopoguerra, di guardare all’Unione europea per rendere costruttiva, anziché distruttiva, la rivalità tra grandi potenze. La missione strategica dell’Europa dovrebbe essere quella di mostrare all’Asia come riprodurre – e, quando necessario, adattare – il modello europeo.

 

   
   
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