Nel gergo
finanziario,
Cindia è una terra magica nella quale le economie della Cina
e dellIndia si fondono
sprigionando
inaudite ricchezze.
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Secondo le guide turistiche, Cindia è una località
della Romania nella quale Vlad lImpalatore, un sanguinario
monarca del XV secolo che ha ispirato il fittizio Conte Dracùla,
osserva lesecuzione delle sue vittime. Ma nel gergo dei mercati
finanziari dei nostri giorni, Cindia è una terra magica nella
quale le economie della Cina e dellIndia si fondono, sprigionando
inaudite ricchezze.
È uno scenario intrigante, che ha ripreso quota dopo la recente
visita di Hu Jintao in India, la prima di un presidente cinese negli
ultimi dieci anni, e dopo i clamorosi impegni delle due parti a
mettere da un canto le diatribe passate e a marciare insieme verso
il futuro. Cè soltanto un problema: la teoria che i
loro destini economici siano inseparabilmente intrecciati non trova
il minimo riscontro nella realtà dei fatti.

Le uniche somiglianze evidenti tra i due Paesi sono che entrambi
occupano una gran fetta del territorio asiatico, entrambi sono popolosi,
entrambi stanno crescendo a ritmo sostenuto ed entrambi sono affamati
di risorse naturali. A parte questo, collocare la Cina e lIndia
nella stessa categoria è sensato quanto abbinare la Cina
con re Vlad, che quando non è impegnato a reprimere senza
pietà il dissenso, condivide con Pechino linteresse
per il miglioramento della rete stradale, il controllo delle province
ribelli e le ricorrenti campagne anti-corruzione.
Sotto molti aspetti, i due Paesi sono luno lopposto
dellaltro. La Cina è unautocrazia comunista che
ha messo in moto riforme economiche ad ampio raggio, ha aperto leconomia
al mondo e ha mobilitato ampie risorse a favore dello sviluppo.
LIndia è una democrazia elefantiaca, le cui ultime
riforme economiche (forzate dalla crisi finanziaria) risalgono al
1991, con la liberalizzazione che da allora è stata bloccata
dallo stallo politico. La Cina ha prosperato grazie alle politiche
messe in campo dal governo; lIndia ha prosperato nonostante
lassenza di queste politiche. La Cina è cresciuta seguendo
un sentiero già ampiamente battuto nellAsia orientale:
investimenti ed esportazioni a fare da traino e un alto tasso di
risparmio interno ad alimentare la crescita. In India, con uneconomia
più chiusa e un tasso di risparmio molto più basso,
a sostenere la crescita sono in larga parte i consumi interni. La
Cina si sforza di tenere sotto controllo leccesso di investimenti
in attività fisse, mentre lIndia è penalizzata
dalla scarsità di capitali e da una spesa in infrastrutture
deprecabilmente inadeguata.
La produzione a basso costo è il motore delleconomia
reale cinese. Lindustria manifatturiera indiana per il momento
genera una quota contenuta del reddito nazionale, così come
lindustria del software e dei servizi, che tanto vengono sbandierati.
LIndia ha un sistema bancario ragionevolmente solido e un
mercato azionario maturo e consolidato. Le traballanti banche cinesi
devono ancora imparare come stimare il rischio e come prestare denaro
con assennatezza, mentre il mercato azionario è ancora nella
preistoria.
E si aggiunga che linterazione tra le due economie è
soltanto marginale. Il commercio bilaterale è cresciuto rapidamente,
ma lIndia pesa solo per l1,3 per cento nelle esportazioni
cinesi. Quasi l8 per cento delle esportazioni indiane finiscono
in Cina, ma si tratta in gran parte, per sfortuna di Nuova Delhi,
di merci a basso valore aggiunto, mentre il flusso commerciale nellaltra
direzione è dominato dai prodotti industriali. Gli investimenti
avvengono con il contagocce, in entrambi i sensi, e ciascuna delle
due parti si lamenta delle difficoltà di operare nel mercato
dellaltra. Secondo quasi tutti i parametri economici, oggi
la Cina è più integrata sotto il profilo economico
con gli Stati Uniti, che non con lIndia.
Con così pochi punti di contatto fra le due economie, è
fantasioso presupporre che il nascente dialogo tra Cina e India
si tradurrà in tempi rapidi in clamorosi passi avanti nella
cooperazione economica. Più probabilmente, lobiettivo
primario dei due governi è quello di limitare i danni. Entrambi
vogliono evitare che le antiche rivalità, diatribe e diffidenze
interferiscano con la loro corsa allo sviluppo. Ma continueranno
a percorrere strade distinte verso quella meta.
La questione diventa allora quale strada si dimostrerà più
efficace. Sul breve termine, il rischio principale in Cina è
che lincapacità di affrontare alla radice il problema
degli sprechi da sovrainvestimento possa trasformare il boom in
un crack. In India, il rischio è che la crescita venga strozzata
dalla mancata modernizzazione delle scricchiolanti infrastrutture
nazionali.
Il lato negativo è che un rallentamento economico globale
colpirebbe tutte e due. LIndia, meno dipendente dalle esportazioni,
potrebbe sembrare messa meglio per superare uneventuale crisi.
Ma il fatto che si affidi massicciamente ai flussi di capitale a
breve termine dallestero per finanziare la crescita potrebbe
renderla vulnerabile se gli investitori globali decidessero di disertare
i mercati emergenti.

Lo stretto controllo che il governo di Pechino mantiene sul cambio
della valuta isola la Cina dalle turbolenze finanziarie internazionali.
Un calo delle esportazioni colpirebbe molti dei suoi produttori
a bassi margini. Ma il Paese può far conto su sostanziose
risorse finanziarie per attenuare limpatto degli shock esterni.
Spingendoci ancora più in là, le incertezze maggiori
in entrambi i Paesi sono di tipo politico. Se i politici indiani
non si rassegneranno a metter mano alle riforme, aprire le porte
agli investimenti esteri diretti e cominciare ad affrontare gli
ostacoli strutturali alla crescita, leconomia si svilupperà
meno di quanto potrebbe, e il suo slancio potrebbe affievolirsi.
Il problema più pressante per la Cina, sul breve periodo,
è se il regime autoritario che la governa sarà in
grado di gestire le sfide create dalla crescita rapida, il fattore
dal quale dipende la sua fragile legittimità; o se invece
i problemi rappresentati dal crescere della disuguaglianza, della
corruzione, dei tumulti popolari, e, forse, anche della richiesta
di emancipazione politica porterà il sistema fino al punto
di rottura.
La democrazia indiana, con tutti i suoi difetti, è famosa
da tempo per la sua capacità di resistenza. Ma si è
sviluppata in unera di rigide strutture sociali, in cui ognuno
era rassegnato al posto che gli spettava nella gerarchia. La crescita
accelerata sta mettendo in discussione il vecchio ordine. A molti
sta offrendo speranza, ma sta anche acuendo le disparità
fra una ricca élite urbana e schiere di poveri che aspirano
disperatamente a una vita migliore.
Andare incontro a queste aspirazioni e mantenere la stabilità
sociale rappresenta un test importantissimo per il sistema politico
nazionale. Almeno sotto questo profilo, Cina e India hanno qualcosa
in comune.
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